Testata: Corriere della Sera //*IC*
Data: 02 marzo 2013
Pagina: 36
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Sul lungomare dei sapori lo yogurt è un manifesto politico»
Sul CORRIERE della SERA di oggi, 02/03/2013, a pag.36, con il titolo ” Sul lungomare dei sapori lo yogurt è un manifesto politico”, Davide Frattini racconta l’Israele quotidiana, normale, che vivono i suoi abitanti. Un pezzo gustoso, un invito ad andarci in vacanza.
Maoz Alonim, del ristorante HaBasta
Il carciofo di Gerusalemme è stato chiamato così dai crociati, che non conoscevano il topinambur ma riconoscevano quel sapore. O almeno è l’etimologia illustrata da Maoz, mentre spiega come ripulire e pelare i tuberi bitorzoluti per poi lasciarli bollire in acqua e un poco di latte che li ammorbidisca. Le origini del nome sono probabilmente meno epiche, una storpiatura inglese di girasole (del Canada), un altro marchio con cui questa radice dai fiori gialli si è diffusa per il mondo prima che venisse soppiantata dalla patata.
Maoz Alonim e Itai Har Gil la preparano ripassata in padella con la pancetta o tagliata a blocchetti e appoggiata sul formaggio fresco di capra, nel minuscolo ristorante dove inventano piatti di una cucina mediterraneo-orientale più che mediorientale. Il locale si chiama HaBasta come le bancarelle del mercato di Tel Aviv che sta a pochi metri. È qui che i due chef vengono a comperare i prodotti e cercano di scovare vegetali o spezie usate nelle ricette arabe. In questa stagione l’akub (la pianta spinosa Gundelia tournefortii, il cardo) per farcire i ravioli shush barak da accompagnare con la salsa di yogurt, il coriandolo selvatico per insaporire il pesce o la carne, il cavolo rapa da cuocere in forno.
Il laban jamid, lo yogurt essiccato di Nablus da grattuggiare tipo grana, diventa per Maoz quasi un manifesto politico, come i menu scritti a mano ogni giorno che spesso portano in epigrafe il commento — pacifista e contro l’occupazione in Cisgiordania — alle notizie più importanti (o controverse). Le idee del cuoco non hanno frenato Gilad Sharon, il figlio dell’ex premier Ariel, o altri politici conservatori dal sedersi a questi tavolini ormai intarsiati di rosso Bourgogne.
Le stradine intasate del mercato Carmel sono l’estensione quasi centenaria dei primi banchetti apparsi attorno al Kerem HaTeimanim («la vigna degli yemeniti»), piccolo quartiere di casette a due piani, stretto tra l’area pedonale di via Nahalat Binyamin e la passeggiata sul lungomare, la Tayelet con i mosaici di sassi bianchi e neri.
L’area si è sviluppata negli anni Venti del secolo scorso per l’impulso della comunità di immigrati sionisti dalla Russia e di Meir Dizengoff, primo sindaco di Tel Aviv. Il comune ha cercato più volte di spostare lo shuk in una zona più centrale (qui siamo a sud della città, verso Jaffa), le tettoie di lamiera — che creano un tunnel tra gli ortaggi e il pesce fresco — hanno resistito pure agli anni degli attentati terroristici dell’intifada palestinese.
Anche altri chef trovano ispirazione nella cucina araba, come le variazioni sulloshawarma, il pane pita ripieno di un po’ tutto, proposte da Eyal Shani. Il suo Tzfon Abraxas, a nord di Abraxas, prende il nome dalla posizione sulla bussola rispetto a un popolare locale per la musica dal vivo o i dj set. Dal ristorante si può passare al club (e ritorno), le due porte d’ingresso stanno una affianco all’altra. Shani conduce la versione israeliana di Masterchef, rischia di finire in cella quarantacinque giorni per bancarotta, per ora sta spesso dietro ai fuochi di questo che è uno dei suoi quattro ristoranti. Le verdure, il pesce o la carne sono cucinati alla griglia davanti ai clienti, il bancone del bar (che a Tel Aviv è una dilatazione imprescindibile dei tavoli) guarda verso la cucina e i prodotti freschi ammonticchiati tra le pentole.
Per sbirciare Yonatan Roshfeld al lavoro bisogna invece salire al secondo piano del suo Herbert Samuel. Lo chef e gli assistenti si agitano dietro a un’enorme vetrina ed è come assistere a un reality televisivo dal vivo. Due anni fa la rivista Food & Wine ha piazzato Roshfeld al primo posto tra le «stelle in ascesa» della cucina globale.
Da pochi mesi gestisce anche il ristorante del nuovo hotel Alma, ricavato in un palazzo del 1925. Quest’area dietro alle jacarande di viale Rothschild è chiamata il cuore della Città Bianca: gli edifici Bauhaus proclamati patrimonio dell’umanità dall’Unesco stanno perdendo la copertura di inquinamento e intonaci successivi per tornare al colore neutro pensato dagli architetti che si ispiravano all’Europa. In poche strade si trovano altri piccoli alberghi eleganti come il Townhouse (aperto dalla famiglia Kastiel, designer e produttori di mobili) e il Montefiore, creato da Ruti e Mati Broudo che insieme hanno dato inizio al progresso culinario di Tel Aviv con il ristorante Coffee Bar lanciato una ventina di anni fa.
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One Response to Carciofi, yogurt, formaggi in un ristorante di Tel Aviv.
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