Succede con i nostri “partner per la pace”. Succedeva solo con i nazisti.

Giulio Meotti

Nella recente visita a Ramallah, “capitale” dell’Autorità Nazionale Palestinese, della delegazione ufficiale della Città di Torino, guidata dal sindaco Piero Fassino, non ha potuto far parte il vice Presidente della Comunità Ebraica di Torino, Emanuel Segre Amar, perché EBREO. Sì, perché EBREO. Perché le istituzioni italiane e i loro rappresentanti accettano il “judenrein”, come i nazisti chiamavano le entità ripulite dagli ebrei?

Emanuel è il figlio di Sion Segre Amar, un celebre esponente della comunità ebraica di Torino, coraggioso corsaro sionista della prima ora condannato dal tribunale speciale fascista e gettato in cella assieme a Leone Ginzburg. Vergogna che in quanto ebreo il figlio non abbia potuto mettere piede nei “territori occupati”. Sì, da fanatici islamisti antisemiti. Emanuel Segre Amar ha fatto avere ad Abu Mazen una lettera. Eccola qui riprodotta.

Gerusalemme, 24 di Sivan 5773, 2 Giugno 2013

Sua Eccellenza Mahmoud Abbas,
Sono nato nel 1944 a Gerusalemme, dove i miei genitori si rifugiarono per sfuggire alla deportazione che minacciava tutti gli Ebrei d’Italia a causa dell’occupazione tedesca.  Per ragioni politiche, che mi trovano in disaccordo, non posso incontrarla durante la nostra visita in Israele e nei territori ANP, quindi le invio questa missiva per mezzo del Sindaco di Torino, Piero Fassino.
Io credo personalmente che i palestinesi appartengano a questa terra santa martirizzata.  Ma credo altresí che l’ostacolo maggiore al raggiungimento di una pace duratura sia la mancanza di volontà degli Arabi di riconoscere il diritto degli Ebrei a essere Popolo Sovrano nella nostra Terra Madre in Medio Oriente.  Il conflitto è sull’esistenza stessa d’Israele, non sulla sua grandezza o frontiere.
Per circa duemila anni, in seguito alla distruzione di Gerusalemme da parte dell’esercito imperiale Romano, la maggior parte del Popolo d’Israele è vissuta in esilio dai propri luoghi santi, mantenendo vive la propria religione, lingua e usanze, in un atto senza eguali di memoria collettiva.  Gli Ebrei sono sempre vissuti nella Terra d’Israele, anche dopo la deportazione da parte dei Romani; siamo vissuti a centinaia di migliaia per 2.000 anni in tutto il Medio Oriente, dall’Iraq all’Egitto, dalla Siria a Gaza, compresa la Penisola Araba, come scritto anche nel Corano.  Noi Ebrei siamo sempre rimasti fedeli alla nostra cultura e al nostro Retaggio anche attraverso continue sofferenze, bersagliati dovunque ci stabilivamo dal risentimento e dalla xenofobia degli ospiti, tuttavia senza mai dimenticare Gerusalemme – la Città Santa di tutta la nostra storia, menzionata almeno tre volte al giorno nelle nostre preghiere e OGNI VOLTA che abbiamo mangiato del pane o dei frutti tipici della Terra d’Israele, come fichi, datteri, uva, ecc.; una città in cui abbiamo sempre vissuto, tranne che durante l’occupazione dei Crociati, e dove almeno sin dalla metà del XIX Sec. E.V. noi Ebrei siamo sempre stati la maggioranza assoluta degli abitanti.  Nessun altro popolo nella Storia ha sperimentato una tale sofferenza immeritata, o dedicato altrettanta energia al ricordo e al lutto per i propri morti.
Questa è anche la storia della mia famiglia: una storia di persecuzione e di redenzione.
Le Nazioni Unite votarono a stragrande maggioranza per riconoscere lo Stato d’Israele come membro e come patria in cui gli Ebrei potessero finalmente vivere come Popolo Indipendente e Sovrano.  Israele è sempre stata per gli Ebrei un anelito di libertà, il modo per acquisire l’auto-governo il cui ricordo avevano mantenuto in vita per duemila anni nella memoria.  Com’è noto, l’odio è ricominciato, ora diretto ad Israele e ai Suoi Cittadini Ebrei.
Come possiamo rompere quest’orribile catena di aggressioni terroriste e risposte difensive dopo quasi settant’anni di conflitto e odio?
La pace può essere raggiunta solo con il riconoscimento in Medio Oriente d’Israele come il focolare nazionale del Popolo Ebraico, come già deciso dalla Conferenza di San Remo del 1920; aggiungendo lo Stato d’Israele in tutte le carte geografiche usate nelle scuole del mondo islamico, specialmente nelle scuole palestinesi; la promozione di interazione e collaborazione tra scienziati, studiosi, artisti e atleti; l’abbandono della delegittimazione d’Israele alle Nazioni Unite; la messa fuori legge dei gruppi terroristi miranti all’uccisione d’Israeliani e alla distruzione d’Israele; la fine dei boicottaggi economici contro Israele; infine, ma non per importanza, la proclamazione di fatwa da parte di teologi che proibiscano l’assassinio degli “infedeli”.

Signor Presidente, i soldati israeliani non usano bambini come scudi quando iniziano un conflitto a fuoco coi terroristi, le scuole e le colonie estive israeliane non fanno il lavaggio del cervello agli alunni perché compiano azioni vilente contro i civili, gli esponenti religiosi d’Israele non tessono le lodi di bambini che compiono azioni terroriste.
Credo che il modo in cui l’Autorità Palestinese educa i propri bambini e la propria società sia un indicatore chiave delle sue vere intenzioni.  Nonostante tutto ciò, non voglio perdere la speranza che Lei lavorerà duro per costruire una vera cultura di pace durevole.
Cordialmente.

In Fede,

Emanuel Segre Amar – Vice Presidente della Comunità Ebraica di Torino.

http://www.ilfoglio.it/zakor/1035

 

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