Pace è bene ma mentire è meglio: Abu Mazen incontra Trump
Il primo faccia a faccia alla Casa Bianca tra Donald Trump e Abu Mazen risulta in un semplice preambolo cerimonioso del tutto privo di segnaletica per una eventuale road map. Trump sarà in Israele la prima volta il 22 di maggio, in concomitanza con le celebrazione del cinquantenario della riunificazione di Gerusalemme, che l’Unesco ha provveduto a “liberare” da qualsiasi legittimità ebraica.
Al di là del clima di cordialità, Donald Trump ha provveduto a fare presente a Abu Mazen la necessità di porre un freno all’incitazione palestinese alla violenza, al che il presidente dell’Autorità Palestinese ha replicato come la gioventù palestinese venga allevata nel rispetto della pace e della tolleranza.
In un articolo del 2005, Itamar Marcus e Barbara Crook hanno evidenziato come i leader dell’Autorità Palestinese abbiano costruito un apparato propagandistico accusatorio contro Israele basato su tre stadi nei quali gli ebrei, non gli israeliani, vengono presentati come un popolo ontologicamente malvagio e meritevole di essere annientato.
Lo stesso Abu Mazen non si è peritato. Dall’esortazione a versare il “puro sangue arabo” a difesa della moschea di Al Aqsa contaminata dai °piedi sporchi degli ebrei° del 2015, all’accusa rivolta al governo israeliano di avvelenare l’acqua destinata ai palestinesi nella West Bank nell’estate del 2016, essendo la menzogna compulsiva è un tratto ineliminabile della sua personalità
Trump ha anche sottolineato la necessità di mettere fine ai pagamenti che l’Autorità Palestinese riserva alle famiglie dei terroristi incarcerati. A questa richiesta di Trump ha però risposto prontamente Nabil Shaath, il consigliere di Abu Mazen per gli affari esseri bollandola come “folle”. Per Shaath essa equivarrebbe a chiedere a Israele di smettere di pagare i salari ai propri soldati. Non si vede d’altronde come l’Autorità Palestinese possa vederla diversamente, avendo trasformato i terroristi in resistenti all’”occupazione” israeliana della West Bank (e in realtà dell’intera Palestina).
La questione dei pagamenti alle famiglie dei prigionieri palestinesi detenuti per atti di terrorismo è al centro della esortazione rivolta a Trump dai senatori repubblicani Marco Rubio, Tom Cotton e Lindsey Graham, i quali, prima dell’incontro, hanno chiesto che la questione fosse sollevata:
“Il pagamento dei salari alle famiglie dei prigionieri detenuti per terrorismo deve terminare sotto un profilo morale perché gli Stati Uniti non possono essere complici nell’incentivare il terrorismo e deve terminare sotto il profilo strategico perché l’Autorità Palestinese non riuscirà mai a convincere gli americani, il Congresso o Israele, che parla seriamente di pace mentre finanzia il terrorismo”.
Il budget speso dall’Autorità Palestinese per finanziare i terroristi e le loro famiglie ammonta a circa trecento milioni di dollari annui.
Niram Ferretti, L’Informale, 4/05/2017
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