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Lo storico francese Georges Bensoussan è stato assolto dall’accusa di istigazione all’odio razziale contro la Comunità islamica. Il verdetto, pronunciato dai giudici della 17esima Corte penale di Parigi, è stato reso pubblico nelle scorse ore e pone fine a una querelle iniziata nel 2012.

In gioco, come più volte ricordato dai filosofi Alain Finkielkraut e Henry Bernard-Lévy, la libertà d’espressione. A far scoppiare il caso, la denuncia presentata da alcune associazioni francesi antirazziste (Ligue des droits de l’homme, Licra, MRAP, SOS-Racisme ainsi que le Collectif contre l’islamophobie en France – CCIF) a seguito di una frase pronunciata da Bensoussan, ebreo francese di origine marocchina e responsabile editoriale del Mémorial della Shoah di Parigi, durante un’intervista radiofonica con Finkielkraut: in Francia, “nelle famiglie arabe, tutti sanno, ma nessuno ammette, che l’antisemitismo è trasmesso attraverso il latte materno”, la denuncia di Bensoussan. Il riferimento dello storico si concentrava in particolare sull’antisemitismo diffuso tra i musulmani delle banlieues francesi, ostacolo alla loro integrazione e retaggio di una tradizione antisemita ben presente nel Maghreb, ovvero nei loro paesi d’origine. Un argomento a cui Bensoussan ha dedicato ampi e puntuali studi, tra cui il libro Juifs en pays arabes: Le grand déracinement 1850-1975 (2012).

Distorcendo l’analisi la sua analisi, le associazioni che lo hanno querelato hanno interpretato la sua frase come un riferimento razzista. “Siamo di fronte a un antirazzismo deviato che chiede di criminalizzare un’inquietudine, invece che combattere ciò su cui si fonda. Se i giudici cedono, sarà una catastrofe intellettuale e morale”, aveva messo in guardia Finkielkraut. Ma il tribunale ha dato ragione a Bensoussan pronunciando una sentenza di assoluzione: “le osservazioni incriminate – spiega la Corte – sono state tenute in un contesto particolare” e soprattutto “il reato di istigazione all’odio, alla violenza e alla discriminazione prevede, perché si configuri, un elemento intenzionale”, elemento assente nel caso di Bensoussan.

Non solo, i giudici sottolineano che le parole dello storico non erano un invito a dividere la Francia in due comunità, quella islamica e quella non, ma al contrario un appello all’integrazione della prima nella società francese. “Il convenuto – spiegano i giudici, secondo quando riporta Le Figaro – non può essere accusato di aver suscitato o di voler suscitare un senso di ostilità o di rifiuto nei confronti di un gruppo di persone e ancor meno di aver esplicitamente istigato la commissione di atti precisi contro questo gruppo”. La corte ha anche dichiarato inammissibile la costituzione come parte civile del Collectif contre l’islamophobie en France.

“Gli avvocati del CCIF e alcuni dei testimoni – commentava Bernard Henry Lévy – hanno approfittato di questa insperata tribuna per affermare la loro ossessione, ispirata dagli ideologi e attivisti più radicali del Jihadismo, di un’islamofobia che non sarebbe altro che una maschera del razzismo”. Ma costoro hanno perso. Quello che però inquieta è la direzione che queste associazioni antirazziste hanno preso, come rilevava su questo portale la storica Anna Foa parlando in particolare del Mrap (Movimento contro il razzismo e per l’amicizia fra i popoli): “nato nel dopoguerra con un’impostazione di lotta contro il razzismo e l’antisemitismo, il MRAP si è venuto sempre più trasformando in un movimento volto a combattere esclusivamente il razzismo antimusulmano. Ma sembra che ormai non conosca nemmeno più il significato della parola ‘razzismo’ – spiegava la storica – e si sia tramutato in un movimento filo islamico e di violento attacco a Israele e agli ebrei in genere, tanto da determinare una scissione con gli altri movimenti antirazzisti”.

Bensoussan aveva parlato a riguardo di “terrorismo intellettuale”, che però, come dimostra la sua piena assoluzione, non ha trovato sponda nella giustizia francese.

Daniel Reichel, Moqed, 9/03/2017

 

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