Riccardo Ghezzi
“Ricordare Auschwitz per ricordare la Palestina”. Questo è il titolo delle dispense universitarie contenenti il riassunto del seminario “Collusioni tra sionismo e nazifascismo prima e durante la Shoah”, tenutosi ieri 18 gennaio al campus Luigi Einaudi di Torino.
Intitolato all’economista liberale ed ex presidente della repubblica, il campus Einaudi presenta all’ingresso una scritta inequivocabile: “Campus antifascista”, redatta dagli stessi studenti che lo popolano. In quanto struttura “antifascista”, va da sé che debba onorare il Giorno della Memoria in pompa magna, se serve anche prendendosela con Israele e il sionismo.
Poco importa che il legame tra Israele ed ebrei sia profondo e sentito, ancor meno che ipotizzare collusioni tra sionismo e nazifascismo sia offensivo in primis per la comunità ebraica, cioè le vittime della Shoah. C’è da fare la rivoluzione ma soprattutto onorare il dogma: al primo posto viene la lotta di classe, tutto ciò che non la rappresenta alla lettera – sionismo compreso – è nemico. Ed anche la storia deve piegarsi a questa verità.
Quando abbiamo visto Torino tappezzata di manifesti che annunciavano il seminario, la nostra prima preoccupazione è stata quella di capire se l’università ne fosse in qualche modo “complice”, essendo il campus Einaudi, scelto come location, una struttura universitaria.
Invece no: nessuno, né in biblioteca né in segreteria, sapeva alcunché. Sono state le stesse gentili impiegate a ipotizzare che si trattasse di un evento autogestito dagli studenti. In effetti, sul manifesto non si faceva menzione di relatori, docenti e neppure di aule o dipartimenti.
Arriva quindi la seconda preoccupazione: capire se quel seminario si sarebbe svolto davvero, oppure se si sia trattata di una provocazione gratuita in vista del Giorno della Memoria. La risposta è sì: il seminario si è svolto, nonostante il parere contrario del rettore che aveva chiesto non venissero messe a disposizione le aule del campus Einaudi. I promotori hanno agevolmente trovato posto all’interno dell’aula A4, nota per essere “sempre aperta e a disposizione”.
Gli interessati si sono ritrovati nella hall del campus Einaudi per poi decidere dove svolgere il seminario: all’inizio si è pensato addirittura in corridoio, per poi sistemarsi nell’aula A4 nonostante i rimbrotti di un custode.
Tra i presenti, i ragazzi del centro sociale C1, ubicato proprio all’interno del campus, e una rappresentanza del movimento Bds Torino oltre a qualche interessato “esterno”. Poco più di una ventina i partecipanti, tre i relatori: non docenti universitari ma semplici studenti, per quello che hanno definito un “seminario di autoformazione”.
Si tratta di relatori che si sono improvvisati tali dopo un lavoro di ricerca da autodidatti basato però perlopiù su una sola fonte: il libro “Zionism in the age of dictators”, del 1983, autore il trostkysta americano Lenni Brenner, un altro che ha cercato di manipolare la storia seguendo il dogmatismo ideologico.
Questo libro rappresenta una vera Bibbia per i tre relatori, che non a caso invitano a scaricarlo da internet, unica fonte in cui si trova “l’opera” in lingua italiana.
Chi è Lenni Brenner? Un comunista che ritiene sostanzialmente che Adolf Hitler fosse un sionista. E le cui tesi erano piaciute persino all’ex sindaco di Londra Ken Livingstone, che per questo era stato sospeso dal Partito Laburista.
Nel mirino di Lenni Brenner il famigerato “Ha’avara Agreement”, l’accordo di trasferimento stipulato nel 1933, in base al quale gli ebrei avrebbero potuto trasferirsi nella futura Israele in cambio della totale spoliazione dei loro beni. La soluzione finale non era ancora stata avviata, ma questo accordo, che in realtà rappresenta storicamente l’inizio della persecuzione nazista nei confronti degli ebrei, secondo Brenner dimostrerebbe la complicità tra sionisti e nazisti. Tra vittime e carnefici.
A rendere più suggestiva la tesi sono presunte, secondo i relatori del seminario, analogie e identità di vedute tra nazismo e sionismo, entrambe “ideologie nazionaliste”.
Ed ecco la “perla”: i sionisti credono nella superiorità della “razza ebraica”, come i nazisti in quella della razza “ariana”, quindi non si vogliono mischiare ad altri popoli. Non si vogliono assimilare con nessuno e desiderano una terra tutta loro. L’antisemitismo, per questo motivo, rappresenta un vantaggio: è l’ineludibile impossibilità di essere assimilati. Ma a loro, ai sionisti, cioè alle vittime, va benissimo così.
Una tesi piuttosto sconclusionata che però è nulla in confronto alle successive: i sionisti ritengono che il “loro bagaglio culturale e genetico non possa essere modificato”, quindi sono contrari persino ad unirsi in matrimonio con chi non è ebreo ma soprattutto, udite udite, considerano “il socialismo un pericolo”.
A dirlo è il secondo relatore, che si presenta come “Riccardo”. Sarà l’unico a pronunciare il proprio nome, ma non il cognome. Gli altri due relatori non si presentano, probabilmente perché già conosciuti da buona parte del pubblico presente.
Il “socialismo è un pericolo per i sionisti”, dicevamo, ma qui interviene il primo relatore, quello che aveva introdotto il seminario, ad anticipare eventuali obiezioni: “C’è anche una declinazione in senso socialista del sionismo, ma sempre in chiave ideologica borghese-reazionaria e con obiettivi anti-rivoluzionari. Le loro (dei sionisti socialisti n.d.r.) forme di organizzazione socialista erano rivolte esclusivamente ad ebrei, che venivano così sottratti ai movimenti rivoluzionari. Molte persone di origine ebraica erano state protagoniste in movimento rivoluzionari”.
Avete capito? Il sionismo, oltre ad essere un movimento colonialista, nazionalista e razzista, ha anche una declinazione socialista, creata però ad arte per distrarre gli ebrei dalla rivoluzione e dalla lotta di classe. Molti ebrei erano socialisti e comunisti, la “declinazione socialista” del sionismo è così servita per sottrarli al movimento rivoluzionario mondiale.
Anche i kibbutz sarebbero un complotto, sostanzialmente. Così come il fatto che la maggioranza dei sionisti fosse costituita da socialisti e comunisti.
Il primo relatore si era presentato con alcuni dei soliti luoghi comuni, specificando che il loro intento fosse quello di “festeggiare il Giorno della Memoria in maniera sincera, non strumentale”.
E quale sarebbe la maniera strumentale? Quella “dell’ambasciata israeliana a Roma” che in pratica vorrebbe impossessarsi del Giorno della Memoria. In realtà, secondo il relatore, “Israele si presenta come risarcimento della Shoah, ma la maggior parte delle vittime non era costituita da sionisti”. Ma soprattutto “Israele è uno stato che pratica pulizia etnica, apartheid e massacri indiscriminati come nel 2014 a Gaza”.
Parole testuali. Pulizia etnica, non a caso la popolazione a Gaza è quadruplicata negli ultimi venti anni. Apartheid, infatti gli arabi in Israele hanno gli stessi diritti degli ebrei e una rappresentanza in parlamento: alcuni di loro si arruolano pure, volontariamente, nell’esercito israeliano.
La serata è durata un’ora e mezza e riassumere tutto ciò che si è detto – tra accuse di “collaborazionismo” della leadership sionista con i nazisti in Polonia, di vigliaccheria nei confronti degli ebrei che sono scappati nella futura Israele mentre “i veri socialisti” combattevano e si ribellavano a Varsavia, persino analogie ipotizzate tra i terroristi della Banda Stern e l’attuale partito di maggioranza in Israele, il Likud – è quasi impossibile. Risulterebbe altresì noioso alla lettura.
Vi basti sapere che un seminario del genere, di “autoformazione”, si è svolto in un ambiente universitario a Torino, senza contraddittorio. E che i tre relatori, così come il pubblico, credono veramente a quelle cose. Purtroppo in questo caso non per malafede o antisemitismo, ma proprio per convinzione ideologica. E convinzione di aver studiato a lungo.
Piccola ciliegina sulla torta: la critica al “nazionalismo sionista” si è aperta con l’esposizione di una grande bandiera palestinese, poi appesa sul muro prima dell’apertura dei “lavori”. Questo perché combattere presunti nazionalismi con altrettanti nazionalismi è cosa buona e giusta.