Sei hai meno di 12 anni puoi prendere a sassate le persone e protestare se vieni fermato.
Testata: La Repubblica
Data: 12 luglio 2013
Pagina: 1
Autore: Adriano Sofri – Alberto Stabile
Titolo: «Quel bambino palestinese ‘arrestato’ per un sasso – Fermato a cinque anni dai soldati israeliani»
Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 12/07/2013, a pag. 1-29, l’articolo di Adriano Sofri dal titolo ” Quel bambino palestinese ‘arrestato’ per un sasso” , a pag. 14, l’articolo di Alberto Stabile dal titolo ” Fermato a cinque anni dai soldati israeliani”.
Che Repubblica abbia questi slanci “umanitari” non stupisce, tanto è ipocrita. Più interessante, invece, il fatto che quasi nessun giornale in edizione cartacea abbia ripreso la notizia.
Il sito del Corriere della Sera, spesso duplicato di Repubblica, ha diffuso il video in questione, mentre la maggior parte degli altri organi l’hanno ignorato. Il Giornale, curiosa eccezione, si è bevuto la propaganda palestinese, pubblicando sul sito internet una breve paginetta che sembra uscita dall’ufficio stampa di Abu Mazen.
Torniamo a REPUBBLICA. Sia Sofri sia Stabile insistono molto sull’età del bambino (5 anni) fermato (e non arrestato, come si legge nella titolazione del pezzo di Sofri) dai soldati israeliani per aver lanciato un sasso contro la macchina di un israeliano (definito in entrambi gli articoli ‘colono’, tanto per suggerire che era in torto, non sarebbe dovuto passare da Hebron, e che, quindi, come minimo doveva meritarsi una sassata dalla popolazione palestinese locale dai 5 anni in su).
Secondo Sofri e Stabile, dato che nei Territori si deve avere almeno un’età di 12 anni per avere responsabilità penale delle proprie azioni, il bambino non avrebbe dovuto essere fermato.
Ne deduciamo che, nei Territori, se un bambino di età inferiore ai 12 anni tira delle sassate a qualcuno, non è nei diritti di questo qualcuno di bloccarlo, nè di richiedere l’intervento delle forze dell’ordine, nè di esigere che si indaghi l’origine del comportamento del bambino.
Se fosse successo in Italia? Se un bambino di 5 anni, davanti a forze dell’ordine, avesse tirato una sassata ad Adriano Sofri, quest’ultimo non avrebbe battuto ciglio vista l’età del piccolo? Se le forze dell’ordine fossero intervenute, avessero bloccato il bambino, l’avessero portato con i genitori dalla polizia, Sofri avrebbe pubblicato il giorno seguente un articolo di diffamazione sulle forze dell’ordine che avevano fatto il proprio dovere ?
Da parte nostra, un vivo ringraziamento a BT’Selem che, ancora una volta, è riuscita a trasformare un fatto di cronaca in fatto politico.
Ciò che interessa alla Ong israeliana è la propaganda politica, non la verità.
Obiettivo pienamente raggiunto, come si vede dalla cronaca di Alberto Stabile e dal commento di Adriano Sofri, tornato, per l’occasione, il Sofri ‘piccolo Lenin’ del 68, quando voleva fare la rivoluzione.
Sofri, scrivendo di qualunque cosa, è inevitabile che abbia una conoscenza superficiale di ciò che descrive. Studi e si informi meglio.
Hebron si trova nella zona a conduzione mista Israele-Anp, ci sono anche abitanti ebrei, non è la ‘palestina judenrein’ sognata da Abu Mazen. Non c’è stata ancora nessuna pulizia etnica e la sicurezza viene garantita dalle forze internazionali, che controllano che la convivenza, per quanto difficile, sia possibile. Prima i palestinesi vorranno fare la pace, prima la soluzione sarà risolta.
In Israele i cittadini arabi e i luoghi sacri all’islam sono garantiti e sicuri. Non si può dire altrettanto per quelli ebraici nei Territori. Se non ci fosse il controllo forze internazionale e,soprattutto, di Tzahal, gli ebrei di Hebron avrebbero fatto la stessa fine di quelli massacrati nei pogrom nei Paesi arabi nel ’29 e nel ’37.
Il video, poi, sembra costruito ad arte. E’ la tecnica di BT’Selem, che ha distribuito ai palestinesi centinaia di videocamere con cui riprendere ‘incidenti’ procurati apposta con soldati israeliani, per poi diffonderli su tutti i media occidentali.
Un’ultima nota per Sofri: la lingua parlata in Israele è l’EBRAICO, non l’ebreo.
Ecco i due articoli:
Adriano Sofri – ” Quel bambino palestinese ‘arrestato’ per un sasso “
Adriano Sofri
Trattare un bambino di cinque anni e nove mesi, che piange spaventato, come se fosse un pericoloso nemico adulto, e umiliare suo padre davanti a lui e a causa di lui, non è solo un’infamia: vuol dire fare di quello e di tanti altri bambini, asciugate le lacrime, irriducibili e temibili nemici. È successo il 9 luglio a Hebron, il video è in rete da ieri, girato da un militante di BTselem. B-Tselem significa, dalla Genesi, “a sua immagine”, è una preziosa organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani nei territori occupati. Il bambino si chiama Waadi, il suo giovane padre Abu Karam Maswadeh. L’operazione è condotta da una decina di soldati e un ufficiale.Volevano portarlo via da solo- ha tirato un sasso all’auto di un colono, dicono; testimoni dicono che l’ha tirato a un cane- ma sua madre si è opposta, vuole che arrivi il padre, altri bambini, specialmente una minuscola e risoluta, lo circondano e lo incoraggiano. Arriva Karam e chiede: “Perché volete arrestare un bambino di cinque anni?” Ha tirato un sasso. Lui cerca di farli ragionare, invano. Li fanno salire sulla camionetta, li portano via insieme, Waadi piange e si stringe al padre. Li chiudono per mezz’ora in caserma. Poi i soldati ammanettano il padre e gli bendano gli occhi con una fascia bianca, e li portano a piedi, in una ostentata gogna, fino al checkpoint 56 (non so se sia un numero ordinale, certo Hebron è piena di checkpoints), dove li trattengono un’altra mezz’ora. L’uomo di B-Tselem filma tutto, i soldati lo fotografano più volte, per intimidirlo: ma tutta la scena si svolge in una surreale tranquillità. “Mera routine”, osserverà un commentatore israeliano, aggiungendo: “Mero razzismo”. Arriva un ufficiale più alto in grado, il padre – che parla l’ebreo oltre all’arabo e l’inglese-è in grado di seguire i loro discorsi: l’ufficiale li rimprovera per averli arrestati platealmente davanti alle telecamere: danno d’immagine. Allora un soldato slega il padre, gli toglie la benda e gli dà dell’acqua. Padre e figlio vengono consegnati a poliziotti palestinesi, e subito rilasciati. Il video è un incidente, ma rivela che l’arresto di bambini e genitori e la loro consegna alla polizia è la norma, illegale, naturalmente. L’età minima per la responsabilità penale è di 12 anni. Nessun bambino israeliano che tirasse pietre a palestinesi è mai stato arrestato, e neanche gli adulti. Hebron, che per i palestinesi è Al Khalil, capoluogo della Cisgiordania meridionale, occupata dal 1967, sacra a tutte le religioni monoteiste, è abitata da più di 150 mila palestinesi, da 700 coloni israeliani, e più di mille soldati a loro difesa. A Hebron, nel 1994, Baruch Goldstein, medico colono dell’insediamento di Kiryat Arba, fece strage di palestinesi in preghiera nella moschea di Ibrahim -la tomba dei patriarchi: il primo attentato suicida avvenne proclamando di vendicare quella carneficina. Dicono che il viaggio a Hebron stringa il cuore. Che i soldati israeliani e i bambini palestinesi giochino come il gatto coi topolini. Che l’esercito scorti i coloni e i visitatori sionisti in incursioni sprezzanti ai quartieri palestinesi. Che le aggressioni per sradicare colture e forzare i palestinesi a lasciare altre terre ai coloni siano continue. Dall’alto della città vecchia divenuta un luogo fantasma, è stesa una gran rete per impedire ai rifiuti, i sassi, le bottiglie lanciate dagli haredim incattiviti di colpirei passanti palestinesi. Dicono che ai più fanatici piaccia pisciargli sopra, dall’alto. Molti anni fa c’era in Israele un gruppo di riservisti pacifisti che aveva scelto per titolo “Yesh gvul”, che vuol dire “C’è un limite”. Non so se il gruppo ci sia ancora. Il limite dovrebbe esserci, sempre, dovrebbe esserci un limite a tutto. Il 9 luglio è stato di nuovo superato. I cristiani sussultano specialmente alla vista di un giovane uomo incolpevole trascinato per le strade da armati con gli occhi bendati: gli ricorda un altro. E non c’era il bambino. Ma non occorre essere cristiani per sussultare. Ho letto i commenti sul sito di Haaretz, combattuti, alcuni orrendi, altri ammirevoli. Uno ha scritto: “Anch’io da piccolo ho tirata un sasso alle bambine. Mi hanno castigato e non l’ho fatto più”. Un altro ha risposto: “Hanno anche portato via tuo padre con gli occhi bendati?”.
Alberto Stabile – ” Fermato a cinque anni dai soldati israeliani “
Alberto Stabile
BEIRUT — Waadi Maswada ha appena cinque anni e nove mesi, e quasi non si riesce ad intravedere in mezzo alle esuberanti corporature dei militari israeliani, sei soldati e un ufficiale della Brigata Givati, che lo circondano. Ma sullo sfondo della scena, ripresa da un attivista dei diritti umani della Ong B-Tselem, un occhio spalancato sugli eccessi dell’interminabile occupazione deiTerritori palestinesi, si sente, insistente come il lamento di un animale ferito, il pianto di Waadi che sta per essere arrestato. Siamo ad Hebron, la Città dove riposano i Patriarchi, che qualche centinaio di coloni israeliani, a dispetto della storia e degli oltre centomila palestinesi che ci vivono, hanno scelto come simbolo del riscatto della biblica Eretz Israel. Ed è per garantire ai coloni di poter coltivare il loro disegno nazionalista-religioso, che il centro di Hebron è dal 1967 occupato militarmente. In sostanza, Hebron è una scintilla del conflitto perennemente accesa. Ora, viene da sorridere a pensare come Waadi, che non arriva neanche alle ginocchia dei soldati che lo circondano, possa aver rappresentato una minaccia qualsivoglia alla sicurezza dello Stato ebraico. Ma il bimbo, spiega l’ufficiale ai pochi passanti che notano la scena e si avvicinano, ha tirato una pietra contro la macchina di un colono (colpendo una ruota) e va deferito (cioè consegnato) alla polizia palestinese per i dovuti provvedimenti. Waadi intuisce, si dispera. La telecamera di B-Tselem, un’organizzazione nata in Israele ma animata tanto da attivisti israeliani che palestinesi, registra l’indifferenza dei soldati al pianto di quel bimbo, la concitata trattativa con un ragazzo palestinese per sapere dove abita Waadi, e infine lo sportello della jeep militare che si chiude, inghiottendo lo sguardo disperato del bambino. Giunti a casa, ci dice l’accurato resoconto di B-Tselem, i soldati informano la madre che intendono consegnare il bambino alla polizia palestinese (con cui l’esercito israeliano continua una sorta di coordinamento che risale agli accordi di Oslo, per il resto rimasti inapplicati). La donna, ovviamente, si rifiuta, di consegnare Waadi, che nel frattempo s’è nascosto dietro una pila di materassi, almeno finché non arriva il padre, Karam. Dopo mezz’ora, arriva Karam. I soldati insistono nella loro decisione di trasferire il bimbo alla polizia palestinese. Il padre obbietta: «Ma ha soltanto cinque anni»! Niente da fare: se non ubbidisce agli ordini, Karam sarà arrestato. Ora la scena cambia. Padre e figlio stati portati alla base militare israeliana di a-Shuhada. Karam ha gli occhi coperti da una benda chiara e le manette ai polsi, come fosse sospettato di chissà quale atto di violenza anti israeliana. Waadi gli siede accanto. Insieme, Karam essendo sempre bendato e ammanettato, vengono accompagnati al posto di blocco dei Dco, l’Ufficio di coordinamento, dove ad un certo punto arriva un colonnello israeliano. Il quale, rivolto ai suoi uomini, si lancia in una reprimenda: «Voi state danneggiando la nostra immagine». Non che lo sfiori il sospetto che il fermo sia pure temporaneo di un bimbo sia illegale, ma perché «in presenza della telecamere, i palestinesi arrestati debbono essere trattati bene». Karam e il piccolo Waadi vengono consegnati alla polizia palestinese che li rilascerà subito dopo. La logica deform ata da un’occupazione infinita ha vinto ancora. Le legge è stata applicata alla lettera, contro un bambino di 5 anni e 9 mesi anche se l’età minima della responsabilità penale nei Territori è di 12 anni. Ma i palestinesi, si sa, non hanno diritto neanche all’infanzia. In serata l’esercito ha rivendicato la correttezza dell’operato dei soldati, ma ha anche annunciato l’apertura di un’inchiesta.
Per inviare la propria opinione a Repubblica, cliccare sull’e-mail sottostante
rubrica.lettere@repubblica.it
Articoli recenti
- L’Associazione amici di Israele augura a tutti i suoi soci e sostenitori un buon natale e felice 2022
- Associazione Beth Shlomo organizza questa raccolta fondi
- Gli auguri dell’Ambasciatore Dror Eydar per Rosh Hashana 5782 (2021)
- Frosinone, consiglio adotta strumento contro l’antisemitismo.
- Rinnovo iscrizione ADI 2021
Cloud Articoli