ISRAELE, in attesa del nuovo governo.
Testata: Shalom
Data: 23 febbraio 2013
Pagina: 16
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La guida del Paese è sempre nelle mani di Bibi»
Riprendiamo da SHALOM di febbraio 2013, a pa.16, il commento di Fiamma Nirenstein sulla situazione politica israeliana dopo le elezioni, dal titolo ” La guida del Paese è sempre nelle mani di Bibi ”.
In molti hanno tifato per la sconfitta di Netanyahu. Ma nessuno dei politici emergenti, Yair Lapid e Naftali Bennet, ha intenzione di rompere con il leader del Likud.
Di: Fiamma Nirenstein.
Se qualcuno pensa di potersi semplicemente informare su quello che Israele è, o su quello che vi accade, che si cerchi delle fonti alternative alla stampa e in genere ai media internazionali. Le fantasie negative che coprono lo Stato Ebraico sono talmente dense che è impossibile persino intravederne la realtà. Non mi riferisco soltanto alle espressioni di odio estremo, come la vignetta che su un giornale mainstream come il Sunday Times rappresenta Netanyahu che costruisce un muro usando il sangue dei palestinesi di cui è tutto lordato. Non è una novità: anche Ariel Sharon, il Primo Ministro che sgomberò Gaza fu rappresentato sullo stesso giornale alla maniera di Goja, un mostro col ventre rigonfio e nudo, coperto di rivoli di sangue mentre stacca la testa con i denti ai bambini palestinesi. Sembra incredibile, non stiamo parlando dell’organo del gruppo neonazista Jobbik, parliamo di un giornale letto da gente normale come il Sunday Times, e mentre combattiamo l’antisemitismo estremo e ci riuniamo in grandi assemblee in cui affermiamo “mai più”, il lettore inglese medio viene irrorato di immagini degne dello Sturmer. E’ una lezione sull’antisemitismo, ne parleremo un’altra volta. Invece non possiamo chiamare così, e tuttavia possiamo percepire i miasmi velenosi che ne promanano, la valanga di commenti che prima delle elezioni si sono rovesciate sul lettore italiano e europeo in genere; tutte disegnavano la stessa prospettiva, un film di fantascienza, completamente immaginato, dati i risultati. Ci narravano infatti di un Israele in preda a una crisi oscurantista in cui la parte religiosa più estrema insieme ai più duri coloni avrebbe, naturalmente sotto la leadership del pessimo Netanyahu, dominato un Paese confuso, isolazionista, sordo al mondo intero. Le motivazioni di questa discesa nell’oscurità erano descritte alla rovescia, con ignoranza e pregiudizio, per la verità molto ben alimentate dagli oppositori israeliani di Netanyahu, furiosi fino al limite dell’isterismo e utilizzati acriticamente come fonti di verità assoluta: cosicché per i giornali (anche i nostri) la fonte principale è stata soltanto Ha’aretz. Sono per esempio diventate verità assolute il fatto che la responsabilità del rapporto freddo con Obama fosse da attribuire a Bibi, e non semmai all’atteggiamento strategico di Obama verso il Medio Oriente, certo non molto simpatetico con Israele e assai compiacente e illusorio col mondo arabo. La questione palestinese è diventata poi, per suggerimento molto circostanziato di Tzipi Livni e di Ehud Olmert, tutta responsabilità del governo, come se Abu Mazen non avesse rifiutato lui, molte volte, la pre offerta di trattativa senza precondizioni anche in presenza di una sospensione di dieci mesi delle costruzioni; persino la preoccupazione di Bibi nei confronti dell’Iran è diventata agli occhi dei suoi oppositori, con pronti trasferimenti alla stampa internazionale (Olmert ne è stato il campione) un’esagerazione da mettere in forse, un trucco. Ma sì, che sarà mai quest’Iran che isola Israele, imbarazza Obama e l’Europa? I media ci hanno spiegato da una cattedra di panna montata come un pubblico israeliano duro e sostanzialmente incarognito si sarebbe precipitato sul voto per farne ancora un’arma di isolamento e di contrapposizione verso il mondo arabo. Ed ecco che avanza accanto ad un Netanyahu (peraltro sempre pronto a ripetere la sua scelta per “due Stati per due popoli” mai detta dai palestinesi) sempre vincente ma ridimensionato, il nuovo protagonista di queste elezioni, Yair Lapid, con 19 seggi alla sua prima volta alla Knesset. E’ un giornalista intelligente e preparato, figlio di Tommy Lapid, il grande sostenitore della società laica, dello Stato di Diritto, dell’arruolamento dei religiosi nell’esercito. Yair gli somiglia, è il campione della borghesia israeliana di Tel Aviv, un intellettuale, gli piace immaginarsi in un mondo normale in cui si possano riprendere i colloqui con Abu Mazen e le tasse non tartassino il cittadino della classe media. Ma non attacca Netanyahu, non inveisce come Shelly Yechimovich che giura di distruggerlo, o come la Livni che si impegna (chissà se poi è vero) a non entrare mai una coalizione insieme all’attuale Primo Ministro. Yair è civile e pulito, rappresenta il sogno, purtroppo molto volatile, che Israele sia un Paese che non ha bisogno di accigliarsi e di stare sempre in guardia. Però lo dice subito: scordatevi che io possa fare un governo che abbia come solo obiettivo di distruggere Netanyahu, non ho nessuna ragione di farlo, e certo io, ha già detto mentre tutti trattano, con Balad, il partito arabo che promette di distruggere Israele, non sto in nessuna coalizione. In sostanza: a queste elezioni Israele si è comportato nel più ragionevole dei modi. A parte il fatto che le elezioni, in quell’area di sangue e urla, si sono svolte con grande ordine, decenza e civiltà, Netanyahu è rimasto a capo di un Paese che sa di aver bisogno di un leader forte, di grande esperienza, che sa che il suo primo compito è tenere il timone in un Medio Oriente in cui un giorno si teme che le armi chimiche di Assad siano passate agli hezbollah, il giorno dopo che il Sinai diventi una base fissa di Al Qaeda mentre l’Egitto trema. I nemici della Fratellanza Musulmana si organizzano e si rafforzano nei Paesi circostanti, l’Iran procede verso la bomba. Yair Lapid non avrebbe l’esperienza necessaria in una situazione del genere, ma può essere un ottimo secondo. E’ anche significativo che alla destra di Bibi sia sorto non un tipo classico di religioso messianico, ma un personaggio molto interessante, a sua volta portatore di molte luci di modernità Naftali Bennet, che prende 12 seggi. La mappa politica oggi è quasi fifty-fifty, 61 seggi se Yair Lapid accetta di fare una coalizione con Netanyahu, a 59. Un bel parlamento testa a testa, la Knesset ultrademocratica che ci piace, così lontana dall’immaginazione dei media, dalla continua demonizzazione di Israele. E Yair Lapid sarebbe un bel ministro degli Esteri…
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