Se accettiamo i ‘confini di Auschwitz’, perché mai si dovrebbero fermare?
Testata: Informazione Corretta
Data: 08 gennaio 2014
Autore: Ugo Volli
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
avete mai sentito parlare dei confini del ’67? Se leggete queste parole siete certamente interessati al Medio Oriente e quindi la risposta è certamente: sì, ne avete sentito parlare e sì, sapete anche che è lo slogan dei palestinisti “moderati” (quelli meno “moderati” o solo più sinceri, come Hamas e gli ayatollah iraniani e i vattimi ammettono di voler semplicemente cancellare Israele). Sapete anche che fra questi palestinisti “moderati” o ipocriti si è schierata anche l’Unione Europea, che finanzia i terroristi con le nostre tasse e anche l’amministrazione Obama che si è rimangiata un impegno ufficiale dell’amministrazione precedente a riconosce “le realtà sul terreno” e una legge vera e propria emanata dal Congresso che riconosce Gerusalemme come capitale di Israele. Sapete anche che questi “confini del ’67” non sono confini, ma mere linee stabilite in accordi armistiziali dove era esplicitamente stabilito che non si trattava di confini internazionali e che non furono istituiti nel ’67 ma nel ’49; sapete anche che non hanno base giuridica in nessun atto internazionale, che non dividono affatto regioni diverse, che la delibera dell’Onu che pose fine alla guerra del ’67 in cui furono superati, invitava Israele a ritirarsi “da” territori conquistati e non “dai” o “da tutti” i territori, riconoscendo a Israele il diritto a vivere in confini difendibili, ben diversi da quelli di prima, chiamati da Abba Eban “i confini di Auschwitz”.
Non discutiamo di questo. Chiediamoci invece perché i palestinisti amano rifarsi a quei confini del ’67. Semplice: perché quei 18 anni sono i soli dalla Prima Crociata (1099) a oggi in cui uno stato arabo (non palestinese, giordano) abbia posseduto la terra di Israele. E fu un periodo terribile, di pulizia etnica totale. Gli ebrei, che erano stati presenti a Gerusalemme o in altre località circostanti dai tempi di Davide furono tutti espulsi, fino all’ultimo vecchio o bambino. Il quartiere ebraico di Gerusalemme, con le sue antichissime sinagoghe e case fu distrutto, le lapide funebri furono usate per lastricare le strade, nessun accesso fu concesso, contro le delibere dell’Onu e gli impegni della Giordania, ai luoghi religiosi, neppure i più sacri come il Kotel. I villaggi agricoli, costruiti negli ultimi cento anni su terreni regolarmente comprati, furono tutti distrutti. E’ questo che rimpiangono i palestinisti, una situazione di totale intolleranza e antisemitismo, con Gerusalemme e il paese diviso fra una parte (Israele) che ammetteva la pluralità delle origini etniche e delle pratiche religiose e un’altra (l’occupazione giordana, non riconosciuta se non dal Pakistan e dalla Gran Bretagna) che praticava la pulizia etnica, il genocidio culturale, l’intolleranza religiosa: un regime da fare invidia alla Germania nazista. Sapete adesso perché parlano del ’67, perché è quello che vogliono, non un paese multietnico e religiosamente pluralista.
Vale la pena ora di chiedersi che cosa sarebbe accaduto se non ci fosse stata la guerra del ’67 e il suo esito trionfale per Israele. “Ci sarebbe oggi uno stato palestinese in Cisgiordania e Gaza? Vorrebbero oggi i vicini arabi di Israele considerare le 1949 linee di armistizio come “confini”? Sarebbe oggi concesso agli ebrei di visitare i loro luoghi santi di Gerusalemme, Betlemme, Hebron e altrove? Gli israeliani in Galilea sarebbero al sicuro dal fuoco proveniente dalle alture del Golan? Non ci sarebbero state più altre guerra di aggressione montata contro Israele? Il Medio Oriente sarebbe un posto più sicuro oggi? Sarebbe diminuito il terrore in tutto il mondo? Sarebbe stato risolto il problema dei “rifugiati palestinesi”? Gli odiatori di Israele lo odierebbero di meno?” (http://elderofziyon.blogspot.it/2013/06/if-six-day-war-hadnt-happened.html#.UsxBz_TuKSo ) Se la risposta a tutte queste domande è no, come a me sembra probabile, perché bisognerebbe tornare a uno stato di cose che produrrebbe solo guai?
“Mentre quella triste epoca pre-1967 sembra storia antica, ciò che coloro che rimpiangono il 1967 ignorano, è che non vi è stato alcun cambiamento epocale nel parere arabo su Israele da allora. Anche in quei paesi come l’Egitto e la Giordania che hanno firmato trattati di pace con Israele, il sentimento prevalente tra la popolazione rimane di sostegno alla sua distruzione. Finché ciò non cesserà e i palestinesi verranno a patti con il carattere definitivo del ritorno degli ebrei alla loro terra, sostenere che solo costringendo Israele a rinunciare al territorio guadagnato in una guerra di autodifesa si risolverà il conflitto non è solo illogico, è un progetto di suicidio nazionale.” (http://www.commentarymagazine.com/2013/05/08/why-didnt-the-1967-borders-bring-peace/ ). I “confini del 67” (cioè le linee armistiziali del ’49) non hanno affatto portato alla pace nel loro tempo: ci sono state guerre, attentati, terrorismo, e sempre da parte araba contro Israele. Perché oggi dovrebbero portare la pace? O, detto in maniera ancora più esplicita: avendo ottenuto una vittoria grazie all’appoggio dei potenti del mondo e diventando così molto più forti, perché gli arabi dovrebbero fermarsi e rispettare quel che resterebbe di Israele? L’obiettivo finale sta scritto in tutti gli statuti, disegnato in tutte le bandiere e gli stemmi, proclamato continuamente alla televisione e nella scuola: la conquista di tutta la terra fra il Giordano e il mare, “senza escluderne un centimetro”. Con l’appoggio dell’America e con Israele indebolito e confuso dal ritiro, lo ripeto, perché si dovrebbero fermare? Chi vuole “i confini di Auschwitz” non vuole la pace, ma il cimitero.
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