Il problema della sinistra con gli ebrei ha una lunga e miserabile storia | di Simon Schama
Una gran parte della sinistra studentesca deve avere “qualche problema con gli ebrei”, ha affermato la scorsa settimana l’emerito e coraggioso Alex Chalmers, durante il suo discorso da co-presidente dimissionario del Labour Club della Oxford University, in seguito ad una votazione in favore della Settimana dell’Apartheid di Israele.
L’organizzazione laburista studentesca ha lanciato l’allarme ma “il problema con gli ebrei” nella sinistra continua. In gennaio un incontro del Kings College London Israel Society è stato interrotto con la violenza da una folla pronta a scagliare sedie e rompere vetri. Gli ascoltatori si erano riuniti per ascoltare l’intervento di Ami Ayalon, un ex-ufficiale dello Shin-Bet (l’intelligence interna di Israele) che ora sostiene la soluzione a due stati.
La scorsa estate l’editorialista del Guardian Owen Jones si è esposto coraggiosamente rivolgendo una preghiera alla sinistra, affinché affronti una volta per tutte questo demone. Da allora, tuttavia, il criticismo verso le iniziative governative israeliane si è trasformato in una vera e propria avversione al diritto di Israele di esistere; la posizione di Fatah rielaborata dall’eliminazionismo di Hamas ed Hezbollah. Più di nascosto, il supporto alla diaspora è ravvisato nelle parole del laburista Gerald Kaufman, che accusa il governo di essere influenzato nella politica estera in Medio Oriente dal “denaro ebreo”, come in una sorta di cospirazione.
L’accusa secondo cui l’anti-sionismo sia mutato in anti-semitismo corrisponde all’affermare ipocritamente che il primo si sia fuso con il secondo. Ma quando George Galloway (nell’agosto 2014, durante l’ultima guerra a Gaza) ha dichiarato Bradford una “zona Israel-free”; quando gli ebrei francesi non sono liberi di indossare la loro kippah in pubblico per timore di un assalto, quando i poster sul Giorno della Memoria vengono sfigurati, è evidente che ciò con cui abbiamo a che fare è, per dirla con le accurate parole del Professor Alan Johnson, “un anti-sionismo antisemita”.
Il fatto è che i terroristi che hanno massacrato i clienti del supermarket Kosher a Parigi non hanno chiesto loro se fossero o meno israeliani e neanche sostenitori o meno del governo. Sono stati semplicemente uccisi in quanto ebrei, poiché nelle menti malate degli attentatori tutti gli ebrei sono indistintamente colpevoli della persecuzione dei palestinesi e questo giustifica l’omicidio. Quando il movimento BDS ha identificato Israele come unico perpetuatore delle ingiustizie del mondo intero, ha rinnegato il suo diritto all’autodifesa ed il suo legittimo chiedersi perché la collera della sinistra non si abbatta egualmente sulla Russia, ad esempio, che dispensa distruzione ogni giorno in Siria.
Come mai è in qualche modo consentito boicottare le istituzioni accademiche e culturali israeliane, molte delle quali anche critiche verso le politiche governative, ma si rimane passivi di fronte alla brutalità con cui in Arabia Saudita si considera sacrilego chiunque eserciti la propria libertà di coscienza? Perché questa rabbia è tanto selettiva? O, per dirla in altro modo, perché è così tanto più facile odiare gli ebrei?
Cresciuto a Londra con l’ombra della Seconda Guerra Mondiale, io ed i miei compagni ci chiedevamo chi sarebbe stato pericoloso, qualora il male avesse incontrato le nostre strade. Acconsentimmo nel pensare che i prossimi “odiatori-di-ebrei” non avrebbero indossato le camicie brune o gli anfibi, ma sarebbero probabilmente state le persone comuni sugli autobus. Non è degli aristocratici giocatori di golf che dobbiamo preoccuparci adesso; è piuttosto di coloro che, con la loro indignazione e sensibilità verso le sofferenze dei palestinesi e la loro indifferenza nei confronti delle quasi quotidiane pugnalate per le strade di Israele, hanno scoperto l’eccitazione di poter dire l’indicibile e cogliere l’occasione di riscrivere la storia: così Israele diviene il nuovo Reich e un attacco militare a Gaza diviene indistinguibile dall’annientamento industrializzato di milioni di persone.
Consultate i testi: la storia afferma che l’antisemitismo non sia stato causato dal Sionismo, ma precisamente il contrario. Israele è stato causato dalla deumanizzazione millenaria degli ebrei. La calunnia del sangue secondo cui gli ebrei sono accusati di aver ucciso bambini cristiani per fare con il loro sangue il pane di Pesach nacque nell’Inghilterra medievale ma non si cancellò mai, tornando in auge nell’Italia del Sedicesimo secolo, nella Polonia del Diciottesimo, nella Siria e Boemia del Diciannovesimo e nella Russia del Ventesimo.
Nel 1980, in Siria, Mustafa Tlass, ministro della difesa di Hafes al-Assad, donò il proprio contributo con l’opera The Matzo of Zion, e lo scorso anno l’islamista israelo-palestinese Raed Salah, invitato al Parlamento da Jeremy Corbyn come “cittadino onorevole”, ha ribadito che gli ebrei hanno usato il sangue per la preparazione dell’impasto del loro pane azzimo.
Nel XIX secolo il vampirismo virtuale è stato aggiunto ai dogmi dell’antisemitismo. E la sinistra ha contribuito a rinfrescare questo antico veleno. Dimostrando che non si deve essere gentili per essere antisemiti, Karl Marx ha definito il Giudaismo come niente di più che il culto di Mammona, e ha affermato che il mondo avrebbe dovuto emanciparsi dagli ebrei. Altre correnti a sinistra – i filosofi sociali Bruno Bauer, Charles Fourier, Pierre Prudhon e l’anarchico Mikhail Bakunin – hanno raccolto ed ampliato il messaggio: succhiare il sangue, fosse esso un concetto fisico o economico, questo è quello che fanno gli ebrei.
Per gli ebrei, il mondo contemporaneo si è trasformato in una situazione senza via d’uscita. Una volta insultati per il loro tradizionalismo ostinato, la loro insistenza nel rimanere separati da tutto il resto (senza considerare che sono stati i cristiani a costruire il loro muro), sono oggi attaccati per essersi integrati troppo, nel parlare, nel vestire, e nel lavoro, senza aver mai rinunciato allo scopo di “dominare il mondo intero”. Che dovrebbe fare un giudeo? Il comunista Moses Hess, editore ed amico di Marx, si convinse che la rivoluzione socialista non avrebbe in alcun modo normalizzato l’esistenza degli ebrei, non ultimo perché molti socialisti sostennero che emancipare gli ebrei fosse stato un terribile errore. Hess concluse che solo l’autodeterminazione avrebbe potuto proteggere gli ebrei dalle fobie delle destre e delle sinistre. Divenne, in sostanza, il primo sionista socialista.
Ma bisognava imporre un’iniziativa economica e coloniale ai danni della popolazione palestinese, per poter continuare la retorica secondo cui gli ebrei siano colpevoli di tutti i peccati dell’Europa. Che i palestinesi siano stati le tragiche vittime di una guerra civile giudaico-araba nel paese è incontestabile, così come lo è il fatto che 700.000 ebrei siano stati violentemente sradicati dalle loro case nelle terre islamiche. Ma definire come una pura anomalia coloniale il Paese nel quale la lingua, la religione e l’identità culturale degli ebrei si è andata delineando è il prodotto di una storia miope che si dimentica delle comunità ebraiche cabalistiche del XVI secolo in Galilea o della sostanziale maggioranza ebraica a Gerusalemme nel tardo XIX Sec.
Nessuna di queste realtà così intrecciate, come lo sono il giudaismo e gli ebrei, può fare di più per raffreddare gli animi della narrativa anti-colonialista sull’invasore straniero, specialmente a sinistra. Con la caduta dell’Unione Sovietica e la ritrattazione del socialismo marxista in tutto il mondo, le energie dei militanti dovevano trovare un altro posto deve andare. La battaglia contro le iniquità del capitalismo liberale ha mobilizzato alcune passioni, ma il crimine post coloniale ha riacceso la guerra contro il solito capro espiatorio, il Sionismo. Ogni crociata ha bisogno di un cattivo tra le sue fila, e chissà chi potrebbe mai essere?
Simon Schama, Financial Times 25/2/2016-l’Informale 26/2/2016
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