Gaza: verso una guerra civile tra Hamas e Stato Islamico
Cronaca e commento di Maurizio Molinari
Testata: La Stampa
Data: 03 giugno 2015
Pagina: 16
Titolo: «Hamas scavalcata dagli islamisti: anche a Gaza le bandiere nere»
Attentati contro i leader di Hamas, manifestazioni di piazza per restaurare il Califfato, bandiere nere nel campo profughi di Khan Younis e una raffica di dichiarazioni sull’imminente creazione del primo lembo dello «Stato Islamico in Palestina»: nella Striscia si affacciano con prepotenza i gruppi jihadisti seguaci di Isis, ponendo a Hamas la sfida interna più seria da quando nel 2007 prevalse con la forza contro Al Fatah.
L’attentato
Saber Siam è il primo comandante di Hamas ucciso dai seguaci del Califfo Abu Bakr al Baghdadi: domenica lo hanno eliminato con una bomba sotto la sua auto, rivendicando l’esecuzione con un comunicato in cui lo definiscono «alleato dei nemici dei musulmani» imputandogli di «lavorare per il governo eretico di Gaza». A firmare l’esecuzione sono stati i «Jamaat Ansar al-Dawla al-Islamiya fi Bayt al-Maqdis» ovvero i «Sostenitori dello Stato Islamico a Gerusalemme» nati nel 2014 dai contatti fra gruppi salafiti nella Striscia e i jihadisi di «Bayt Al Mqqdis» che operano nel confinante Sinai tenendo in scacco da oltre un anno almeno trentamila militari egiziani.
Alcuni dei miliziani della nuova formazione jihadista di Gaza sono fuoriusciti da Hamas, altri sono islamici che contestano a Hamas troppa tolleranza nei confronti delle donne senza velo e degli uomini che fumano. Ismail Haniyeh, leader politico nella Striscia, dopo la fine dell’ultimo conflitto con Israele gli ha concesso di scendere nelle strade sventolano le bandiere nere del Califfato: l’intento era di gestirli, in qualche maniera governarli, ma l’esito è stato opposto trasformando la moschea al-Mutahabin in una loro roccaforte.
Quando, a inizio maggio, i jihadisti filo-Isis si sono spinti fino a lanciare colpi di mortaio contro un campo di addestramento di Hamas nei pressi di Khan Younis, Hanyeh ha cambiato approccio: i bulldozer hanno demolito la moschea ribelle e almeno una ventina di militanti filo-Isis sono stati arrestati, incluso lo sceicco Yasser Abu Houli.
La vendetta
La repressione di Hamas ha anche un risvolto siriano: la decisione di Isis di assaltare il campo profughi palestinese di Yarmuk, alle porte di Damasco, uccidendo e decapitando alcuni combattenti delle cellule locali di Hamas è stata vissuta a Gaza come un’umiliazione che necessitava un’aspra risposta. Ma i jihadisti pro-Isis si sono moltiplicati e un secondo gruppo è nato nella Striscia – Hizb ut-Tahrir, il Partito della Liberazione – debuttando a metà maggio a Gaza città con una manifestazione di protesta contro l’abolizione del Califfato, decretata 94 anni fa dalla Turchia di Ataturk. In questo caso è stata l’ideologia di Abu Bakr al-Baghdadi a riempire la piazza e Hassan al-Madhoun, portavoce di Hizb ut-Tahrir, la riassume così: «Fu la caduta del Califfato a determinare la perdita della Palestina e delle altre terre arabe, solo il ritorno del Califfato potrà riempire tale vuoto, liberando questa terra e unificando l’Islam».
Nuovi obiettivi
Il linguaggio di al-Madhoun cancella il nazionalismo palestinese di Yasser Arafat e Abu Mazen: l’obiettivo non è realizzare un ennesimo, debole e corrotto Stato arabo bensì dare vita al Califfato islamico, per unire tutti i musulmani. Anche perché se in Siria, Iraq, Libano o Yemen ciò che muove l’ideologia di Isis è l’odio per gli sciiti, a Gaza dove i sunniti compongono la quasi totalità della popolazione, ciò che più conta è «l’inizio della realizzazione in Palestina del Califfato Islamico con Gerusalemme» come dice al-Madhoun, sottolineando che «non in tutti i luoghi del mondo arabo Isis si esprime in modo identico».
Si tratta della versione palestinese di Isis, destinata a minacciare Israele in tempi rapidi: il lancio a fine maggio di un razzo Grad contro la città di Ashdod da parte del gruppo «Sheik Omar Hadid», ex braccio destro di Abu Musaq Al-Zarqawi in Iraq, lascia intendere che i jihadisti vogliono strappare a Hamas la guida degli attacchi al «nemico sionista». Per Hamas si tratta di una temibile minaccia interna, a cui risponde con l’aumento visibile della sicurezza: posti di blocco notturni, più agenti nelle strade e più pattuglie di Hamas nelle zone a rischio, a cominciare da Khan Younis.
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