Il leone d’Israele che lottava anche per noi
Tramite INFORMAZIONE CORRETTA, riportiamo da LIBERO del 12/01/2014, a pag. 1-15, il ricordo di Ariel Sharon magistralmente scritto da Maria Giovanna Maglie dal titolo “Il leone d’Israele che lottava anche per noi”.
«Io distruggerò chiunque alzerà una mano sui miei figli, distruggerò lui e i suoi figli, con o senza la nostra famosa purezza delle armi… Sa perché valeva la pena di fare questa guerra? Perché ci ha reso impopolari, finalmente non sentiremo più ripetere le assurdità sulla famosa moralità ebraica, sulla lezione morale dell’olocausto o sulla immagine di purezza e virtù degli ebrei emersa dalle camere a gas». È la frase scandalosa che Ariel Sharon getta in faccia durante un’intervista del 1982 ad Amos Oz, da trent’anni la presunta prova della bassezza dell’uomo, ne è al contrario la migliore celebrazione che mi venga in mente, la prova che non aveva paura di niente, tantomeno del conformismo delle parole. Shalom Arieh, vai in pace vecchio leone. Anche nella biografia che il figlio Gilad gli ha dedicato ci sono delle verità semplici sulle sue caratteristiche brusche ed eccezionali, mischiate a qualche squarcio di intuizione sul presente che forse per fortuna sua, certo non per la nostra, Arik non ha visto. Cito alcune frasi da un’intervista a Libero. «Senz’altro la più grande sconfitta è stata la battaglia di Latrun, quando comandava un plotone il 26 maggio 1948. Aveva vent’anni e l’attacco fallì. Il plotone di mio padre rimase solo sul campo di battaglia e anche lui venne ferito gravemente. Su trentacinque uomini ne sopravvissero quattro. Quel fatto gli stampò per sempre nella testa l’idea, e la regola, che non si lasciano indietro gli uomini, e più tardi divenne un valore dell’intero esercito. Vittorie ne ebbe molte. Negli anni Cinquanta, come comandante di una squadra guidò tutte le azioni israeliane antiterrorismo. Poi fu al comando della Guerra dei Sei Giorni e del passaggio del canale di Suez, nella guerra del Kippur del 1973. Diede una svolta alla guerra». «Mio padre era un politico atipico. È sempre stato un po’ ai margini anche quando si dedicava alla formazione di diversi partiti politici. La sua forza e perseveranza gli venivano dal popolo e non dai componenti del suo partito Le trattative politiche non erano il suo forte. Fin da quando era un giovane ufficiale aveva sempre detto quello che pensava, il che gli aveva procurato dei guai». «Diceva che ci sono cose che ci vogliono anni a costruire, e poi le perdi in un attimo. Credeva fortemente che se un nemico supera una linea, e non c’è reazione, il potere di deterrenza di tutto un Paese perde ogni valore ». «Era molto legato al presidente George W. Bush, lo ha incontrato dodici volte ed è anche stato invitato nel suo ranch di Crawford, in Texas. Era legato a Tony Blair. Ma aveva rapporti ravvicinati anche con leader arabi. Quando Anwar Sadat venne in Israele nel ’77, stringendo la mano a mio padre gli disse: «L’ho cercata nel deserto vicino al canale di Suez». Si riferiva alla guerra dello Yom Kippur. Mio padre rispose: «Adesso mi ha trovato, se vuole, come amico». «Pensava che il tentativo dell’Iran di arrivare all’atomica doveva essere gestito da una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Vedeva la minaccia come rivolta non solo a Israele. Anche i sunniti sono terrorizzati. Tra sanniti e sciiti c’è una guerra che dura da mille anni, anche se non lo dicono apertamente. Quando parli con loro, diceva, in privato dicono cose completamente diverse da quelle che poi ripetono in pubblico. Se parli con gli egiziani, si riferiscono ai palestinesi nei peggiori termini possibili». Provo a pensare a cosa il leone Arik avrebbe pensato sulle sciocchezze allegramente promosse dai Cameron, dai Sarkò/ Hollande, dagli Obama, sulla cosiddetta primavera araba. Riuscire a scrivere un po’ di verità su Sharon, che ora è morto anche nell’effigie che la sua vita straordinaria si era ridotta a sopportare da otto anni, dal giorno dell’ictus, significa ristabilire un po’ di verità su Israele: calunniato e delegittimato lui come il suo Paese, la sicurezza, la difesa, la protezione del quale noi europei non siamo capaci di capire che sono tutt’uno con la nostra. Ci potete aggiungere il fascino e il rischio dell’utopia estrema di un pezzo di terra che tutti ci aiuta a restare Occidente finché ne capiremo il valore, ovvero ancora per poco. L’immagine stupida e corrente tanto di Israele che di Arik è invece riassunta nella vignetta che nel 2003 vinse la gara di Londra: uno Sharon enorme e nudo divorava, beandosi del sangue, teste di bambini palestinesi. Il politically correct europeo suicida non ha mai sopportato che la difesa di Israele fosse per lui un indiscutibile dovere. Bisognava farne un mostro: la strage di Sabra e Chatila di cui fu decretato responsabile “indiretto”, dimenticando di ricordare che i cristiano falangisti attaccarono certo un campo di profughi ma che nascondeva i terroristi assassini del presidente neo eletto del Libano, Bashar Gemayel; la famosa passeggiata in un luogo sacro anche a Gerusalemme, la Montagna del Tempio, eppure non consentito agli israeliani, chissà perché, e usata ignobilmente da Arafat per scatenare la seconda intifada. Sharon non ha mai nutrito odio per i palestinesi, e si impegnò per «due stati per due popoli», era un eroe civile ma prima un militare, certo non avrebbe mai accettato di dividere Gerusalemme, ma desiderava la pace. Era nato in un villaggio comunitario, Kfar Malal, dove giunsero da Brest Litovsk i suoi genitori negli anni ’20 ispirati dalla fedeltà all’ideale di costruzione dei pionieri. Dalla guerra del ’48 in avanti, quando ha fondato l’unità 101 a quando ha guidato nel Sinai il battaglione che nel ’73 ha salvato Israele creando un passaggio sulla riva occidentale del Canale di Suez, Sharon è stato un comandante eroico e amato dai suoi uomini. Ha reinventato la lotta contro il terrorismo quando Israele stava soccombendo negli anni dell’Intifada. Ha ordinato lo sgombero di Gaza subendo lo strazio di essere attaccato dalla parte del Paese che gli era più cara, ma lo ha fatto per il bene di Israele, non certo perché si fosse pentito e avesse cambiato idea. Perfino un partito nuovo e più liberale sulle controversie del Likud si era deciso a fondare, e lo aveva chiamato Kadima, avanti, verso il futuro che lo ha subito dopo atteso e bloccato. Della salute se ne infischiava, come Golda Meir con le sue sigarette, Rabin e il suo whisky, ché in uno stato avamposto e guarnigione si vive bene solo tra la vita e la morte, cercando e schivando la bella morte. Se questi otto anni li avesse vissuti, Sharon avrebbe visto cose che lo avrebbero compiaciuto, penso al discredito di Abu Mazen, in parte addolorato, non oso pensare a un suo incontro con Obama e i suoi disastri. Oggi la sinistra israeliana che ha a lungo pensato che la soluzione al conflitto fosse “territori in cambio di pace”, non dice più che si devono lasciare le colonie senza pretendere l’applicazione della risoluzione 242 dell’ONU, che recita che ogni “insediamento territoriale” deve esser oggetto di negoziati per garantire anche la sicurezza israeliana. Il ritiro da Gaza ha lasciato invece piede libero a Hamas, e Gaza è diventata una rampa di lancio di missili. Oggi è più chiaro che i palestinesi non vogliono due popoli e due Stati, ma solo mandare via gli ebrei, contando sulla caduta dell’ideale, sulla stanchezza di guerra, sulla scomparsa di eroi estremi della tempra di Arik Sharon. Spero che sbaglino. Shalom Arieh.
2 Responses to Il leone d’Israele che lottava anche per noi
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Ehm, quella intervista di Amos Oz con Ariel Sharon e’ un falso, l’intervista in realta’ non era con Sharon, ma con un comandante Israeliano in pensione non meglio identificato.
Proprio voi dovreste far attenzione a non dare credito a questi falsi.
Ehm, quella intervista di Amos Oz con Ariel Sharon e’ un falso, l’intervista in realta’ non era con Sharon, ma con un comandante Israeliano in pensione non meglio identificato.