L’evidenza di un attacco.
Due: un mese fa a Boston, la bomba alla maratona. Gente qualunque, americani che correvano, magari qualche straniero di passaggio. Bambini. Comunque non degli “infedeli”.
Tre, l’anno scorso, a Tolosa: qualche militare e poi tre bambini e un insegnante.
Razzisti loro, semmai, violenti odiatori dell’Occidente, ben decisi non solo a sputare nel piatto in cui mangiavano, ma anche a mordere a sangue la mano che glielo tendeva. Turisti del jihad (gli assassini di Boston e di Tolosa), frequentatori di stage del terrore, online o di persona, o aspiranti tali (quelli di Londra). Assassini ideologici, esibizionisti della violenza.
Peggio, sono stati “compresi”, giustificati e in fondo anche un po’ approvati da quelli che avrebbero certamente uccisi, se avessero potuto: le classi dominanti colte e progressiste, irrimediabilmente affette da senso di colpa multiculturalista suicida. Guardate qui per esempio cosa pensa “il più premiato giornale studentesco della Gran Bretagna”:http://www.yorkvision.co.uk/comment/this-is-murder-not-terror/ . Come scrisse Sartre una volta, il terrorista (algerino, nel suo caso) che ammazza un europeo ha il merito di liberare allo stesso tempo due persone, se stesso e chi ha ammazzato. Questa è la liberazione che più o meno consapevolmente si aspettano il New York Times, Le Monde, il Guardian e i loro fratelli minori della stampa progressista italiana.
O la famiglia Fogel, tutta sgozzata anch’essa due anni fa. Lo stesso metodo con cui fu ucciso davanti a una telecamera il giornalista Daniel Pearl, rapito in Pakistan. O i turisti di Burgas fatti esplodere da un agente di Hezbollah: cinque morti. O quel tunisino arrestato due settimane fa per il simpatico proposito di far saltare la singagoga o la scuola ebraica di Milano. Ma qui si tratta di ebrei, e qualcuno – più di qualcuno, quasi tutti, pensano che in fondo gli ebrei e gli israeliani se la sono cercata: non per fare come Hitler, no; ma con quel che fanno ai palestinesi (che cosa, esattamente?) i nazisti siamo noi.
Ebbene no. Un episodio è un caso, due un indizio, tre una prova, enne episodi sono una certezza. La certezza di un attacco. Siamo di fronte a un fenomeno terroristico diffuso, capillare, in crescita internazionale.
E’ giusto paragonarlo al terrorismo rosso degli anni Settanta, che oggi sappiamo non essere stato affatto casuale, anche se appariva sotto tante sigle e magari si credevano spontanei i singoli “compagni che sbagliavano” (questa era l’etichetta della protezione che anche allora buona parte della sinistra intellettuale e politica offriva loro).
C’erano armi e direttive che venivano dall’Est e certamente anche dal Sudest dei campi di addestramento palestinesi in Libano e Giordania.
Così oggi. Non si tratta di un esercito gerarchico vecchia maniera, ma un esercito è, organizzato, consapevole, all’attacco dei suoi nemici, che saremmo noi, società libere e democratiche
Il terrorismo islamico, dopo la fase delle grandi operazioni come le Torri Gemelle e la stazione di Madrid, attraversa ora una fase di maggiore dispersione ed espansione “liquida”, ma ciò non significa affatto un arretramento, anzi. Anche perché si intreccia con la guerra aperta che da alcuni anni si è scatenata a Sud del Mediterraneo, dove la dabbenaggine americana ha concesso al nemico vittorie strategiche non solo in luoghi periferici come la Tunisia, ma in centri essenziali come l’Egitto. l’Iraq e in fondo anche la Turchia. E poi con guerre più periferiche in Afghanistan e in Kashmir, in Cecenia e in Sinkiang. Insomma, la situazione è assai più grave di quel colpo di coda del comunismo di quarant’anni fa, anche perché è molto più confusa meno determinata, per usare un eufemismo, la gestione della risposta al terrorismo.
Fra Al Qaeda e Jobbik, i salafiti e Alba Dorata, la Npd e i Fratelli Musulmani non si può scegliere, come non si può scegliere fra la padella e la brace.
Bisogna sapere che la brace riscalda la padella e che per la padella è ammucchiata la brace, insomma che i due fenomeni sono correlati e si alimentano, per moltissimi versi simili fra loro e talvolta esplicitamente alleati, come lo furono ai tempi loro Hitler e il Muftì di Gerusalemme.
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