Il mondo è in guerra
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)
Il mondo che ha finalmente visto la luce – o meglio, il buio più nero – è costretto a rivedere alcuni dei suoi principi base, se vuole sopravvivere. Il mondo è in guerra. Già subito dopo l’11 settembre del 2001, più di 14 anni fa, l’ex capo del Mossad Efraim Halevy aveva detto che era iniziata la Terza Guerra Mondiale. L’unica cosa che è cambiata nel corso degli ultimi giorni, è che anche il resto del mondo sta cominciando a rendersi conto di essere in guerra. Il mondo occidentale è diventato l’ obiettivo principale del Jihad mondiale, in piedi in un poligono di tiro dove il suo cuore e la sua cultura sono il bersaglio. Gli omicidi di massa, il sangue che scorreva come acqua durante l’attacco dello scorso venerdì 13 novembre a Parigi, non indicavano solo l’uccisione a caso di innocenti, ma anche un attacco contro i simboli della cultura occidentale: teatri, concerti, ristoranti, stadi.
Nel proclama di rivendicazione dell’atroce crimine, lo Stato Islamico ha annunciato di non essersi limitato ad assalire la capitale della Francia, ma ha voluto attaccare la capitale della prostituzione, dell’adulterio e la “paladina delle Crociate”. Gli estremisti islamici sono in guerra con il simbolo più evidente della cultura occidentale, la libertà, e, in primo luogo, la libertà della donna. L’attacco contro l’aereo russo che stava facendo ritorno da Sharm el Sheikh, fa parte di quella guerra. La Russia, combattendo contro i jihadisti in Siria, rende i propri cittadini un obiettivo legittimo agli occhi del Jihad. Non importa se erano turisti innocenti che volevano solo andare in vacanza sulle spiagge del deserto del Sinai. Quello schianto danneggerà l’economia e il crollo del turismo nell’ Egitto di Al Sisi. Dopo tutto lui è un nemico dei Fratelli Musulmani. A tutto questo va aggiunto l’aspetto culturale: quei turisti, per lo più donne, arrivano sulle spiagge del Sinai, bevono alcolici, forse si drogano, prendono il sole in abiti succinti, tutto questo fa infuriare i fondamentalisti islamici. La guerra non si limita alle armi da fuoco e alle bombe.
Terroristi dello Stato islamico
Cresce il numero di coloro che stanno cominciando a scoprire le lacune che consentono al nemico di aprire una breccia nelle mura del mondo occidentale. L’immigrazione di massa dai Paesi islamici, a partire dagli anni settanta, si è ben radicata in Europa, ma non si è integrata nella cultura europea, non ha adottato i suoi costumi, anzi, si è aggrappata ben salda alla propria cultura originale, crescendo in quartieri in cui la cultura del Paese ospitante non è accetta. In seguito agli attacchi della scorsa settimana, il Presidente François Hollande ha annunciato che la Francia cambierà le proprie leggi per consentire al governo di revocare la cittadinanza ai sospetti terroristi. Si svegliano soltanto adesso? Dov’erano tre anni fa, nel 2012, quando il rabbino Jonathan Sandler, i suoi due figli Arieh e Gabriel e la piccola Miriam Monsonego sono stati uccisi a Tolosa da un assassino che proveniva dai campi jihadisti del Medio Oriente? Dov’era il governo francese dopo i massacri all’ Hyper Cacher e al Charlie Hebdo del gennaio scorso? Quali misure furono adottate nel 2006, quando Ilan Halimi è stato barbaramente assassinato a Parigi?
Tutti questi attacchi terroristici sono stati perpetrati da musulmani ai quali si sarebbe dovuto revocare la cittadinanza. La Francia sta chiudendo la porta della stalla solo ora, dopo che i buoi sono scappati. Se vuole sopravvivere, l’Europa deve andare al di là di semplici misure legali e costituzionali, adesso bisogna cominciare a esaminare tre dei principi su cui si basa la sua cultura: diritti umani, correttezza politica e multiculturalismo. “Diritti umani” è un termine molto ampio, impiegato in Europa da gran parte del pubblico, dai media e in ambito giuridico, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Shoah e i crimini del colonialismo europeo. Questo concetto onnicomprensivo non ha lasciato alcun spazio alla sua controparte, i “doveri umani”, ed è interpretato nel senso che ogni essere umano ha dei diritti fondamentali, che li adempia o meno, e propri obblighi e doveri.
Questo è il motivo per cui l’Europa ha concesso a tutto il mondo dei migranti il diritto di raggiungere il proprio terrirtorio. Una visione più ampia di diritti umani ha anche fornito la giustificazione per avere meno figli. Ne consegue che l’Europa ha una statistica demografica disastrosa, il che rende necessario un costante flusso di lavoratori stranieri. Ma questi lavoratori, a differenza degli immigrati del passato, vivono in enclaves culturali e non cambiano gli stili di vita dei loro Paesi di origine. Questo ci porta al “tallone di Achille” successivo, il multiculturalismo. Molti europei credono che un Paese possa riuscire a ospitare diversi generi di culture. Nel caso degli immigrati islamici, questo significa permettere la poligamia, la violenza in famiglia, atti di vandalismo, la violenza contro le persone che non sono musulmane, il lavoro non organizzato e l’accettazione dei tribunali della Sharia, i cui verdetti sono spesso in contrasto con le leggi del Paese ospitante. Il vero significato del multiculturalismo, in questo caso, è l’acquisizione da parte della cultura ospitante non violenta, nella sfera pubblica, economica e politica, di una società violenta, situazione questa che non può reggere a lungo. Le forze dell’ordine hanno paura di entrare nei quartieri dove questa cultura è predominante. Dove la gente che vi abita, sentendosi dimenticata e messa al bando dalla società, si avvicina facilmente al terrorismo. Il terzo problema dell’Europa è come affrontare il “ politicamente corretto ” che chiude le bocche di quelli che evidenziano il problema, etichettandoli come razzisti, estremisti e demagoghi, quindi mettendoli sul banco degli imputati per essere castigati dai media, dal mondo accademico , dai politici e dall’opinione pubblica.
Terroristi di Hamas
La correttezza politica paralizza gli sforzi nei confronti di quelli che vorrebbero impedire la distruzione delle fondamenta della società, al punto che in Svezia è vietato collegare le crescenti molestie e lo stupro di donne da parte immigrati musulmani, anche se la stragrande maggioranza di questi reati sono effettivamente imputabili a loro, che ritengono le mogli degli infedeli di loro proprietà. La battaglia non può essere limitata a coloro che hanno ucciso centinaia di cittadini francesi e russi nel corso del mese scorso.
La guerra si combatte su un campo di battaglia molto più vasto, contro un quadro ideologico globale che giustifica la violenza contro le nazioni d’Europa e la loro cultura. Le nazioni europee devono riconquistare la capacità di difendersi, invece di permettere che la democrazia sia utilizzata come uno strumento nelle mani di quelli che operano contro i valori democratici di libertà. Israele è parte di questa battaglia In Israele si è discusso a lungo se dichiarare illegale il Movimento Islamico guidato nel nord del paese dallo sceicco Raed Salah. Questa gruppo gode attualmente di tutta la protezione e la libertà che una società democratica fornisce ai propri cittadini, anche se non crede per nulla nella democrazia. Sottoscrive solo i valori islamici, come stabilito dalle regole della Fratellanza Musulmana. Crede nella libertà, ma solo per i musulmani, e non accetta la libertà religiosa o la libertà di abbandonare la fede islamica. Crede nell’uguaglianza, ma solo tra musulmani, mentre ebrei, cristiani e ‘infedeli’ devono vivere sotto la protezione islamica con diritti limitati. Crede nel monoteismo, ma le altre religioni monoteiste come il cristianesimo e l’ebraismo, non sono ritenute valide, essendo l’Islam l’unica vera fede. Il Movimento Islamico ritiene che gli ebrei costituiscono una comunità religiosa che fa parte delle varie nazioni in cui vive e quindi gli ebrei non sono una nazione che merita un proprio Stato. Credono che la Terra di Israele, nella sua interezza, è santa per l’Islam e solo per l’Islam, per cui l’esistenza dello Stato di Israele non ha alcuna giustificazione; per loro, è lo Stato di una nazione inesistente con una religione non valida, il cui territorio è destinato a diventare parte di un unico paese musulmano. Il gruppo guidato da Raed Salah è stato fondato nel 1996.
Da allora, ha incitato i cittadini arabi israeliani contro lo Stato, il governo e l’esercito, ed è particolarmente virulento per quanto concerne il controllo israeliano sulla Moschea di Al Aqsa, sul Tempio sacro per il giudaismo. Il controllo ebraico sul Monte del Tempio viene visto come il ritorno dell’ebraismo al potere, una minaccia teologica per l’Islam e così il Movimento lavora febbrilmente per minare il controllo ebraico su Gerusalemme. Sia al nord che al centro, questo movimento ha un’unica ideologia. Quello che opera nella capitale si occupa di politica, ha deputati alla Knesset e agisce come se accettasse l’esistenza di uno Stato ebraico. E’ meno violento e per questo meno popolare tra gli arabi israeliani. Ora che Israele ha deciso di dichiarare l’organizzazione illegale, è fondamentale controllare l’efficacia di tale misura su due fronti: gli attivisti del movimento hanno interrotto le proprie attività anti-israeliane o sono diventati un movimento clandestino che si dedica ad attacchi illegali e violenti? Come potrà questo movimento influenzare il resto dei cittadini arabo-israeliani? Appoggeranno questo movimento o se ne allontaneranno? Questa è una guerra, la guerra contro il fanatismo islamico. L’Occidente e Israele non devono perderla.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all’ Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E’ studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. Collabora con Informazione Corretta.
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