Yemen, l’attacco dell’Arabia Saudita può diventare la madre di tutte le guerre
Yemen, l’attacco dell’Arabia Saudita può diventare la madre di tutte le guerre e trasformare il Medio Oriente in un grande campo di battaglia
Umberto De Giovannangeli, L’Huffington Post
Ora non è più solo una guerra per conto terzi. E nemmeno uno dei tanti capitali dell’avanzata del “Califfato” di Abu Bakr al-Baghdadi. Ora è guerra diretta tra Iran e Arabia Saudita. E il campo di battaglia è lo Yemen. È qui che si condensano i tanti scenari di scontro aperti tra Riad e Teheran: dalla Siria all’Iraq, dall’Egitto al Libano. È guerra aperta tra il più importante Paese sciita, l’Iran, e la cassaforte del mondo sunnita, l’Arabia Saudita. Siamo al precipitare della situazione, alla rottura di quel già fragile equilibrio che connota il Medio Oriente. In gioco non è chi sarà il presidente dello Yemen. In gioco è chi sarà la potenza regionale in grado di delineare i nuovi assetti di potere in una delle aree più nevralgiche al mondo.
La diplomazia lascia il passo alla cronaca di guerra. Caccia sauditi hanno bombardato l’aeroporto della capitale yemenita Sana’a. Lo riferiscono testimoni sul posto. Subito dopo mezzanotte l’Arabia Saudita, alla testa di una coalizione di dieci Paesi musulmani ha lanciato un intervento armato nel Paese contro i ribelli sciiti Huthi che da settembre controllano la capitale Sana’a e che negli ultimi giorni stanno avanzando su Aden, la città portuale a sud dove si è rifugiato il presidente, il sunnita Abd-Rabbu Mansour Hadi. Che però potrebbe già aver lasciato il Paese, via mare. Le forze leali al presidente yemenita Abd-Rabbu Mansour Hadi avrebbero ripreso il controllo dell’aeroporto di Aden, nel sud dello Yemen, dopo violenti scontri con i ribelli sciiti Huthi, che lo avevano strappato ieri ai governativi. Un attacco che è stato duramente criticato dall’Iran che ha intimato all’Arabia Saudita di fermare al più presto l’intervento armato e i bombardamenti. Critica anche la Siria. “Caccia dei Paesi del Golfo guidati dal regime della famiglia saudita hanno lanciato una sfacciata aggressione contro lo Yemen”, scrive l’agenzia di stampa ufficiale siriana Sana. “Questa è un’azione pericolosa contro le responsabilità internazionali di rispettare la sovranità nazionale dei Paesi”, rilancia Marzieh Afkham, responsabile dell’ufficio stampa del ministero degli Esteri. “Ricorrere a operazioni militari contro lo Yemen, che è alle prese con una crisi interna ed è occupato ad affrontare il terrorismo, rende la situazione più complicata, fa precipitare la crisi e porta a perdere le opportunità per ricomporre le divergenze interne dello Yemen in modo pacifico”, ha aggiunge Afkham. Riad impegna almeno cento aerei a 150 mila uomini, inclusi i marinai sulle navi della flotta schierata davanti ad Aden. “Abbiamo il controllo dei cieli – affermano i comandi sauditi – ma potrebbe servire un intervento di terra”.
La “polveriera yemenita” sta per esplodere, trasformando il Paese in una sorta di “nuova Siria”, vale a dire uno “Stato fallito”, terra di nessuno contesa dalle milizie, un territorio dove ai combattenti locali possono aggiungersi “foreign fighters”. Come in Siria, come in Iraq. Nel “caos yemenita” si rafforzano vecchie alleanze e se ne cementano di nuove. Ecco allora, l’Egitto del generale-presidente Abdel Fattah al-Sisi, “sdebitarsi” con Riad per il sostegno miliardario ricevuto nella guerra interna che ha spazzato via il presidente islamista Mohammed Morsi e messo fuorilegge i Fratelli Musulmani, e mettere a disposizione la potenza militare egiziana per evitare che lo Yemen cada in mano sciita. Egitto, Giordania, Sudan, Pakistan, Bahrain, Kuwait, Qatar e Marocco garantiranno il sostegno militare a Riad. Alcuni Stati hanno promesso l’invio di truppe di terra (Egitto, Giordania, Sudan e Pakistan), altri invece forniranno aerei da combattimento (Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait, Qatar, Giordania, Marocco e Sudan). L’Egitto ha già inviato 12 navi per mettere in sicurezza il Golfo di Aden. Un sostegno militare arriverà anche dal Sudan. E la Turchia ha dichiarato di schierarsi con l’Arabia Saudita. Riad avrà anche l’appoggio logistico e d’intelligence da parte degli Stati Uniti, che però non sono coinvolti direttamente nel conflitto. Qualsiasi azione militare sarà poi supportata alla Peninsula Shield Force, una forza militare creata da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Bahrein e Oman nel 1984 per la difesa da nemici esterni e usata nel 2011 per sopprimere una rivolta sciita finanziata e supportata dall’Iran in Bahrein.
La Shield Force comprende circa trentamila soldati ed ha dimostrato la sua preparazione proprio in occasione della rivolta in Bahrein, sedata in pochi giorni nonostante nel Paese gli sciiti costituiscono la maggioranza della popolazione. Il segretario generale della Lega Araba, Nabil al-Arabi, ha dichiarato “pieno sostegno” alla campagna aerea guidata dall’Arabia saudita per colpire le milizie sciite Huthi nello Yemen. “E’ un’operazione contro obiettivi Huthi che hanno compiuto un golpe” nel Paese arabo, ha detto l’egiziano al Arabi durante la riunione tenuta a Sharm al Sheikh dei ministri degli Esteri arabi in preparazione del vertice dei capi di stato arabi in programma domani nella località egiziana sul Mar Rosso. Quanto all’Iran, rimarca Daniele Grassi, analista di “Limes”, ha proprio negli Huthi il suo principale strumento di influenza nello Yemen. Sfruttando la comune appartenenza allo sciismo (significative differenze esistono, invero, tra lo zaidismo e lo sciismo duodecimano, o imamita, professato a Teheran), l’obiettivo del regime di Khamenei sarebbe quello di favorire la creazione di un movimento per certi versi simile al libanese Hezbollah, assicurandosi un formidabile strumento nella guerra per procura che lo vede opposto all’Arabia in vari Paesi della regione (Siria, Libano, Bahrain, Iraq e, in misura minore, Afghanistan).
Gli interessi iraniani in Yemen – annota a sua volta Stefano Sensale, analista del Centro Studi Internazionali, – non si limitano esclusivamente al sostegno del movimento sciita del Nord dello Yemen, ma sono rivolti anche al movimento meridionale di al-Hiraak, promotore di forti spinte autonomiste nel sud del Paese. Teheran ha rivolto le sue attenzioni verso al-Hiraak in modo tale da diversificare il proprio operato nel Paese, rendendo più efficace la propria strategia. L’atteggiamento dei membri di al-Hiraak è stato in ogni caso di diffidenza, dal momento che le rivendicazioni del gruppo avvengono in modo non violento e attraverso i canali politici, al contrario di al-Huthi che, dal 2004, utilizza la forza armata. Tuttavia, non è da escludere che l’Iran abbia tentato di instaurare rapporti con questo movimento per avere un appoggio diretto nell’area dello stretto di Bab el-Mandeb. Lo scopo di Teheran potrebbe essere, in altre parole, avere una presenza, anche se indiretta, in uno dei principali crocevia mondiali del commercio di petrolio. È evidente che gli interessi iraniani in Yemen sono di assoluto rilievo: infatti, l’instabilità del Paese, acuita dai conflitti religiosi e tribali interni, potrebbe favorire disordini sul confine saudita. Non si tratta di una “guerra di religione”. Ma di uno scontro geopolitico che chiama in causa anche gli interessi economici dell’Occidente, soprattutto in campo energetico.
Lo Yemen, proteso sul Golfo di Aden e sullo stretto del Bab el-Mandeb, è il naturale crocevia fra mondo arabo e mondo africano, il teatro d’intersezione tra i flussi del jihad della costa orientale africana (gli Shabab somali), quelli siro-iracheni oggi dominati dallo Stato islamico, nonché richiamo per figure del fondamentalismo centroasiatico (un comandante uzbeko e uno ceceno, Abu Muslim Al-Uzbeki e Abu Islam Al-Shishani, sarebbero stati uccisi nella regione di Abyan nel 2014). Ulteriori preoccupazioni geopolitiche arrivano dallo stretto di Bab-el-Mandeb, in arabo lo stretto dei “lamenti” o delle “lacrime”. Da qui passano le rotte che collegano il mar Mediterraneo all’Oceano Indiano, attraverso il canale di Suez e il mar Rosso. Secondo il recente rapporto dell’Eia (l’Agenzia statunitense per le informazioni sull’energia) “World oil transit chockepoints”, Bab-el-Mandeb è il quarto “collo di bottiglia” al mondo per volume di greggio e prodotti petroliferi trasportati. Nel 2013, l’Eia ha stimato che dallo stretto sono passati ogni giorno 3,8 milioni di barili (2,9 del 2009). Il rapporto mostra come attraverso questi luoghi (chiamati “colli di bottiglia” per il loro spazio limitato che pone restrizioni alla grandezza delle imbarcazioni che devono attraversarli) passi il 63% della produzione di greggio mondiale, 56,5 milioni di barili al giorno su un totale di 90,1. Si tratta dunque di luoghi critici per gli approvvigionamenti energetici, esposti a incursioni di pirati, attacchi terroristici, incidenti marittimi, fuoriuscite di petrolio e instabilità politica, tanto che un blocco alla navigazione è in grado di incidere sui costi dell’energia mondiale.
Dal decollo dei primi caccia saudita il greggio ha già perso il 6% del suo valore. Lo Yemen sta precipitando in un caos disgregante – avverte Paolo Lembo, coordinatore Onu nel Paese – e le conseguenze verranno pagate non solo dal mondo arabo ma dal mondo intero, perché qui opera una delle branche più pericolose di al Qaeda”. Gli Huthi conosciuti anche come Ansar Allah (Partigiani di Dio) sono sciiti e appartengono alla comunità yemenita degli zaydi, che rappresenta almeno il 30% della popolazione. Gli zaydi hanno controllato il Nord dello Yemen per circa mille anni fino a quando nel 1962, in seguito a un colpo di Stato, hanno perso il loro potere. Il gruppo degli Huthi è nato nel 1992, con il nome di “Gioventù credente”. Quello attuale viene da Hussein Badr al-Din al Huthi, che nel 2004 ha guidato la loro prima insurrezione nella provincia di Saada, loro roccaforte. A sostegno del presidente in fuga si è schierato anche Bashar al-Assad, così come il governo iracheno (a guida sciita) che ha espresso la propria opposizione all’intervento militare saudita nello Yemen, sottolineando che il ricorso alle armi non è una soluzione.
Un elemento in più per comprendere che quella nello Yemen è molto più che un conflitto locale è il deflagrare della “madre di tutte le guerre” nel Medio Oriente in fiamme: quella tra Sciiti e Sunniti. Quanto all’Italia, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha ricevuto nel pomeriggio di ieri una telefonata dal Ministro degli Affari Esteri saudita, Principe Saud al-Faisal. che ha informato il responsabile della Farnesina circa l’iniziativa militare che il governo di Riad avrebbe intrapreso nelle successive ore notturne rispondendo alla richiesta di aiuto del Presidente legittimo yemenita Hadi. A renderlo noto è la Farnesina. Gentiloni ha espresso comprensione per le preoccupazioni per gli sviluppi della crisi in Yemen che configurano una minaccia alla sicurezza dell’Arabia Saudita e ha preso atto delle caratteristiche “limitate e difensive” della preannunciata azione militare. Sul “difensivo” si può discutere, ma quanto al “limitate” le notizie che giungono dallo Yemen raccontano un’altra storia: quella di una guerra in, grande stile.
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