Il pregiudizio antisraeliano del Vaticano è duro a morire.
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Emanuel Baroz
19 gennaio 2013
Il Vaticano nega a Israele il diritto a vivere
di Giulio Meotti
Che cosa vuole il Vaticano? Anche se è difficile crederlo, viene da pensare che sia tornato a imputare agli ebrei tutte colpe.
Otto vescovi cattolici d’Europa e del Nord America, scelti dal Vaticano, si sono impegnati a fare pressioni sui loro governi per agire contro l’ “ingiustizia”della “barriera di separazione d’Israele in Cisgiordania”.
La speciale delegazione di prelati di alto livello, dopo aver visitato i cristiani nella Striscia di Gaza, Betlemme e Beit Jalla, si è appellata al mondo perchè affrontasse la “tragica situazione”in cui si trovano gli arabi cristiani palestinesi di Beit Jala, non per le minacce islamiste, ma perché sono stati “estromessi” dalla barriera di sicurezza, nonostante il fatto che nel costruirla nessuna terra sia stata annessa da Israele, nessuna casa sia stata demolita, e a nessuno sia stato chiesto di lasciare la propria abitazione.
Infatti, la verità più grande, ignorata dalla stampa occidentale e dalle Chiese, è che quella barriera ha contribuito a riportare la calma e la sicurezza non solo in Israele, ma anche a Betlemme. La Chiesa della Natività, che i terroristi avevano profanato nel 2002 per difendersi dalla cattura da parte dell’esercito israeliano, ora è di nuovo piena di turisti provenienti da tutto il mondo.
I vescovi hanno anche incontrato Daniel Sherman, dell’organizzazione anti-israeliana B’Tselem. Secondo l’agenzia di stampa del Vaticano, i vescovi hanno avuto la prova dell’ “abuso in atto in Cisgiordania, dove due milioni e mezzo di palestinesi vivono sotto occupazione militare israeliana”.
Giuseppe Lazzarotto, Legato pontificio in Israele, ha anche dichiarato: “Si possono abbattere i muri materiali solo se si abbattono i muri dello spirito. Questa è la cosa essenziale. Finché non si abbatteranno i muri che ognuno di noi si porta dentro, non si possono abbattere altri muri, anche costruendone di nuovi, il che è ancora peggio “.
Per i vescovi cattolici, tra i quali l’arcivescovo del Regno Unito Patrick Kelly e l’arcivescovo francese Michel Dubost, questa è stata la missione più importante in Israele da un anno a questa parte. Hanno visitato Gaza sotto il controllo di Hamas, dove Dubost ha detto agli abitanti di Gaza “ prigionieri del più grande carcere in Europa” che avrebbe pregato per loro. La conclusione è chiara: i poveri arabi palestinesi vivono in una grande prigione, sotto il terrore di Israele.
Oggi nel mondo ci sono 50 barriere difensive. Bill Clinton ha fatto costruire il muro che divide gli Usa dal Messico; la Spagna ha costruito recinzioni per impedire l’ingresso ai marocchini; l’India sta erigendo un muro di separazione dal Kashmir; tra la Corea del Sud e la Corea del Nord c’è il confine più fortificato al mondo; i ricchi sceiccati arabi stanno recingendo il confine con il poverissimo Oman; Cipro è divisa da muri; Belfast è una città recintata da barriere in mattoni, ferro e acciaio, e persino l’ultra-liberale Olanda ha costruito un recinto intorno al Hoek van Holland.
Tuttavia solo le barriere di Israele sono state condannate dal Vaticano, solo le barriere di difesa di Israele hanno ricevuto continui attacchi sui media cattolici e sono sbattute in prima pagina sull’Osservatore Romano (il giornale ufficiale del Vaticano) e solo i checkpoint di Israele interessano alle manifestazioni degli attivisti cristiani.
Mentre negli altri paesi le recinzioni impediscono l’ingresso a immigrati clandestini dai paesi limitrofi, solo in Israele le recinzioni e i posti di blocco hanno come giustificazione un motivo veramente umanitario: quello di garantire alla popolazione civile il diritto alla vita. Filo spinato, pattugliamenti stradali, telecamere e sensori elettronici sono utilizzati in Israele per impedire che un ristorante, un centro commerciale o un albergo possano trasformarsi in stragi di corpi umani. Corpi di ebrei.
In nessun altro paese con le stesse misure difensive, vi sono infiltrati con il “sacro” scopo di uccidere esseri umani. Tijuana, il simbolo del muro di separazione tra Stati Uniti e Messico, non è Qalqilya, una città palestinese a 15 chilometri da Tel Aviv, circondata da una barriera di sicurezza, chiamata “Paradise Hotel”, perché la città è stata usata dai terroristi suicidi come il luogo di partenza degli attacchi contro Israele. E’ da Qalqilya, dalle cui colline si possono vedere le torri Azrieli di Tel Aviv , che si capisce come possano essere bombardate dai terroristi.
Le barriere di sicurezza sono il più importante strumento di difesa di Israele contro il terrorismo. A differenza del Checkpoint Charlie di Berlino, che era un monumento di sfida contro gli oppressi, i checkpoint israeliani sono un simbolo di vita. Secondo l’IDF, circa il 30% degli arresti da parte dell’antiterrorismo israeliano ha avuto luogo presso i posti di blocco.
Israele ne ha migliorato le condizioni di vita, ma i terroristi arabi palestinesi ne hanno deliberatamente approfittato. Nel 2004, una donna palestinese ha ucciso quattro israeliani a un posto di blocco a Gaza, fingendo di essere disabile. A causa del suo stato, i soldati avevano proceduto ai controlli di sicurezza senza prima utilizzare un metal detector. Lei ha quindi potuto far esplodere l’ ordigno esplosivo che portava con sè.
Ci sono 63 posti di blocco lungo la barriera, noti come “porte” e “ostacoli”, quali blocchi stradali e passaggi sotto controllo. Per questo i terroristi arabi palestinesi hanno trovato difficoltà a procurarsi armi da quando l’esercito controlla ogni città. Quando rimangono bloccati ai posti di blocco, comunicano con i cellulari. In questo modo i servizi segreti israeliani riescono a intercettare la chiamata e individuare la rete. In passato, l’intelligence israeliana veniva a conoscenza di un attacco mentre questo era già in corso. Con i posti di blocco, l’esercito ferma le manovre dei terroristi dell’Anp. Ecco perché il checkpoint di Kalandia, tra Gerusalemme e Ramallah, assomiglia ad un vero e proprio confine.
Il Vaticano “ignora” che ci sono stati numerosi attacchi che hanno coinvolto i terroristi nella regione di Betlemme e che numerosi attentatori suicidi provenivano da quella zona. Questo è il motivo per cui Israele ha bisogno di costruire una barriera. È per questo che l’IDF considera il controllo della collina come un essenziale “punto di osservazione”. Come la barriera vicino a Cremisan, che protegge la comunità israeliana del quartiere di Ghilo.
Ghilo è un simbolo speciale della resistenza ebraica durante l’Intifada, quando cecchini arabi sparavano contro gli ebrei da Beit Jalla, popolata soprattutto da arabi cristiani. Ghilo era diventato come una cittadina irlandese. I residenti ebrei cominciavano ad andarsene, regnavano fra gli abitanti paura e rabbia. Sebbene in ritardo, il governo israeliano ha poi fornito barriere e pareti di vetro a prova di proiettile per proteggere i residenti del quartiere. Ghilo è stato il laboratorio dove i terroristi hanno cercato di verificare se potevano costringere gli ebrei ad abbandonare le loro case. Hanno fallito. Ora il Vaticano sta cercando di far rivivere questo obiettivo con altri mezzi, “pacifici”, ovviamente.
Senza posti di controllo, barriere di sicurezza e blocchi stradali, Israele non sarebbe in grado di esistere. Se gli arabi si disarmano, ci sarà la “pace”; ma se è Israele a disarmarsi, ci sarà un nuovo genocidio. E’ questo che vuole il Vaticano? Un’altra incombente Shoah?
(Da Israel National News , 13 Gennaio 2013 – traduzione di Yehudit Weisz)
Emanuel Baroz, 19 gennaio 2013
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