«Gli italiani non sono pronti per una guerra in Libia»
Dopo Tunisi si teme per gli interessi dell’Eni in Libia. L’Isis avanza, Eyal Mizrahi: «Intervento militare impossibile per un governo di centrosinistra». Israele: «Netanyahu ha vinto sulla paura»
di ROBERTO BETTINELLI
Dopo la carneficina del Museo del Bardo a Tunisi dove hanno perso la vita quattro italiani e altre 16 persone, quasi tutti turisti, sale la preoccupazione per la penetrazione dei terroristi dell’Isis in Libia. Un’avanzata che rappresenta una minaccia per gli interessi italiani nel Paese che si affaccia sul Mediterraneo dove l’Eni produce 350mila barili di petrolio al giorno e dove nel 2014 ha estratto 4,3 miliardi di metri cubi di gas che potrebbero arrivare a 6,2 miliardi entro la fine dell’anno.
«L’Italia non è pronta per sostenere una guerra in Libia. Capisco gli interessi energetici da tutelare, ma combattere significa confrontarsi con il dramma di perdere vite umane e soprattutto significa affrontare i costi di un’operazione che succhierebbe risorse economiche che il Paese non ha. Inoltre sono da valutare le conseguenze politiche. Ma ce lo vede lei un governo dove la sinistra ha un peso così rilevante che organizza o partecipa all’invasione di una nazione araba?». Eyal Mizrahi, presidente dell’Associazione Amici d’Israele, vive in Italia da oltre 30 anni ed è un esponente importante della comunità israelitica che conta 30mila persone. Mizrahi non ha dubbi sul fatto che l’attentato a Tunisi sia un episodio che chiama in causa l’Italia e l’Europa. Il generale Haftar, comandante delle truppe libiche, ha chiesto di eliminare l’embargo militare contro il suo Paese per combattere i terroristi. Danilo Errico, capo di Stato maggiore dell’esercito italiano, in una recente intervista al Corriere della Sera ha dichiarato che le forze armate sono pronte a sostenere una guerra in Libia.
Perché dice che l’Italia non può affrontare un intervento militare?
«E’ una cosa che Renzi non può permettersi e va al di là delle sue potenzialità. Non ha i soldi. Non ha la copertura politica dal momento che il suo partito ha all’interno una corrente di sinistra molto influente. In parlamento dovrebbe gestire la reazione di Sel e del Movimento 5 Stelle. Non dimentichiamo che l’Italia sta tagliando le spese militari. L’esercito è ridotto al lumicino. Lo stesso vale per marina e aviazione. Gli Stati Uniti sono quasi andati in fallimento dopo l’invasione dell’Iraq e dell’Afganistan».
Ma come farà il governo a proteggere i pozzi dell’Eni?
«Al momento non corrono rischi. Il personale è stato rimpatriato. Ma non ci sono notizie così allarmanti. E’ vero, si tratta di una calma apparente. La presenza dell’Isis non è molto radicata allo stato attuale, ma lo diventerà in fretta».
Renzi vuole coinvolgere l’Onu…
«Non credo sia possibile. L’Onu non si muoverà. L’Africa settentrionale non è un luogo strategico per le Nazioni Unite. Inoltre mettere d’accordo i membri del Consiglio di sicurezza sarà davvero difficile. La Cina non ha alcun interesse. La Russia è impegnata in un braccio di ferro con gli Stati Uniti e sta subendo le sanzioni dell’Europa. Non ci sono le condizioni favorevoli per una risoluzione a favore dell’intervento armato».
E la Nato?
«Può intervenire, ma lo farà solo se il problema diventerà urgente agli occhi degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Non mi sembra che la cosa sia arrivata a questo punto. Non ancora almeno. Obama finora non ha dato segnali di voler andare fino in fondo e le nazioni europee sono alle prese con una crisi economica che scoraggia qualsiasi tipo di spesa aggiuntiva».
Quale potrebbe essere la soluzione per aumentare la sicurezza in Libia e in Tunisia?
«Vanno rafforzate le fazioni del governo libico. Devono trovare la possibilità concreta di opporsi insieme a l’avanzata dell’Isis. In Iraq non ha funzionato, ma non ci sono altre strade se si esclude l’intervento militare. Servono armi e truppe ben equipaggiate».
Perché i terroristi hanno scelta la Tunisia?
«E’ minaccia per il fondamentalismo islamico. Il presidente è eletto democraticamente, il Paese è guidato da governo laico che mantiene una linea di apertura all’occidente, l’economia sta reggendo grazie al turismo che in Tunisia, come in Egitto, rappresenta una quota importante del Pil. E’ evidente che l’Isis sta mettendo in campo una strategia che vuole impoverire la popolazione e far crescere la rabbia contro le istituzioni legittime».
Lo Stato di Israele come reagirebbe davanti a un intervento militare della Nato in Libia?
«La Libia è un problema tutto europeo ed italiano. Come la Tunisia. Israele approverebbe un intervento massiccio in Siria, Iraq o in Libano dove l’Isis sta crescendo molto. La Libia è lontana dagli interessi militari ed economici di Tel Aviv. E’ una partita tutta europea e americana».
Ma Obama ha dichiarato che i leader libici che credono nella democrazia devono fare di più contro l’Isis…
«Perché gli Stati Uniti possano tornare a pianificare interventi militari importanti come quelli che abbiamo visto quando al potere c’era Bush credo sia necessario attendere un presidente repubblicano».
Gli Stati Uniti come valutano la vittoria di Netanyahu?
«Obama non mi sembra possa accogliere positivamente la sua riconferma. Per il presidente americano Netanyau è una spina nel fianco. Non c’è giorno in cui il premier israeliano non punti il dito contro la nuclearizzazione dell’Iran, l’avanzata dell’Isis in Iraq, la tragedia della Siria. C’è chi percepisce tutte queste questioni come lacune dell’amministrazione Obama».
Il programma nucleare iraniano la spaventa?
«Spaventa tutti gli israeliani e dovrebbe spaventare tutto l’occidente. Dopo l’Iran altri Paesi vorranno avere il loro arsenale atomico: Egitto, Turchia, Arabia Saudita. Nel giro di pochi anni ci troveremmo con un Medio Oriente dove la minaccia nucleare è una realtà».
Tutti davano per spacciato Netanyahu. Invece è riuscito nella rimonta. Perché?
«Ha puntato sulla sicurezza e ha vinto. Benjamin Netanyahu è un leader attento all’umore del popolo israeliano e sa come cavalcare opinione pubblica. Israele sta vivendo una situazione socioeconomica difficile. Ma Netanyahu conosce molto bene gli israeliani e sa che il vero sentimento che li anima in questa fase storica è la paura degli arabi. Vedono che cosa accade al di fuori del loro confini. Allo stesso tempo i palestinesi non fanno molto per infondere tranquillità».
Hamas ha già espresso critiche molto negative. Che tipo di esecutivo nascerà?
«Torneranno al governo gli ebrei ortodossi. Si tratta di una una fetta di popolazione che non contribuisce né alla difesa né al rilancio dell’economia e cresce esponenzialmente. Non fanno il servizio militare, tantissimi non lavorano, fanno molti figli. Credo che sorgeranno tensioni importanti con l’ala laica del governo. E’ un passo che ci riporta indietro nel tempo».
Chi ha votato per Netanyahu?
«Il ceto medio basso. Le persone che è molto più facile spaventare. Giudico sorprenderete l’affermazione del centrosinistra che fino all’ultimo ha lottato nel testa e testa. Un risultato formidabile anche se prevedibile sulla base dei dati economici. Il ceto medio si è impoverito, quello più ricco ha visto migliorare ulteriormente la propria situazione. Le differenze sociali sono più ampie. I servizi pubblici sono peggiorati rispetto al primo mandato di Netanyahu. Ma tutto questo non è bastato. L’opinione pubblica era troppo concentrata sulla sicurezza. Il resto è stato trascurato».
Netanyahu ha dichiarato prima del voto che non avrebbe mai accettato la nascita dello Stato palestinese.
«Una posizione coerente con una campagna elettorale condotta all’insegna del tema della sicurezza. A chi si attende una stretta sul fronte della democrazia è giusto sottolineare che Israele resta un’isola felice nel Medio Oriente dove più partiti lottano nel rispetto delle regole per conquistare pacificamente il governo della nazione. Certo, se l’allerta continua ad essere così alta ci saranno cambiamenti negativi. Ma è inevitabile. La priorità è garantire la sicurezza nazionale».
Che cosa ne pensa della ‘Primavera araba’ e perché il reclutamento dell’Isis ha così successo?
«I vecchi dittatori sono caduti sotto i colpi delle rivolte popolari: Gheddafi, Ussein, Nel Ali, Mubarak. Da quel momento si è liberato il demone del fondamentalismo. Gli effetti della ‘Primavera araba’ non possono essere interpretati in una prospettiva di 15 anni. Serve almeno il doppio se non addirittura 50 anni quando l’energia fondamentalista avrà ridotto la sua portata. Ho la speranza che le popolazioni dei paesi arabi cittadini non alimentino il terrorismo, ma la subiscano. Il successo dell’Isis viene dalla miseria economica e dal vuoto dei valori. Fenomeni che colpiscono soprattutto le giovani generazioni. I terroristi offrono soldi e valori forti in cui credere».
Per l’Italia il pericolo del terrorismo può venire anche dai clandestini che sbarcano sulle nostre coste…
«Purtroppo l’Italia è un Paese dove la cultura di sinistra esercita grande influenza. Ciò impedisce al Paese di essere realista e di difendere le sue frontiere. I clandestini entrano senza documenti che accertino qualifiche, percorsi di studio e di lavoro, identità e luogo di origine. Gli sbarchi? Sappiamo tatti come funzionano…appena arrivati in mare aperto, gli stranieri chiamano la marina italiana per essere soccorsi. In Spagna e in Francia i governi si comporterebbero in modo molto diverso. I barconi vanno respinti. Bisogna avere il coraggio di organizzare i centri di raccolta nei Paesi di provenienza dove i profughi possono fare tutta la trafila per chiedere l’ingresso in Italia. Gli Stati Uniti sono molto rigorosi: reclutano falegnami, operai, agricoltori e altre categorie rilasciando un numero preciso di permessi. Il criterio è dettato dalle necessità reali della loro economia. Gli stranieri sono dotati di tutti i mezzi per integrarsi: documenti, lavoro, posti letto. In Italia te li ritrovi per strada e alcuni di loro sono pronti a rubare e ad ammazzare».
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