La moglie della Palestina e altri improbabili eroi.
Testata: Informazione Corretta
Data: 17 aprile 2013
Autore: Ugo Volli
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A sinistra, le tombe delle bambine israeliane in gita scolastica uccise da un soldato giordano al confine con Israele.
Cari amici,
lo sapete chi è la moglie della Palestina? Non capite la domanda? O forse pensate che la metafora è mal costruita per una questione di genere grammaticale? Ma via, cari amici, siate moderni, ormai in tutto il mondo si riconosce il matrimonio omosessuale e dunque anche la Palestina, seppure perseguiti i gay, può benissimo avere una moglie. Comunque questa moglie c’è, in carne e ossa, e ha pure un nome, si chiama Ayyat Al-Akhras e oltre ad aver sposato da qualche parte il suo improbabile paese vanta anche il merito di essere la più giovane attentatrice suicida di sesso femminile che sia riuscita ad ammazzare indiscriminatamente gli israeliani. E’ accaduto poco più di undici anni fa, il 29 marzo 2002, quando si fece esplodere vicino a quel legittimo obiettivo di guerra che è un comune supermercato di Gerusalemme, ammazzando due persone e ferendene un’altra trentina. Lo apprendiamo dal sito di Al Fatah, che è sempre il partito di governo dell’Autorità Palestinese, e ha annunciato l’anniversario con grande rilievo sul suo sito Facebook, assegnando alla defunta il titolo, diciamo pure un po’ virtuale di di “moglie della Palestina”. (http://www.palwatch.org/main.aspx?fi=157&doc_id=8762 ).
Ahmed Mahmoud Ahmed Al-Masharqa
La terrorista Ayyat Al-Akhras, ‘Moglie della Palestina’
Non è il solo di questi annunci funebri, c’è per esempio Ahmed Mahmoud Ahmed Al-Masharqa che pur non essendo diventato marito del suo paese, viene detto “eroe”, per essersi travestito da ebreo religioso e fattosi dare un passaggio in autostop si fece saltare, ammazzando quattro delle persone troppo gentili che l’avevano tirato su. Di eroi per lo più defunti dalla faccia patibolare, di fiamme di attentati, di simboli di armi, di bambini che mirano con un fucile e di simili simboli pacifisti è peraltro ricca tutta la pagina facebook di Fatah, che vi invito a guardare, per farvi se non altro un’impressione estetica:https://www.facebook.com/fatehal3sfh . E naturalmente abbondano glorificazione di Saddam Hussein, Dalal Mughrabi … e dei fucili (http://www.palwatch.org/main.aspx?fi=157&doc_id=8319): roba forte, insomma.
Nessuna meraviglia dunque che il buon parlamento giordano, sia pure meno esposto sul fronte della lotta armata abbia richiesto la liberazione di un soldato che una ventina d’anni fa sparò a un gruppo di bambine in gita al confine fra Israele e Giordania, proprio in riva al fiume (http://elderofziyon.blogspot.it/2013/04/jordanian-parliament-demands-murderer.html). Fu un crimine così orrendo che lo stesso re Hussein di Giordania si sentì obbligato a fare il gesto straordinario di chiedere scusa e fare visita alle famiglie delle vittime; ma oggi i suoi eredi ci hanno un po’ ripensato: bambine o no, sempre di ebree si trattava, occupanti, e dunque il loro assassino non merita di essere punito per il crimine. Del resto, gli ebrei non hanno appena ucciso un prigioniero palestinese stroncato dal cancro? Voi mi dite che se uno muore di tumore non è ucciso, e che Israele ha una delle migliori strutture mediche del mondo, che non nega ai palestinesi e neppure ai detenuti; ma in realtà c’è la prova provata della colpa israeliana. La si può vedere in questa fotografia, che mostra il polso di un prigioniero ammanettato al letto, accostato all’immagine del defunto. In realtà la mano appartiene a un siriano vittima della guerra civile, la fotografia è stata scattata in Siria, come potete vedere qui (http://www.algemeiner.com/2013/04/05/fake-photo-of-handcuffed-palestinian-convict-caught-online/ ). Ma questo non importa affatto, se un polso siriano è accostato graficamente alla foto di un palestinese ammalato di cancro la colpa della morte è sicuramente di Israele: magari per entrambi.
Moni Ovadia Ugo Tramballi Lapo Pistelli
Marwan Barghouti
Nessuna meraviglia infine che qualcosa di analogo abbia fatto un eletto gruppo di pacifisti (si fa per dire) italiani, fra cui spiccano i nome di Moni Ovadia, di uno che di mestiere dovrebbe fare il giornalista, dunque riferire con onestà i fatti senza prendere parte per nessuno come Ugo Tramballi (che scrive, pensate un po’ voi, sull’ ”autorevole” quotidiano della Confindustria), e poi Lapo Pistelli, che se non sbaglio è responsabile esteri del PD ecc. ecc. Che cosa hanno fatto costoro ve lo ha raccontato l’altro ieri Informazione Corretta (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=48798 ): chiedere con una pubblica manifestazione nella sede romana del Parlamento Europeo (consenziente? disinformato?) la liberazione di Marwan Barghouti, che è stato negli anni del grande terrorismo chiamato “seconda Intifada” il capo delle milizie assassine di Al Fatah, i Tanzim. Barghouti è stato condannato per cinque omicidi, compiuti in tre diversi attentati da lui organizzati e diretti: l’uccisione di un monaco greco a Maalé Adumim nel giugno 2001, di una persona in un attentato una stazione di benzina di Givat Zeev e di altre tre al mercato del pesce di Tel Aviv. Anche per lui, come vedete, tutti eroici attacchi a obiettivi prettamente militari, segni di un senso dell’onore mai velato da vigliaccheria o violenza sui civili…
Be’ diciamocelo, forse anche lui si meriterebbe di fare la moglie della Palestina (o il marito, come vi pare), e i vari Ovadia, Tramballi, Pistelli e soci badate, forse essere nominati ufficialmente pure loro zie o cognati o cugini di questa nazione inventata. Badate, sto augurando loro un titolo onorifico, non la morte, anche se titoli così gloriosi sono concessi dalla rigorosissima Autorità Palestinese solo a defunti, anzi “martiri”. Ma nutro l’illusione illuministica che sarebbe bene fosse fatta chiarezza sui ruoli, per esempio su chi è un criminale assassino e chi ne approva i crimini o lo vuole libero perché possa ricominciare la sua opera di morte. Forse, se i ruoli fossero chiari, si potrebbe così stabilire che un cugino della Palestina non può fare credibilmente il giornalista a proposito delle imprese di sua cugina e degli altri parenti; e che una suocera della Palestina, anche se si finge a teatro ebreo askenazita, sente assai più forte la parentela acquisita che quella d’origine. Non per deontologia professionale, figuriamoci se questi santi in terra, parenti di così tanto stato, sono interessati a un tema così basso come premettere alle loro esternazioni il legame morale che sentono con mogli ed eroi della Palestina, che noi, volgari materialisti, chiamiamo volgarmente terroristi. Solo così, per chiarezza. Ma anche questa, temo, è un’illusione.
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