Attentato di Londra: le critiche.
Testata:Il Foglio – La Repubblica – Il Manifesto
Autore: Nicoletta Tiliacos – Giulio Meotti – Alix Van Buren – Redazione del Manifesto
Titolo: «Il machete, l’islam e Notre Dame – Il Cavaliere, la morte e il diavolo – Il terrorismo fai-da-te minaccia l’Occidente»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, a pag. 1-3, l’articolo di Nicoletta Tiliacos dal titolo ” Il machete, l’islam e Notre Dame “, a pag. 3, l’articolo di Giulio Meotti dal titolo ” Il Cavaliere, la morte e il diavolo “. DaREPUBBLICA, a pag. 15, l’intervista di Alix Van Buren a Tariq Ali dal titolo ” Il terrorismo fai-da-te minaccia l’Occidente “.
a sinistra, Islam, religione di pace: decapitate chi insulta l’islam.
Il Manifesto, contrariamente agli altri quotidiani italiani, ha dedicato pochissimo spazio alla notizia del terrorista islamico che ha decapitato il soldato inglese per strada. Solo una breve, che non riportiamo. Una sottovalutazione che si commenta da sola.
Ecco i pezzi, preceduti dai nostri commenti:
La decapitazione del soldato inglese non ha nulla a che vedere con il suicidio a Notre Dame di Dominique Venner.
Non stupisce che Il Foglio unisca le due cose, sottolineando solo una parte delle motivazioni di Venner (quella riguardante l’opposizione all’islam).
La motivazione reale del suicidio (la legge che approva i matrimoni gay in Francia) è sparita dagli articoli di Nicoletta Tiliacos e Giulio Meotti. D’altro canto, quella di Venner, è la stessa posizione del Foglio, che nega i matrimoni gay e i diritti uguali per tutti.
Comprendiamo l’imbarqazzo da parte del Foglio, un giornale sempre in prima linea contro antisemitismo e in difesa di Israele, sicuramente è il più schierato in Italia, ma che, d’altro canto, non si può non riconoscerlo, strettamente legato a quella corrente di pensiero che si riflette in un’unica parola: omofobia.
Che Venner fosse un fanatico rincoglionito è un dato di fatto, ma a spingerlo al suicidio sono le stesse idee che emanano da tutti gli articoli che il Foglio pubblica su omosessualità, proprio come si può vedere dai pezzi di Tiliacos e Meotti, nei quali vengono messe insieme due cose che non c’entrano nulla.
Ecco i due articoli:
Il FOGLIO – Nicoletta Tiliacos : ” Il machete, l’islam e Notre Dame “
Nicoletta Tiliacos, Dominique Venner, che cosa c’entra con l’attentato di Londra ?
Due neri di “apparenza islamica”, secondo fonti di Whitehall, hanno barbaramente ucciso con un machete e scaraventato in mezzo alla strada a Woolwich, South London, un soldato britannico. Ieri, alle 8 circa ora di Londra. Un video Itv mostra uno degli aggressori, che sono poi stati feriti e catturati e ora sono ricoverati in ospedale, mentre gridava con fare pazzo e fanatico queste parole: “Giuriamo in nome di Allah onnipotente che non smetteremo mai di combattervi. Mi spiace che donne abbiano dovuto assistere a questo che è accaduto, ma nella nostra terra ci sono donne che devono assistere a simili cose. Voi non sarete mai al sicuro. Rovesciate i vostri governi, non hanno cura di voi”. L’altro ieri a Notre Dame de Paris un intellettuale travolto dalla passione in difesa della sua nozione di occidente e di Europa, protagonista di polemiche antislamiche accese, si è sparato nella cattedrale come testimonianza di disperazione.
L’uccisione barbarica, a colpi di machete, di un soldato britannico, aggredito ieri sera in un quartiere a sud-est di Londra, Woolwich, al grido di “Allahu Akbar”, da due giovani che incitavano i testimoni a riprendere la scena, il sangue, il terrore, segue di un solo giorno il suicidio- manifesto nella cattedrale di Notre Dame di Dominique Venner. L’intellettuale francese della destra tradizionalista ha voluto così “risvegliare le coscienze assopite”, ha lasciato scritto, mentre l’Europa e l’occidente si arrendono all’annientamento, rappresentato ai suoi occhi dal matrimonio gay ma soprattutto dagli islamisti “invasori”. E in una vicenda come quella di Venner, tutta giocata sui registri simbolici, è fin troppo facile interpretare l’atto terroristico avvenuto a Londra come la conferma di un punto critico che è già sotto gli occhi dell’occidente europeo. L’esegesi di un suicidio, e quello di Venner non fa eccezione, è un esercizio sempre azzardato. Lo è anche quando sembra tutto chiaro, perché il protagonista ha voluto lasciare dietro di sé dettagliate spiegazioni. “Si spara a Notre Dame per protesta contro le nozze gay”, abbiamo letto ovunque. Settantottenne intellettuale francese appartenente alla destra tradizionalista, giovinezza da parà in Algeria e nell’Oas (che gli costò diciotto mesi di prigione nel 1961) e poi una vita consacrata agli studi storici, nella convinzione che la battaglia identitaria delle idee potesse fare a meno della politica militante, Venner ha scritto più di cinquanta libri. Alcuni di grande successo, come il “Dictionnaire amoureux de la Chasse”, edito da Plon. In un’altra opera in undici volumi sulle armi da caccia, Venner ha riversato i frutti di una grande passione, testimoniata dalla silhouette di un cervo – sacro ad Artemide cacciatrice e simbolo di Re Artù – unica immagine a campeggiare sulla home page del suo sito. Per spararsi un colpo di pistola in bocca, Venner ha scelto l’altare della più santa chiesa di Francia, la cattedrale parigina di Notre Dame: alle quattro del pomeriggio di un martedì di maggio, in mezzo a centinaia di visitatori. Poche ore prima, aveva mangiato con tutti gli amici e i colleghi di Radio Courtoisie (“la radio libera del paese reale e della francofonia”), dove teneva una rubrica settimanale. L’ultimo incontro intorno a una virtuale Tavola rotonda, che già ha il sapore di un solenne addio, visto che a uno di loro, Bernard Lugan, Venner ha consegnato, perché la leggesse pubblicamente dopo la sua morte, una copia della lettera che poi poserà sull’altare di Notre Dame. “Sono sano di corpo e di mente – scrive Venner – colmo d’amore per mia moglie e i miei figli. Sento il dovere di agire mentre ne ho ancora la forza. Credo sia necessario sacrificarmi per rompere la letargia che ci abbatte. Ho scelto un luogo altamente simbolico, che rispetto e ammiro. Il mio gesto incarna un’etica della volontà, mi do la morte per risvegliare le coscienze assopite. Mentre difendo l’identità di ogni popolo nella sua terra, mi ribello al crimine che ha per obiettivo di sostituire il nostro popolo. Chiedo perdono a tutti coloro che soffriranno per la mia morte. Troveranno nei miei scritti la prefigurazione e le spiegazioni del mio gesto”. L’amico editore Pierre-Guillaume de Roux, intervistato dalla France Presse, ha raccontato di averlo sentito pochi giorni fa, per parlare dell’uscita, a giugno, del suo ultimo libro, “Un samurai d’occidente, il breviario dei Ribelli”. E ha detto che gli sembra riduttivo interpretare il gesto di Venner come protesta contro il “mariage pour tous” introdotto in Francia dalla legge Taubira. Lo stesso Venner, in un post pubblicato il giorno prima di morire, scriveva, a proposito della manifestazione degli oppositori alla legge convocata per domenica, che “i manifestanti del 26 maggio avranno ragione a gridare la loro impazienza e la loro collera. Una legge infame, una volta approvata, può sempre essere abrogata. Ho appena ascoltato un blogger algerino: ‘In ogni modo – diceva – nel giro di quindici anni gli islamisti saranno al potere in Francia e abrogheranno quella legge’. Non per farci piacere, è chiaro, ma perché è contraria alla sharia (la legge islamica). E’ il solo punto superficialmente in comune tra la tradizione europea (che rispetta la donna) e l’islam (che non la rispetta). Ma l’affermazione perentoria di quell’algerino mi ha fatto rabbrividire. Le sue conseguenze sarebbero immani e catastrofiche, tanto quanto la detestabile legge Taubira. Dobbiamo renderci conto – proseguiva Venner – che una Francia in mano agli islamisti fa parte delle probabilità. Da più di quarant’anni, i politici e i governanti di tutti i partiti (a eccezione del Front national), così come il sindacato e la chiesa, vi hanno attivamente lavorato, accelerando in ogni modo l’immigrazione afro-magrebina”. E allora secondo lui “i manifestanti del 26 maggio non possono ignorare questa realtà. La loro lotta non può limitarsi al rifiuto del matrimonio gay. La ‘grande sostituzione’ di popolazione in Francia e in Europa, denunciata dallo scrittore Renaud Camus, è un pericolo altrettanto catastrofico per il futuro. Non sarà sufficiente organizzare gentili manifestazioni per impedirlo”. Venner ha organizzato, come gesto dimostrativo e come personale via d’uscita da una contraddizione per lui inaccettabile (come condividere con gli “afro-magrebini” invasori anche solo l’idea di famiglia tradizionale?), qualcosa di assai poco gentile. Un gesto “spettacolare e simbolico”, come egli stesso ha suggerito, e per eccellenza anti cristiano: in un tempio cristiano, presso l’altare dove i fedeli si comunicano e i ribelli alla Jünger come lui – che Ernst Jünger lo ha conosciuto e frequentato – non temono di darsi la morte, facendo scorrere il sangue (il proprio) come su un’antica ara sacrificale. Un gesto da pagano fiero e risentito, una consacrazione à rebours di un luogo che Venner ha detto nella sua ultima lettera di rispettare – e in punto di morte si è sinceri – ma che riteneva anche simbolo di una disfatta, baluardo ormai impotente a difendere l’identità francese ed europea. In un altro post, una settimana fa, sempre a proposito della “primavera francese” contro le nozze gay, Venner scriveva: “I manifestanti, spesso molto giovani, non sono omogenei. Per una parte sono borghesi cattolici nonviolenti, usciti dalle Giornate mondiali della gioventù, sedotti dai nuovi discorsi tolleranti della chiesa in materia di amore coniugale. I loro referenti sono Gandhi e Martin Luther King… Ma, per un’altra parte, sono giovani identitari mobilitati dal dinamismo insolente delle manifestazioni. Il futuro dirà quale componente prevarrà sull’altra, per vitalità e determinazione”. Esattamente un mese fa, il 23 aprile, Venner aveva dedicato un articolo al quadro di Dürer intitolato “Il cavaliere, la morte e il diavolo”. Il cavaliere, scriveva, è “il più celebre ribelle dell’arte occidentale”. E’ colui che cavalca “verso il suo destino, senza paura e senza supplicare, incarnazione di una figura eterna in questa parte del mondo chiamata Europa”. Voglio essere sempre quel cavaliere, confessava Venner, e sempre ribellarmi a chi vuole “la morte dell’Europa, la nostra civiltà millenaria, senza la quale non sarei nulla”. E’ tutta qui, in una confessione più malinconica che eroica, la parabola di Venner, padre suicida di cinque figli e nichilista per eccesso di identità.
Il FOGLIO – Giulio Meotti : “Il Cavaliere, la morte e il diavolo”
Giulio Meotti
Ah la décadence!”. Pierre Drieu La Rochelle se la immaginava con i soldati tedeschi che dilagavano tra la Somme e l’Oise. Per Dominique Venner, la decadenza era la decomposizione dell’Europa sotto la minaccia dell’islamizzazione e gli eccessi del postmoderno (fra cui il matrimonio gay). Il suicidio dello storico francese dentro la cattedrale di Notre Dame è un simbolo della stessa decadenza, che la destra francese ha letto ed esorcizzato nel modo peggiore. Ingiusta e sciatta è la demonizzazione a cui Venner è stato sottoposto (il Nouvel Observateur ha definito Venner “una eminenza bruna”). Inoltre, Venner era un autore premiato dall’Académie française e sulle sue riviste scrivevano storici di fama come Max Gallo. Ma è vero che Venner faceva parte di una destra torva, non tanto politicamente scorretta, quanto, piuttosto, cupa. La destra di Venner non ama la modernità, ma la decostruisce per superarla (con che cosa non si sa). Per Venner l’“occidente” non è l’incontro fra il paganesimo greco e il monoteismo etico giudeo-cristiano. E’, o deve essere piuttosto, “l’occidente bianco ed europeo” e mai “americanomorfo”. Una destra antiamericana e nevrastenica che nulla ha a che fare con quella dei Pim Fortuyn, dei neoconservatori e delle tante mosche bianche intellettuali che, pur di sinistra, hanno votato esecutivi di destra in Europa. Da bravi reazionari novecenteschi e allievi di Oswald Spengler, Venner e la sua filiera sostengono da anni che l’occidente è per definizione sostanza che declina, abitato da anime fiacche e riluttanti, per esempio, ad ammettere che “nous sommes en guerre avec l’islam”. E’ un pensiero marginale e scorbutico radicato nella piccola chiesa della Nuova Destra di Alain de Benoist. E’ una fuga sia dall’umanitarismo angelicato del Parnaso di sinistra, sia dall’assimilazionismo tronfio dei gollisti e che ha trovato una ragion d’essere fra i “souverainisti”, i nostalgici dello stato sovrano raccolti attorno a Philippe de Villiers, visconte e vandeano, nella croce celtica di Pierre Sidos e nella Jeune Europe, la formazione della destra “comunitarista” fondata negli anni Sessanta dal belga Jean Thiriart, ex combattente delle Waffen-SS. Professano un europeismo negativo, quello della “lotta per un’Europa nuova”. Qualcuno ha parlato, giustamente, della “sindrome Breivik”, dal nome dello stragista dell’isola di Utoya, con la differenza che Venner ha rivolto l’arma contro se stesso, mentre il killer norvegese ha decapitato la futura classe dirigente laburista di Oslo. Venner è l’immagine stessa dei vinti della decolonizzazione algerina (lo storico militò nell’Oas). E’ odio e rancore che si tramanda in famiglia, ovunque vivano gli attori di ieri. Riguarda i veri “paria”, odiati dagli uni, disprezzati dagli altri, le migliaia di “harkis” che scelsero la lealtà alla Francia e persero la prima patria, senza trovarne una seconda. E’ una ferita che nessun indennizzo pubblico riesce a guarire, sono i “pieds noirs”, i coloni francesi che lì lasciarono status, ricchezze e la douceur de vivre. Una destra segnata dalla lettura dei testi situazionisti della scuola di Guy Debord (che come Venner si sparò un colpo) e da quelli dei francofortesi, dall’antioccidentalismo di Henri Lefebvre (filosofo marxista allievo di André Breton) e dal tribalismo postmoderno di Michel Maffesoli. Una destra che non fa squadra con nessuno, neppure con quel Fronte nazionale lepenista che oggi ha cercato di rivendicare il suicidio di Venner di fronte all’altare. C’è piuttosto l’influenza della destra “antisistema” di Maurice Bardèche. Sono intellettuali con passioni faustiane e arcaiche. La loro è un’educazione sentimentale all’apocalisse che nella grande cattedrale parigina ha celebrato il proprio commiato. Una destra che vive di risentimenti, anche fondati. Come quello dello scrittore Renaud Camus, che ha scritto un libro antisemita. Ce l’ha con gli ebrei del suo paese, con la loro influenza culturale, con il loro potere, con la loro estraneità al contesto nazionale del suo mondo e della sua letteratura. Il suo libro è stato ritirato dalle librerie. Un soffice rogo. Una violenta censura. Un atto inaudito secondo i parametri della libertà di pensare, di pubblicare. La destra di Venner ha avuto premonizioni giuste, dal tracollo della natalità in Europa alla rampante islamizzazione delle sue principali città, i famosi “ghetti multiculturali”. Ma le declina in maniera inservibile e tronfia, suicida perché affascinata da quel nichilista di Drieu La Rochelle. Della sfida islamica non conosce interpretazioni, ma pensa che sotto il minareto non c’è soluzione di continuità tra moderazione e terrore, ma solo diversi gradi d’intensità guerresca in direzione del califfato globale. Una destra che si nutre di immagini fosche, come la “putrefazione”. E’ la reazione ossessiva alla “mala educación” zapaterista germogliata sulle macerie delle bombe di Madrid, l’11 marzo 2004. Pierre-Guillaume de Roux, coraggioso editore parigino, sta per pubblicare un libro di Venner sull’esempio di Yukio Mishima. E infatti è al suicida giapponese che si richiama questa generazione di sconfitti in cui dominanti sono l’estetismo e il narcisismo, la morbosità sensuale e gli impulsi autodistruttivi. L’altro modello è Maurice Blanchot, un monarchico che guardava con interesse e invidia ai fascismi d’oltreconfine, un antisemita che non aveva bisogno dell’esempio nazista per pescare nella tradizione dell’antisemitismo di casa sua, ma che firmava anche documenti di sostegno al “popolo del Vietnam” e che nel 1968 si fece persino vedere alla Sorbona in un comitato rivoluzionario studenti-scrittori. Uno sempre più facile da discutere che da leggere. Come i suoi tristi epigoni che oggi si ritrovano fra le macerie e di fronte a un altare, a sospirare: “Ah la décadence!”.
La REPUBBLICA – Alix Van Buren : ” Il terrorismo fai-da-te minaccia l’Occidente”
Tariq Ali
Secondo Tariq Ali, alla base degli attentati islamici in Occidente, ci sarebbe questa assurda motivazione : “si tratta di giovani nati o cresciuti in Occidente, originari di Paesi quasi sempre musulmani nei quali i governi europei o americano sono impegnati in interventi militari. Sono motivati all’azione da quel che percepiscono come le atrocità della guerra contro i propri popoli di origine o la propria religione.“. Giovani immigrati di seconda o terza generazione, perciò completamente slegati dai loro ‘Paesi d’origine’. Sono più che altro imbevuti di propaganda islamista.
Tariq Ali li dipinge quasi come pacifisti e idealisti. Il passo successivo di questo pericoloso ‘ragionamento’ sarà definirli vittime e giustificarli?
Ecco l’intervista:
«Certo, che sono scioccato e profondamente turbato. Non s’era mai vista prima un’azione violenta del genere per le strade di Londra, diretta contro un individuo. Molti le ripeteranno lo stesso, a buona ragione, e però scommetto che pochi si interrogheranno sulle radici di questo nuovo terrorismo fai-da-te, che sta mostrando la sua brutta faccia in Occidente, dall’Europa agli Stati Uniti».
Tariq Ali, scrittore e regista britannico di origine pachistana, autore pluripremiato, fra l’altro, dello Scontro dei fondamentalismi, studia dal suo osservatorio londinese il Dna di una inedita violenza intervenuta a lacerare i rapporti nel laboratorio multiculturale della società britannica. Un soldato di leva decapitato da due giovani con il machete e poi accoltellato al grido di Allahu Akbar in una strada di Londra. È l’atto di due folli isolati o una forma di terrore? «È il terribile aspetto che sta prendendo il “terrorismo fai-date”: è l’azione congegnata probabilmente da un gruppetto di ragazzi, infiammati da chissà quale evento e spinti a compiere un’azione spettacolare. Le prime avvisaglie si erano avute nel 2005 a Londra con l’attacco alla metropolitana da parte di quattro giovani. S’era visto ancora, l’anno scorso, in Francia con il caso di Mohammed Merah, il francese algerino di 23 anni, che ha fatto 7 morti in tre giorni».
Lei vede un legame anche con le bombe artigianali dei due fratelli ceceni alla maratona di Boston?
«Un medesimo filo unisce questi tre episodi ed è il seguente: si tratta di giovani nati o cresciuti in Occidente, originari di Paesi quasi sempre musulmani nei quali i governi europei o americano sono impegnati in interventi militari. Sono motivati all’azione da quel che percepiscono come le atrocità della guerra contro i propri popoli di origine o la propria religione. Nel caso dei ceceni si trattava, a loro avviso, del sostegno dato dall’America all’annientamento di Grozny da parte dei russi nell’ambito della guerra al terrore. Merah in Francia citava le stragi in Afghanistan e la condizione dei palestinesi. Nessuno sa quale sia esattamente la molla, però di mezzo c’è sempre l’avversione alla guerra, cui adesso si aggiunge la ricerca della spettacolarità ».
Lei si riferisce al video degli attentatori ieri a Londra? Alla loro attesa della polizia per affrontarla in uno scontro eclatante?
«Proprio così: viviamo in un tempo in cui la celebrità s’impone. Nella cultura televisiva imperante, ognuno vuole il suo momento di fama. Apparire sullo schermo è importante, anche se per motivi aberranti, anche se per due o tre settimane. Quei due ragazzi, nati e vissuti in Inghilterra, mostravano orgoglio, volevano far vedere al mondo chi erano gli autori di quell’orrendo atto, e perché lo avevano compiuto. Come vede, il discorso ci riporta alle guerre, a un atto di terrore politico contro un soldato spiegato come una ritorsione contro le atrocità commesse dall’Occidente nei Paesi musulmani».
Lei batte e ribatte sul tasto delle guerre. Quasi fosse una giustificazione? «Per quanto possa rincrescere il doverlo dire, bisogna riconoscere un legame stretto fra guerre e atti di terrore, fra l’interventismo prima di Blair e poi di Cameron, che ora scalpita per entrare in guerra anche in Siria. Tutto questo ha un effetto su una minoranza di persone, alcuni dei quali sono musulmani. In più, l’ascesa dell’islamofobia in Occidente rinfocola le tensioni. L’Europa lasci all’America le proprie guerre. Prenda atto che ormai 24 milioni di musulmani abitano attraverso la Ue. E che una infinitesima minoranza di questi imboccherà la via del terrore finché continuano le guerre».
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