Renzi non è Francesco: Abu Mazen a mani vuote
Commento di Carlo Panella
Libero Pagina: 14
16 maggio 2015
Oggi, 16/05/2015, Carlo Panella è l’unico giornalista che informa sull’incontro tra Matteo Renzi e Abu Mazen, su LIBERO, a pag.14, con il titolo “Renzi non è Francesco: Abu Mazen a mani vuote”. Aspettiamo domani per trarne una conclusione definitiva, anche se va registrato fin da ora con soddisfazione la serietà del comportamente del nostro presidente del consiglio.
Ecco l’articolo:
Nessuna conferenza stampa congiunta, nessun comunicato finale se non la conferma dell’awenuto incontro, un ben strano silenzio che ha un significato più che probabile: Abu Mazen non ha centrato l’obiettivo, non è riuscito a strappare a Renzi l’assicurazione di un immediato riconoscimento dello Stato di Palestina. Il presidente palestinese non ha fatto il bis, dopo l’annuncio, ovviamente fatto in modo strumentale proprio alla vigilia dell’incontro con Renzi, della disponibilità del Vaticano a riconoscere lo Stato di Palestina. Nei fatti, il presidente palestinese ha dovuto prendere atto del fatto che il governo Renzi segna una continuità perfetta con i governi Berlusconi quanto a rapporti preferenziali con Israele e a diffidenza nei confronti di un governo palestinese che vede in coalizione al Fatah e una Hamas che ancora ha nel suo Statuto la terribile frase che avrebbe pronunciato Maometto: «L’Ultimo Giorno non verrà fino a quando l’ultimo ebreo non sarà ucciso».
Con Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Marco Minniti (e anche con Roberta Pinotti) siamo dunque lontani anni luce dalle ambiguità filo palestinesi e anti israeliane dei governi Prodi, in particolare dell’ultimo, che aveva per ministro degli Esteri Massimo D’Alema che non ha mai nascosto la sua antipatia di matrice sovietica per Israele.
CONTINUITA’
Renzi dunque intende continuare a tenere ben discosto il governo italiano dalla decisione di tanti governi europei, e anche dell’Europarlamento, che invece hanno già riconosciuto lo Stato palestinese. La ragione di questa saggia scelta è presto detta: questo riconoscimento non aiuta per nulla la soluzione dei «due Stati», non favorisce assolutamente, anzi allontana, lo sbocco positivo della trattativa tra Gerusalemme e Ramallah per una ragione semplicissima: è solo propaganda vuota.
IL VERO PROBLEMA E’ HAMAS
Il vero nodo di quella trattativa oggi infatti non sono tanto gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, come vuol fare credere la propaganda palestinese, con l’avvallo dei media politcally correct (inclusi i telegiornali Rai scandalosamente filopalestinesi), ma l’irrisolto rapporto tra al Fatah e Hamas, tra il governo palestinese di Ramallah e della Cisgiordania, che fa capo ad Abu Mazen, e quello di Hamas a Gaza. I rapporti tra queste due organizzazioni palestinesi sono al calor bianco, tanto che nell’autunno scorso i dirigenti di al Fatah di Abu Mazen paragonavano (come d’altronde fa sempre il premier israeliano Benyamin Netanyhau) Hamas all’Isis.
E non si tratta solo di generiche tensioni politiche: i dirigenti di al Fatah sono perseguitati e imprigionati a Gaza, mentre i dirigenti e i militanti di Hamas sono perseguitati in Cisgiordania. Questo perché Hamas non intende assolutamente riconoscere il diritto all’esistenza di Israele (come invece ha fatto Abu Mazen), al massimo sono disposti a siglare delle tregue e hanno trasformato Gaza in un bunker militare da cui lanciare irresponsabilmente – e inutilmente – migliaia di missili contro Israele.
Non solo, Hamas perseguita i cristiani a Gaza e ha imposto nella Striscia una sharia del tutto simile a quella che l’Isis ha imposto nel suo sanguinario Califfato. Non basta, Hamas permette che a Gaza si impianti e si rafforzino le milizie dell’Isis, come denuncia apertamente da un anno non solo Israele, ma il più grande e autorevole stato arabo: l’Egitto governato dal presidente Fattah al Sissi, che non a caso ha circondato la Striscia da una fascia militare ferrea e ha abbattuto centinaia di case al confine con Gaza per far cessare il contrabbando di armi.
Se oggi si formasse uno Stato Palestinese, il suo governo vedrebbe in posizioni cruciali molti ministri di Hamas.
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