Un esperimento interessante
Cari amici,
il ciclo terroristico che è in corso da circa tre mesi contro gli ebrei in Israele è stato propagandato dall’Autorità Palestinese come “resistenza popolare” (e da alcuni è dunque chiamato “terrorismo popolare”) per il suo carattere relativamente diffuso e sganciato dalle organizzazioni politiche, oltre che per il suo carattere “a bassa intensità”, cioè per l’uso prevalente di strumenti elementari, disponibili a tutti, come coltelli, sassi, bombe molotov (che sono in sostanza bottiglie di vetro piene di benzina, con un innesco a miccia). Questo carattere relativamente semplice e dunque alla portata di tutti ma anche meno efficiente sul piano della capacità di far vittime del terrorismo tradizionale con esplosivi e armi da fuoco, è forse in via di trasformazione. Hamas ha infatti fatto appello al rinnovarsi degli attacchi suicidi con esplosivo e fra gli ultimi episodi terroristici ce n’è diversi, fra cui quello terribile di Tel Aviv, che sono stati realizzati con armi da fuoco.
Resta il fatto che l’attacco è realizzato da singoli di cui in genere non si può dimostrare l’affiliazione organica alle tradizionali organizzazioni terroristiche come Hamas, Fatah e Jihad islamica. Il che non significa affatto che i terroristi siano isolati e spontanei. Per esempio un medico che ha curato molte vittime di attentati ha notato che i terroristi sanno esattamente dove colpire coi coltelli (http://www.blog.standforisrael.org/articles/israeli-doctor-terrorists-know-where-to-stab-for-maximum-damage), come se avessero ricevuto un addestramento militare. E in effetti è così. E’ da ottobre che Israele ha denunciato la circolazione in rete di video che insegnano dove accoltellare e come colpire per rendere più dannosa la ferita (http://nypost.com/2015/10/17/terrorists-post-videos-teaching-palestinians-how-to-stab-a-jew/). E sono video che circolano ancora, ne potete vedere uno qui (http://www.westernjournalism.com/palestinian-viral-video-teaches-jihadists-stab-jew/).
Insomma questo nuovo terrorismo almeno in parte non è condotto con una disciplina tradizionale, con cellule in contatto fra loro attraverso meccanismi gerarchici di compartimentazione, secondo le modalità dell’organizzazione clandestina che derivano dalla vecchia esperienza del sovversivismo europeo ottocentesco, di matrice prima anarchica e poi comunista. Ma si coordinano in maniera “partecipativa” secondo le modalità del “web 2.0”, quello che è stato definito con la caratteristica dell’ “user generated content”. Al centro di questo sistema, per i terroristi come per la grande maggioranza delle persone normali, vi sono alcuni grandi social media, come Facebook, Twitter, Youtube, Instagram. Essi hanno dunque importanza strategica per questa attività criminale. Ma sono usati come strumento di coordinamento immediato, per esempio per segnalare le operazioni di polizia, i blocchi stradali, le manifestazioni. Ma servono a più lunga durata per diffondere idee, istruzioni, modelli di comportamento. La maggior parte dell’attuale ondata terroristica è stata sostenuta così, tanto che qualcuno ha proposto di chiamarla “Facebook intifada”.
Sarebbe lecito attendersi che i social media, come si sforzano con successo di non diventare veicoli di pornografia e traffico di droga, cercassero anche di escludere dai loro servizi gli incoraggiamenti al terrorismo, l’antisemitismo, la propaganda per gli accoltellamenti e l’odio. Ma non è così. Chiunque abbia provato a “segnalare” pagine antisemite e di odio per Israele a Facebook, me compreso, se n’è accorto sulla propria pelle. Al di là di quelle che potrebbero essere solo impressioni, ha dimostrato un interessante esperimento di un’organizzazione legale israeliana che si chiama Shurat Ha Din (http://israellawcenter.org/, la sua pagina facebook è qui: http://israellawcenter.org/legal_action/lakin-v-facebook/).
L’esperimento è semplice e ben congegnato. Shurat Ha Din ha aperto due diversi account facebook, ha pubblicato parallelamente su entrambi materiali di incitamento all’odio e all’omicidio, solo che uno era diretto contro gli ebrei, l’altro contro gli arabi, poi ha segnalato entrambi i siti alla direzione di Facebook come contrari alla convivenza civile. Il risultato è che Facebook ha chiuso l’account antiarabo e ha ritenuto invece che l’account antiebraico (perfettamente parallelo all’altro) fosse invece “conforme agli standard della comunità”. Trovate qui (https://youtu.be/i3KfQoFHEDs) un filmato chiarissimo che mostra come sono andate le cose. Una ragione in più per portare avanti la querela legale che Shurat Ha Din ha proposto in ottobre contro Facebook per il suo contributo all’incitamento della nuova ondata terroristica. Ne trovate notizia qui: http://israellawcenter.org/legal_action/lakin-v-facebook/.
Vedremo come finirà la causa. Per ora vale la pena notare che questo è un modello di comportamento. Quando, anche in Italia, Facebook protegge contenuti di odio antisemita e antisraeliano, quando ospita pagine di apologia del fascismo senza reagire alle segnalazioni, è possibile che si renda complice dei reati commessi attraverso il suo sito, soprattutto perché ne ha ricevuto segnalazione e non ha agito. Agli amici che continuano a segnalare le pagine con liste di ebrei, incitamento all’odio (come questa per esempio: http://www.rightsreporter.org/tra-liste-di-proscrizione-e-intimidazione-ecco-i-nuovi-metodi-degli-odiatori/), il mio consiglio è dopo la segnalazione di passare al più vicino commissariato e fare denuncia.
Ugo Volli, Informazione Corretta, 06.01.2016
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