Prendiamo come campione un suo ultimo articolo, in realtà una espettorazione rancida, pubblicato nell’edizione italiana de l’Internazionale. Il titolo del pezzo è “Cinquantanni di bugie sull’occupazione israeliana”.

Procediamo

“Tutto è cominciato con il dibattito su come chiamare la Cisgiordania e Gaza. Dai microfoni di radio Israele si decise di usare l’espressione “territori temporaneamente occupati”. È stata questa la prima bugia: lasciar credere che l’occupazione fosse temporanea e che Israele intendesse evacuare questi territori, presentati come una moneta di scambio nella ricerca della pace.”

Ecco qui un esempio luminoso di impostura tipica, così macroscopica e deforme da fare pensare che sia una parodia. No, non è una parodia.

Scrive Benny Morris in Vittime, Storia del Conflitto Arabo-Sionista 1881-2001, “Al summit di Khartum, [convocato dai paesi arabi, NdA] nell’agosto-settembre del 1967, i leader presenti approvarono una piattaforma di sfida e indisponibilità al dialogo che per decenni avrebbe impedito ogni progresso verso la pace nella regione…i partecipanti dichiararono di volersi attenere a una serie di principi ‘nessuna pace con Israele’, ‘nessun riconoscimento di Israele’ e ‘nessun accordo con Israele in vista di negoziati’…L’atteggiamento arabo contribuì alla parziale revoca della decisione presa dal Gabinetto israeliano il 19 giugno, in cui l’idea di ‘concessioni territoriali in cambio della pace’ era implicitamente affermata”.

Ma per Gideon Levy, smentito dai fatti e dalla storia:

“La verità è che Israele non ha mai avuto intenzione di porre fine all’occupazione. Il suo presunto carattere temporaneo non è stato altro che un inganno che ha anestetizzato il mondo”.

Il dispensatore di menzogne travestito da difensore della verità, mascheratura abituale di ogni propagandista, da quelli del Terzo Reich a quelli del Politburo a quelli di Hamas e Hezbollah ci dice anche che è una menzogna

“che l’occupazione servisse gli interessi di sicurezza d’Israele, che si trattasse di una misura di autodifesa presa da uno stato fragile e assediato dai nemici”.

In altre parole, nel 1967, dopo una guerra intentata dagli stati arabi contro il giovane stato ebraico e il cui scopo era quello di distruggerlo e la cattura di Israele della Cisgiordania a seguito di sedici anni di annessione giordana totalmente illegale, la presenza militare israeliana non sarebbe servita a preservare lo Stato ebraico da ulteriori attacchi e incursioni al suo interno da parte di quei nemici che nel 1948, nel 1967 e poi ancora nel 1973 lo attaccarono per annientarlo. Non è servita a garantire a Israele alcuna sicurezza, come non serve ora,  dopo la Seconda Intifada e l’aumento del radicalismo jihadista. Siamo alle comiche finali di un truce cabarettista che si finge giornalista.

Per Levy, le colonie sarebbero una grande operazione fraudolenta.

“Tutto il progetto nasce e cresce fondandosi su bugie. Nessuna colonia è stata creata in maniera onesta. A cominciare dalla permanenza nel Park hotel di Hebron, orchestrata da alcuni coloni nel 1968 fingendosi turisti svizzeri, passando dai “campi di lavoro” ai “campi di protezione”, dagli “scavi archeologici” alle “riserve naturali”, dagli “spazi verdi” alle “firing zone” (zone militarizzate destinate alle esercitazioni israeliane), e poi le “zone d’esplorazione”, gli avamposti e le espansioni”.

Molti degli insediamenti sono stati stabiliti su siti che erano già stati domicilio della popolazione ebraica durante le generazioni precedenti. Hebron è un esempio classico. Gush Etzion venne fondato nel 1948 su terreni comprati negli anni Venti. Il diritto degli ebrei di risiedere nei territori oggi considerati occupati venne conferito dal Mandato Britannico e riconosciuto nel 1922 dalla Società delle Nazioni. Solo nel 1948-1967 gli insediamenti vennero proibiti, quando la Giordania invase la Cisgiordania.

Per quanto riguarda l’episodio citato del 1968, esso si riferisce al caso del rabbino Moshe Levinger il quale, con un gruppo di israeliani che finsero di essere turisti svizzeri, affittò il principale albergo di Hebron e poi si rifiutò di abbandonarlo. In seguito Moshe Dayan ordinò la l’evacuazione del gruppo e la sua collocazione in un insediamento che sarebbe poi diventato Kiryat Arba, edificato su un terreno militare abbandonato nel 1970.

Ma per il falsificatore di professione Levy “Nessuna colonia è stata creata in maniera onesta“, nemmeno quelle sorte su terreni regolarmente acquistati negli anni Venti. Tutto, infatti, per Levy è dei palestinesi “espropriati”, nonostante il fatto che il Mandato Britannico per la Palestina del 1922 affermasse che gli ebrei avessero il diritto di risiedere in “tutti i territori a occidente del fiume Giordano”.

Ma Levy della storia se ne infischia. Al suo posto c’è la grande narrativa menzognera, la stregonesca trasformazione dei fatti in aborti ideologici al servizio della parte araba.

“I coloni hanno mentito. I politici hanno mentito. L’esercito e l’amministrazione civile hanno mentito. Hanno tutti mentito al mondo e a loro stessi. Con la scusa della protezione di un traliccio è stato costruito un enorme insediamento e da un fine settimana trascorso in quell’hotel è nata la peggiore di tutte le occupazioni, quella di Hebron. I ministri che l’hanno approvata, i componenti della knesset che hanno annuito e ammiccato, i funzionari che hanno firmato e i giornalisti che hanno insabbiato la faccenda, conoscevano tutti la verità. Gli statunitensi che hanno “condannato”, gli europei che si sono “infuriati” e il consiglio di sicurezza dell’Onu che “ha deciso”: nessuno di loro aveva alcuna intenzione di far seguire dei fatti alle parole. Anche il mondo mente a se stesso. Per tutti è conveniente comportarsi così”.

Il tono è ultimativo, apocalittico. Si sente il Grande Giustiziere, il Redentore degli oppressi. Peccato che invece si tratti di un falsario, di un ideologo allucinato.

Hebron, dopo Gerusalemme, è il più importante luogo sacro per gli ebrei. A Hebron la comunità ebraica ha continuato a vivere per secoli, anche dopo l’occupazione araba del VII secolo. Naturalmente, sotto l’occupazione araba, con lo status inferiore di “dhimmi”. Tuttavia, già nel sedicesimo secolo, ai dhimmi ebrei veniva interdetto dagli occupanti arabi (allora il termine “colonizzatori” non era d’uso) l’ingresso alla Grotta dei Patriarchi. Si trattava dell’antipasto per il futuro pogrom del 1929, quando cinquantacinque ebrei vennero linciati dalla folla araba. Seguì la cacciata degli altri e la confisca delle loro proprietà.  Quando poi la Giordania invase la Giudea e la Samaria nel 1948 e si annesse abusivamente il territorio nel 1951 fino al 1967, quando Israele lo riconquistò, di ebrei non ce ne era più nemmeno uno. Ma queste sono storie vecchie.

Il Waye River Memorandum del 1998, integrativo degli Accordi di Oslo del 1993-1995, stabilì che ai palestinesi venisse concessa la piena responsabilità sull’80% di Hebron mentre agli ebrei venne lasciato il restante 20%. A tutt’oggi agli ebrei non è permesso entrare nell’Area H1 interamente palestinese, né nella parte dell’Area H2 dove una parte dei palestinesi risiedono. In altre parole, agli ebrei residenti a Hebron non è permesso l’accesso al 97% dell’area urbana, mentre ai palestinesi l’accesso non è consentito relativamente a una strada nell’Area H2, al-Shaduda Street, che congiunge tra di loro due quartieri ebraici.

Ma per il mentitore compulsivo Gideon Levy, vergogna ebraica e vergogna di Israele,“Quella di Hebron è la peggiore di tutte le occupazioni“. Non contento di essersi rotolato nel fango per buona parte dell’articolo Levy continua fino in fondo, la sua voluttà dell’abiezione è grande. Il romanzo criminale su Israele, sua specialità da anni, scritto a puntate su Haartez, deve continuare:

“L’unica democrazia del Medio Oriente ricorre a una brutale tirannia militare e il suo esercito uccide più di cinquecento bambini e 250 donne in un’estate: qualcuno è in grado di concepire una menzogna più grande di questa? Qualcuno può immaginare un’illusione più grande dell’opinione, dominante oggi in Israele, secondo la quale saremmo stati obbligati a tutto questo, non avremmo voluto tutto questo e la colpa è tutta degli arabi?”

Israele come la Romania di Ceaușescu come l’Argentina di Videla, come la Cambogia di Pol Pot. Fa sempre un certo effetto decontestualizzare da una guerra, quella del 2014 scoppiata a seguito del brutale assassinio da parte di Hamas di tre ragazzi ebrei e in risposta ai 4564 missili lanciati da Gaza su Israele dall’otto di luglio al ventisei di agosto, il numero dei morti tra i civili. Soprattutto quando si tratta di donne e di bambini. E’ un vecchio trucco da imbonitore da fiera, da prestigiatore di strada. Ovviamente viene omesso che la maggioranza dei morti tra civili sono stati intenzionalmente provocati da Hamas nella sua precisa politica di massimizzare le perdite tra la popolazione usandoli come scudi umani, e posizionando i missili dentro scuole e in prossimità di ospedali. Ogni civile morto, soprattutto e per ovvi motivi quando si tratta di un bambino, diventa una opportunità di straordinario lucro per chi si presenta come “vittima” o come “resistente” e all’opposto, come una inesorabile fonte di esecrazione e indignazione per chi ne abbia causato la morte.

Ci sono altre infamie nell’articolo di Levy, ma queste bastano. Appartengono al repertorio abituale di questo  propagandista deragliato che, in una altra epoca, avrebbe fatto felice Joseph Goebbels e che oggi invece delizia Hamas e chi di Israele vorrebbe la distruzione.

Niram Ferretti, L’Informale, 6/06/2017

 

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