2014gennaio266Testata: Informazione Corretta
Data: 01 gennaio 2014
Autore: Ugo Volli

Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Auguri da Informazione Corretta  a tutti i lettori .

Cari amici,

come molte cose che la nostra società considera perfettamente civili e laiche, anche Capodanno nasce come ricorrenza religiosa cristiana e per questo la festa suscita un po’ di diffidenza negli ambienti religiosi ebraici: celebrarla vuol dire in qualche modo aderire a una cultura che continua ad essere esterna (e anche ostile, anche oggi) all’ebraismo. Ma dato che gli ebrei di capidanno ne hanno addirittura quattro, quello più noto d’autunno, quello che sta per arrivare il 16 gennaio, il capodanno “degli alberi” (Tu Bishvat), quello che ricorda “il primo dei mesi”, il periodo pasquale, cioè la liberazione dell’Egitto e un altro ancora che riguarda le decime e cade in estate, non è un problema certamente tener conto di quello “civile” o “commerciale” che cade oggi.
E neppure usarlo, come si fa per legge, per chiudere i bilanci delle società e fare i conti. Nel nostro caso la società che ci interessa non è commerciale né economica, è il mondo intero nella sua dimensione politica, naturalmente in riferimento a Israele e all’ebraismo.


Anch’io dunque proverò a dirvi quali sono le tendenze, le preoccupazioni e le speranze di questo momento: è un bilancio utile, perché viviamo in una situazione molto grave e pericolosa, ma non ancora decisa. In entrambi i campi non vi sono stati sviluppi drammatici nel 2013, ma la situazione si è pericolosamente deteriorata.
Per quel che riguarda la condizione degli ebrei fuori da Israele, lentamente, progressivamente e inesorabilmente l’antisemitismo avanza. Negli ambienti perbene degli intellettuali, dei giornali e dei governi, non si chiama antisemitismo, ma “opposizione all’occupazione”, dunque scelta di “punire” o di “condizionare” Israele (o il suo governo, non fa nessuna differenza reale) per le sue “colpe”, la cui principale sarebbe di stare legittimamente insediato su una parte del suo territorio storico, che gli fu accordato già quasi un secolo fa da deliberazioni internazionali ancora vincolanti (http://www.icrc.org/eng/assets/files/review/2013/irrc-888-baker.pdf)
.Il fatto che per esempio l’Europa assuma provvedimenti punitivi contro le “colonie”, insisto, perfettamente legali (https://www.youtube.com/watch?v=ub2x5UvjUs4 , mentre non fa nulla per difendere uno suo stato (Cipro) a metà occupato e anzi dimostri di voler trattare l’ammissione di chi lo occupa (la Turchia) e spesso ci faccia accordi e gli conceda finanziamenti; che lo stesso comportamento abbia con uno stato “associato” e massicciamente finanziato come il Marocco (che occupa l’ex Sahara Spagnolo), la dice lunga su una discriminazione che non è come qualcuno potrebbe pensare, a favore dei palestinesi (del tutto ignorati quando per esempio subiscono stragi e maltrattamenti fuori da Israele, trent’anni fa da Giordania e Libano vent’anni fa dal Kuwait, ora dalla Siria) ma contro gli ebrei che si sono costruiti uno Stato, rivela l’antisemitismo delle nostre élites (e l’ipocrisia di non chiamarlo come tale).
Questo atteggiamento va crescendo e intensificandosi, per il momento c’è ancora la foglia di fico di non chiamare in causa gli ebrei che stanno nei paesi politicamente anti-israeliani/antisemiti, ma bisogna chiedersi fino a quando si vorrà tener fermo questo alibi.
Poi c’è l’antisemitismo popolare, che diventa sempre più giustificato. Negazionismo della Shoà, magari autorizzato da qualche giudice “illuminato”. Complottismo contro la presenza ebraica nella finanza (cui di recente è stato attribuito il dominio sul mondo, secondo il modello dei “Protocolli”, e dunque la responsabilità della crisi economica, non solo da un arruffato capopopolo dei “forconi”, ma negli ambienti del nuovo “movimento” di sinistra che controlla un quarto del Parlamento, e anche da certi esponenti periferici ma non insignificanti della Lega. Fioritura di siti web in vari modi antisemiti. Celebrazione nella rete delle “vittime” del “colonialismo” se non proprio del “nazismo” israeliano (“vittime” che quasi ogni giorno ormai tagliano la gola a vecchi e bambini, spediscono razzi sulle città, sparano da lontano a chi capita, accoltellano i passanti e tirano pietroni sulla macchine sperando di provocare incidenti mortali…).
Di recente, l’epidemico successo di quell’invenzione di un comico musulmano nero che vive in Francia di un “saluto nazista al contrario” o piuttosto appena mimetizzato, col braccio steso in basso invece che in alto. Il cielo ci salvi dai comici, si chiamino Dieudonné, Fo o Grillo, per non parlare dei vignettisti che (anche loro) sono sostenuti da giudici molto democratici quando disegnano avversari politici ebrei con tratti da vecchio giornale razzista del bel tempo che fu.
Ma si sbaglierebbe a minimizzare il fenomeno della “quenelle”, il saluto nazista mimetizzato: perché su internet circola una quantità impressionante di foto di sciagurati che sono andati a compiere quel gesto di spregio davanti a luoghi come l’ingresso di Auschwitz o i memoriali della Shoà o le istituzioni ebraiche, compresa la scuola di Tolosa dove tre anni fa un terrorista islamico ammazzò a sangue freddo tre bambini solo perché ebrei http://www.timesofisrael.com/nazi-style-quenelle-salute-performed-at-toulouse-jewish-school/
.Ma è un segnale cui non si sono sottratte varie celebrità dello spettacolo e dello sport e che, come vedete nell’ultima foto di questa paginahttp://www.sport.net/samir-nasri-pictures-performing-quenelle-gesture-after-nicolas-anelka-row_100797  non è incompatibile col saluto comunista a pugno chiuso. Insomma, rischia di rappresentare il simbolo di quell’alleanza rosso-verde-nera, che funziona a geometria variabile (certe volte i nazisti sono contro gli islamici, ma spesso si alleano con gli islamisti, nel nome del comune odio alla democrazia e a Israele; non è raro che su temi come le ragioni della crisi economica, l’11 settembre, Israele, i nostalgici del comunismo si uniscano al coro).
L’aspetto più preoccupante di questa configurazione non è quel che fa – poco, l’antisemitismo violento viene soprattutto dagli immigrati islamici e si esercita per il momento soprattutto in Nord Europa e in Francia – ma quel che promette di diventare, la legittimazione che ormai ha conquistato per l’odio omicida nei confronti degli ebrei: una cosa che solo dieci anni fa sarebbe parsa inconcepibile.
Più inquietante e difficile è la situazione di Israele. Non solo perché il bersaglio grosso degli antisemiti ormai è lo Stato ebraico: una volta si parlava di “soluzione finale del problema ebraico”, ora di “risolvere il problema delle colonie”. Né per quell’accumulo di pregiudizi e di prepotenza da parte delle élites politiche mondiali di cui parlavo prima. Vi è qualcosa di più preciso, che ha un cognome (Obama) e soprattutto un nome (Barack Hussein, i nomi del presidente americano, entrambi di origine islamica).
L’anno che è passato è stato il primo in cui il presidente americano esercitasse il suo secondo mandato e dunque fosse esente dal giudizio dell’elettorato, non dovendo (anzi non potendo) essere rieletto.
Quel che vediamo è dunque la vera politica di Obama, e non è esagerato definirla catastrofica. Il balletto sulla Siria ne è un esempio chiarissimo: c’è una linea rossa, l’uso delle armi chimiche; questo limite viene superato più volte, ma Obama fa finta di non accorgersene, poi deve riconoscerlo e minaccia un attacco, dice di aver deciso di farlo, magari “piccolo piccolo”, come dice Kerry; ma poi non usa i suoi poteri per eseguirlo e si fa bocciare dal Parlamento inglese e dal suo Congresso; infine rinuncia, fa un patto promosso dalla Russia per la distruzione degli arsenali chimici di Assad, che ancora non è avvenuto, mentre le stragi continuano, e riprende a ignorare la guerra civile siriana.
Convergente ma più grave il suo atteggiamento rispetto all’Iran, con cui mentre predicava fermezza (e ancora durate alla campagna elettorale, senza dirlo agli elettori, quindi ingannandoli sulle sue intenzioni) ha tenuto una trattativa segreta che poi si è conclusa in un ambiguo quasi-patto di Ginevra, che non ha alcun contenuto giuridicamente vincolante, ma sul piano politico in sostanza è la garanzia che l’Iran può arrivare senza fastidi alla soglia dell’armamento atomico, in maniera tale che al momento buono sarà impossibile fermarlo.

Anche qui l’avvallo della Russia è stato determinante e premiato con una benevole indifferenza rispetto alla svolta neo-sovietica dell’Ucraina, tornata sotto le ali di Putin. La vicenda iraniana è stato un tradimento contro gli alleati storici dell’America, Israele e l’Arabia Saudita e una conferma della simpatia islamista dell’amministrazione Obama, che si è vista anche nel caso dell’Egitto, dove il presidente americano ha fatto il possibile per sostenere la Fratellanza Musulmana, fino al punto di spingere l’Egitto (ancora) nelle mani della Russia. E però l’Egitto mostra che si può resistere a Obama. Speriamo riesca a farlo anche Israele, che è sottoposto a una durissima pressione da parte del governo americano perché compia l’atto suicida di un accordo che lascerebbe alla debole e ambigua (ma comunque antisemita) Autorità Palestinese il controllo del cuore del paese, reso finalmente Judenrein.
La pulizia etnica che seguirebbe a un accordo sarebbe devastante per Israele, la minaccia più seria alla sua esistenza dalla sua fondazione. Non solo sarebbe insostenibile il costo economico e umano della ricollocazione di molte decine di migliaia (nel caso migliore) o centinaia di migliaia (in quello più vicino ai progetti arabi) di cittadini, ma l’intero progetto sionista di uno stato sicuro per gli ebrei ne verrebbe distrutto.
Gli arabi, trionfanti per una vittoria ottenuta grazie all’appoggio militare, si troverebbero sotto il tiro delle loro armi il cuore di Israele, disorganizzato e demoralizzato, se non sull’orlo della guerra civile, per via di quello stesso accordo.
Dipenderebbe solo da loro decidere quando e come attaccare l’ultima parte della presenza ebraica in Medio Oriente, secondo quel modello del salame “che si mangia a fette” che già Arafat aveva teorizzato.
Nel frattempo il terrorismo continuerebbe, da Gaza, dal Libano e certamente anche dai territori “liberati” (liberati dagli ebrei, è chiaro) della Giudea e Samaria. Un terrorismo, quest’ultimo, denominato “resistenza popolare”, appoggiato in quanto “a bassa intensità” (ma in effetti pluriomicida) e “dal basso” (ma certamente coordinato centralmente) sia dall’Anp, nel momento stesso in cui tratta con Israele, sia dai diplomatici dei paesi occidentali così moralmente superiori, che non esitano a dare una mano, quando serve, ai loro amici terroristi, come dettero una mano settant’anni fa ai nazisti, sempre per il buon fine di risolvere, una buona volta, la “questione ebraica”.

E’ difficile capire che cosa pensi davvero Netanyahu in questa situazione. Ancora più difficile capire che impegni abbiano preso lui e Tzipi Livni, la longa manus dell’amministrazione americana nel governo israeliano, cui disgraziatamente Netanyahu ha assegnato un posto nel governo del tutto sproporzionata alla forza elettorale del suo partito.
C’è da sperare che non segua la strada di Rabin, di Olmert e purtroppo anche di Sharon, che entrarono al governo di Israele con solida fama di difensori della sicurezza del paese e fecero scelte sciagurate, nella speranza di conquistare a Israele una pace che non è semplicemente possibile quando dall’altra parte il progetto continua ad essere quello della distruzione di Israele e magari dello sterminio degli ebrei su cui si è fondato il progetto palestinista di Haji Amin Al Husseinihttp://elderofziyon.blogspot.co.il/2013/01/abbas-commemorates-martyrs-including.html#.UrsbWNIW1jc
Chi sostiene il contrario, ahimè anche in ambito ebraico, è nel migliore dei casi vittima della propaganda palestinista, la compra ad occhi chiusi, senza verifica di inventario (per esempio, leggete sull’organo ufficiale delle comunità ebraica italiana, questo “articolo” di pura propagandahttp://moked.it/blog/2013/12/30/israele-passi-avanti-passi-indietro/   La speranza principale per l’anno nuovo è che Netanyahu sia lucido e integro, anche se ha dovuto imporre al paese sacrifici dolorosissimi come la liberazione di decine di assassini, accolti poi in maniera trionfante dall’Anphttp://blogs.timesofisrael.com/im-glad-my-sons-murderers-have-not-been-found/  e spesso subito impegnati di nuovo in attività terroristiche.
Netanyahu, odiato da Obama fin dall’inizio e ora minacciato di vendetta per essersi opposto al tradimento con l’Iran http://www.debka.com/article/23556/? , si trova oggi nella realistica scelta fra il suicidio di Israele, chiamato dagli ingenui o dagli antisemiti pace, e il boicottaggio internazionale; e si può solo sperare che scelga le rappresaglie dell’amministrazione americana e dell’Europa come ha già annunciato il ministro della difesa Ya’alonhttp://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4471332,00.html

Insomma, devo dirlo per onestà, la speranza oggi sta nella linea tenuta dall’Egitto: un no a muso duro alle interferenze americane ed europee, una mano ferma coi terroristi. E’ chiaro che questa linea è solo in parte praticabile per Israele, che da sempre ha sotto attacco la propria stessa esistenza nazionale e dipende pesantemente dall’interscambio con l’Occidente per la propria sopravvivenza: non perché sia un paese che vive di finanziamenti come l’Egitto o un’entità artificiale sostenuta dai finanziamenti internazionali come l’Autorità palestinese, ma tutto il contrario, perché è creativo ed intraprendente e ha bisogno dell’accesso ai mercati internazionali, dei pezzi di ricambio per le armi che ha comprato, di non essere soffocato dalle maggioranze precostituite e dalla burocrazia degli organismi internazionali.
Sarebbe bello e giusto reagire a Obama come l’Egitto; certamente non è possibile farlo. Si tratta di durare, di guadagnare tempo, di sperare che il primo presidente antioccidentale degli Stati Uniti vada a finire nell’oblio che merita e che l’America recuperi il senso dei propri interessi profondi.
Se oggi non fosse il primo gennaio del 2014, ma del 2017, si potrebbe essere più tranquilli. Così, bisogna sperare che l’evidente goffaggine di Obama ne freni le intenzioni, che le elezioni di mid-term del prossimo novembre lo azzoppino, che il governo israeliano al momento buono sappia resistere, che i palestinisti ci diano involontariamente una mano evitando per una volta di mascherare la loro violenza e il loro estremismo dietro quell’aspetto di moderazione che ostentano, come adesso fa anche il presidente iraniano.

“Io speriamo che me la cavo”, questo è il ben piccolo augurio che possiamo farci per i prossimi mesi. Se Netanyahu saprà e vorrà difenderci dagli “amici americani”, al resto e innanzitutto al nucleare iraniano (che sarà probabilmente un altro regalino dell’”amico americano” dell’anno nuovo), saprà badare la forza, l’intraprendenza, il coraggio, la creatività israeliana.
E in Israele neanche l’antisemitismo nel mondo potrà prevalere, perché la difesa degli ebrei è tutta e solo lì, non certo nella “civiltà europea” o nelle “lezioni della storia”: sappiamo bene quanto valgono.

Questo è l’augurio che mi sento di fare a me e a voi, cari amici, sapendo che non sarà facile.

 

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