Leggiamo  spesso, purtroppo anche su pagine e siti legati ad istituzioni ebraiche  italiane, tesi minimizzatrici sulla diffusione sempre più capillare – e quindi a  nostro avviso sempre più pericolosa – dell’antisemitismo in Europa. Ci dicono  che siamo allarmisti, o addirittura ossessivi, mentre a nostro avviso non  rendersi conto del problema non aiuta a prendere atto della situazione, che è  sempre più evidente (ripetiamo: purtroppo lo  è,  perchè qui siamo tutto fuorchè contenti di dover continuare a denunciare gli  episodi di antisemitismo che accadono in giro per l’Europa!), e nascondere la  testa sotto la sabbia non serve.

Europa:  quel simbolo ebraico da nascondere

http://www.focusonisrael.org/2012/12/22/europa-antisemitismo-simboli-ebraici/

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Emanuel  Baroz 22  dicembre 2012

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La kippà  blasfema

di Giulio  Meotti

Quando gli  occupanti tedeschi cominciarono a progettare la deportazione in massa degli  ebrei danesi, la popolazione civile nascose i ricercati, raccolse denaro per  affittare un numero di barche sufficiente a caricare in poche riprese migliaia  di persone, li accompagnò ai luoghi di imbarco (lungo strade e sentieri di  campagna vigilavano i membri della resistenza), infine li traghettò nella sicura  Svezia. E’ così che più del novanta per cento dei 7.695 ebrei danesi è passato  dalla parte dei “salvati”. Un caso quasi unico nell’Europa della “soluzione  finale”.

Per questo  ha generato scandalo l’invito  dei diplomatici israeliani appena rivolto agli ebrei di Danimarca: le  persone di religione ebraica che vivono o si trovano di passaggio in Danimarca  non dovrebbero indossare o mostrare i simboli della loro fede. Era pericoloso  nella Danimarca del 1943, lo sarebbe ancora in quella del 2013. Lo riferisce il  giornale danese Jyllands-Posten, che ha pubblicato un’intervista  all’ambasciatore israeliano a Copenaghen, Arthur Avon, secondo il quale è  consigliabile non esporre simboli dell’ebraismo. “Abbiamo avvertito gli  israeliani che sono in viaggio qui e che vogliono andare in sinagoga, di  indossare la kippah solo una volta entrati all’interno del tempio”, ha detto  Avon precisando che “è meglio esibire tali simboli solo in luoghi  sicuri”.Analogo avvertimento ha espresso il gruppo ebraico Mosaisk Trossamfund,  che ha sollecitato i fedeli a evitare di mostrare in pubblico la stella di  David, ricordando che quest’anno vi sono stati almeno quaranta episodi di  antisemitismo e che la stessa polizia danese ha più volte invitato le persone di  fede ebraica alla cautela.

Ci sono  intere aree europee in cui è meglio non  essere riconosciuti come ebrei. Accade oggi. Neanche fossimo  a Gaza. In molti si chiedono che futuro abbiano gli ebrei in Europa. “La  comunità ebraica europea sta morendo”, ha detto il rabbino Adin Steinsaltz, il  massimo esperto mondiale di Talmud. Il giornale inglese Telegraph ha pubblicato  un articolo dal titolo: “E’ l’ultima generazione di ebrei britannici?”. Lo  stesso ha detto il presidente degli ebrei austriaci, Ariel Muzicant: “Se non  accade un miracolo, la comunità ebraica in Austria non ci sarà più”. E la  situazione è molto  peggiorata dopo la  strage, il marzo scorso, alla scuola ebraica di Tolosa. “Nove mesi fa le  comunità ebraiche d’Europa hanno ricevuto una sveglia quando Mohammed Merah ha  ucciso tre bambini e un rabbino a Tolosa”, ha detto Arie Zuckerman, segretario  dell’European Jewish Fund. La scuola Otzar Hatorah di  Tolosa aveva videocamere e un fence a protezione, ma nessuna  guardia.

Oggi le comunità d’Europa  stanno correndo ai ripari. In Inghilterra sono state installate mille nuove  telecamere e sono stati addestrati quattrocento ufficiali della sicurezza. La  comunità in Norvegia spende 87 mila euro all’anno per la sicurezza, ovvero metà  del proprio budget. In Olanda si spende un milione di euro all’anno per  proteggere gli edifici. Per gli ebrei non è più sicura neppure la “Gerusalemme del  nord”, la città fiamminga di Anversa, secondo porto d’Europa, patria dei  diamanti e dei cinque stilisti più famosi del nord Europa. Nei quartieri  periferici, “i borgerhout”, non è più consigliato camminare con lo zucchetto. E’ qui che nel 1980 uomini di Abu Nidal lanciarono bombe a mano contro studenti di  Agudat Israel uccidendo un giovane ebreo. “Gli ebrei stanno abbandonando  Anversa”, titola De Standaard. Il quotidiano belga prevede che nel giro di  cinquant’anni non ci saranno più ebrei residenti in città. A causa del crescente  antisemitismo molti giovani ebrei lasciano il Belgio per andare a studiare a  Londra, New York o in Israele, dove “lavorare con la kippah non è un problema”. Studenti ebrei hanno già dismesso il copricapo a Berlino. L’Abraham Geiger  Theological College a Potsdam ha appena invitato gli studenti a non portare la  kippah per strada e lo stesso ha fatto la scuola Or Avner di Berlino.  Una linea guida dell’istituto consiglia agli studenti: “Parlate tedesco, non  ebraico, e mettete un cappello da baseball sopra la kippah”. Nella Germania del  2013, l’appello di Walter Homolka, rettore del Collegio Abraham Geiger di  Potsdam, ha come con un’eco sinistra: “Consiglio a tutti i miei studenti ebrei  di evitare ogni manifestazione pubblica della propria  religiosità”.

Ad agosto,  nel centrale distretto berlinese di Friedenau, Daniel Alter, tedesco di  Norimberga, uno dei primi tre rabbini ordinati in Germania dai tempi del  nazismo, è stato pestato da quattro giovani arabi mentre si trovava per strada  con la figlia di sei anni, percosso violentemente alla testa, insultato e  lasciato sanguinante a terra. Gli aggressori sono fuggiti dopo aver minacciato  di morte la figlia.  Tutto era partito con una domanda: “Sei ebreo?”. Interrogativo  superfluo, visto che il rabbino portava la kippah sul capo. E’ finito in  ospedale, con lo zigomo fratturato e una riflessione amara: “Non so come  spiegare a mia figlia perché gli ebrei non appartengono alla vita quotidiana  della Germania di oggi”. Per anni docente al ginnasio John Lennon di Mitte,  nuovo cuore della Berlino riunificata, Rainer Werner ha da poco pubblicato un  libro dal titolo “Dipende tutto dal professore”, nel quale scopre il velo della  realtà liceale cittadina. “Ebreo e vittima sono tornati a essere insulti  quotidiani nei cortili delle scuole tedesche, pronunciati non necessariamente  contro studenti ebraici. Ne sono protagonisti soprattutto i giovani musulmani,  il cui odio è spesso mutuato da motivazioni politiche legate alle vicende nel  medio oriente”, ha scritto Werner. Dalle pagine del Tagesspiegel, il presidente  del Consiglio centrale degli ebrei della Germania, Dieter Graumann, ha scandito: “Noi ebrei non ci nascondiamo, non abbiamo paura. Non ci lasciamo intimidire.  Chi aspetta questo, aspetterà per l’eternità. Io non permetterò che l’ebraismo  possa essere vissuto solo nel retrobottega”.

Persino in  Finlandia, dove una piccola ma storica comunità ebraica ha sempre vissuto in  relativa tranquillità, la comunità israelitica ha appena diramato una direttiva  chiedendo ai propri membri di non indossare la kippah in pubblico. A Malmö, in  Svezia, la situazione è ancora più drammatica. La columnist del Jerusalem Post  Caroline Glick ha scritto che “Malmö è uno dei posti più pericolosi in Europa  per gli ebrei”. Della Svezia che nel Novecento è stato uno dei luoghi più  accoglienti per gli ebrei, oggi circa ventimila in tutto il paese, resta un  fragile ricordo. Un simbolo della nuova Svezia è Rosengård, progetto di case  popolari pensato negli anni Sessanta per la classe operaia. Qui vivono molti  ebrei fuggiti dalla Polonia del regime comunista e antisemita di Wladyslaw  Gomulka al fianco di generazioni di immigrati islamici. Rosengård è dunque un  simbolo dell’egualitarismo svedese. Agli ebrei che partecipano ai servizi  religiosi si fa arrivare sempre un avviso: “Via la kippah qui siamo a  Rosengård”. Recentemente anche la comunità ebraica di Norvegia ha adottato “l’invisibilità” come metodo per vivere più sicuri. Niente zucchetti per strada.  La polizia di Oslo ha raddoppiato la protezione attorno alla maggiore sinagoga  della capitale. Erez Uriely, biologo israeliano che vive a Oslo da molti anni,  ha dichiarato che “gli ebrei ormai hanno paura a indossare la kippah per  strada”.

In Francia  numerosi sono stati gli incidenti ai danni di ebrei religiosi. A Parigi si  consiglia di “camminare in gruppo”, mai soli. Meglio se sopra la kippah si  indossa un cappello sportivo. Alcuni giorni fa un uomo è stato picchiato nella  metropolitana della capitale. Come sarebbe stato riconosciuto? Perché stava  leggendo un libro di filosofia ebraica scritto dal rabbino capo di Parigi. Metà  delle famiglie ebraiche di Villepinte, sobborgo proletario a nord della  capitale, hanno lasciato il quartiere e la sinagoga locale, già incendiata nel  2011, non ha più fedeli neppure per il minyan di preghiera. In grandi  agglomerati urbani come Sarcelles, Créteil, Sartrouville e Saint-Denis, dove la  sinagoga e la moschea si abbracciano, la tensione è altissima. A rischio è il  rapporto di fiducia fra gli ebrei e la Francia, un paese che dal 1791 si vanta  del motto “poiché gli ebrei non avevano una patria, il popolo francese ha deciso  di offrirgli la propria”. Una recente copertina del Nouvel Observateur è  dedicata al boom antisemita. Vi si racconta del panico che regna nelle  periferie, dove è sufficiente un copricapo religioso, ma anche un “certo taglio  di capelli” o perfino un certo accento, per diventare un obiettivo di  un’aggressione fisica a sfondo etnico. Non a caso il programma semi ufficiale  dell’Agenzia ebraica per incoraggiare i francesi all’emigrazione verso Israele è  stato chiamato in codice “Sarcelles d’abord”, innanzitutto Sarcelles, un tempo  nota come la “Gerusalemme francese”. Lo scorso giugno il deputato Jacques  Myard è stato aggredito a Sarcelles al grido di “questa è terra araba, voi  sionisti dovete andarvene”. Jöel Mergui, presidente del concistoro delle  comunità ebraiche, ha detto che “non passa settimana senza che ci siano attacchi  antisemiti in Francia”. Non si contano più casi come quello di Lione, dove il  rabbino capo Richard Wertenschlag ha ricevuto lettere minatorie. “D’ora in  avanti puniremo un ebreo ogni volta che va in televisione a lamentarsi”, è la  minaccia contenuta in una lettera che porta la firma di un non meglio  identificato “Network dei Giusti”. Come reazione alla paura, oggi sempre più  ebrei, anche se non religiosi, iscrivono i figli alle scuole ebraiche anziché  far loro frequentare quelle pubbliche francesi.

In  Inghilterra la comunità ebraica è corsa ai ripari difendendosi da sola. Sono  nati persino comitati di “shomrim”, in ebraico i guardiani, squadre di giovani  che pattugliano le strade dei quartieri dove vivono gli ebrei. Qualcosa di  simile esiste negli insediamenti in Israele. Poi c’è l’Olanda, il paese di  Baruch Spinoza e degli ebrei iberici fuggiti dall’Inquisizione. Il giornalista  olandese Paul Andersson Toussaint ha scritto che “l’antisemitismo in Olanda è  tornato a essere salonfähig”. Significa socialmente accettabile. Non si tratta  più di incidenti isolati, è ormai la norma in grandi città come Rotterdam e  Amsterdam. Il capo della Dutch Jewish Federation, Herman Loonstein, annuncia che “molti ebrei stanno emigrando in Israele e Gran Bretagna. Anche nei servizi  pubblici i nostri figli non sono al sicuro”. Un gruppo di ragazzine ebree della  stessa età di Anne Frank, l’autrice del “Diario”, ha detto al quotidiano Het  Parool che non sarebbero più uscite di casa con al collo la stella di David,  dopo che erano state picchiate per strada da una banda di giovani. Non ci sono  più segni o nomi ebraici nella sinagoga a De Baarsjes, il quartiere di Amsterdam  ovest. Gran parte degli ebrei olandesi sono assimilati e per la maggior parte è  impossibile riconoscerli. Il problema si concentra sugli ebrei ortodossi, che  sono visibili, con l’abito nero, con la kippah, oppure perché hanno la lunga  barba. Queste persone non possono più girare per le strade olandesi. “Ormai  molti membri della comunità ebraica considerano normale dover nascondere il loro  copricapo quando escono in strada”, ha detto ad Haaretz il capo del centro di  informazione ebraica, Ronny Naftaniel. Il ministero della Giustizia dell’Aia era  ricorso anche a metodi a dir poco fuori dal comune. Poliziotti vestiti con gli  abiti della tradizione ebraica che si fingono ebrei. Esche per le strade. “Gli  ebrei più coscienti devono rendersi conto che non c’è un futuro per loro in  Olanda”, aveva detto di recente l’ex commissario europeo Frits Bolkestein,  parlando in un saggio del ricercatore israeliano-olandese Manfred Gerstenfeld  sul declino della comunità ebraica dei Paesi Bassi, “Het Verval”. “Con ebrei  coscienti intendo ebrei che sono riconoscibili come tali, come gli ebrei  ortodossi”, ha detto Bolkestein. Sopravvissuta ad Auschwitz ed eminente  rappresentante della comunità ebraica di Amsterdam, Bloeme Evers-Emdem ha detto  a figli e nipoti di lasciare il paese e che una sola direzione si offre loro:  Israele. “I problemi non toccheranno me fintanto che sarò viva, ma consiglio  fortemente ai miei figli di andarsene dall’Olanda”. In una lettera al quotidiano  Nrc Handelsblad, il venticinquenne Lester M. Wolff van Ravenswade ha descritto  le difficoltà che incontrano gli ebrei che vivono ad Amsterdam, banalmente  definita la “capitale della tolleranza”. “Non posso andare a eventi pubblici  vestito da ebreo, e tanto meno uscire il sabato sera. Quale partito bisogna  votare per poter vivere in sicurezza con la kippah in testa?”. Parlando con il  quotidiano Het Parool, un altro esponente di spicco della comunità ebraica di  Amsterdam ha annunciato che intende lasciare con la moglie incinta il paese per “motivi di sicurezza”. Si tratta di Benzion Evers, figlio del rabbino di  Amsterdam. “Mi sento soffocato qui”, ha detto il giovane: “Emigrare per noi è  una soluzione. E lo farà il sessanta per cento della comunità. Anche mio padre  mi seguirà”. Il canale televisivo Joodse Omroep ha spedito tre cameramen vestiti  da ebrei ortodossi per le strade di Amsterdam. Il servizio, di cui un frammento  è disponibile anche su YouTube, mostra giovani musulmani che incitano a Hitler e  cercano di aggredire gli ebrei. Il quotidiano Nrc Handelsblad ha riferito che “ad Amsterdam l’antisemitismo è diventato la norma anziché l’eccezione”. Ha  scritto Leon De Winter, uno degli scrittori olandesi di maggior successo: “Quanti ebrei ad Amsterdam sono ancora ‘riconoscibili’ come ebrei? Qualche  centinaio? Gli ebrei che io conosco, che sono cittadini non appariscenti,  disciplinati, più olandesi che ebrei, tengono da anni di nascosto la valigia  pronta”. Due anni fa De Winter ha lasciato la città olandese di Den Bosch per  andare a vivere in California. Strade ed edifici non hanno storia, ma i figli  non devono guardarsi le spalle ogni volta che scendono per  strada.

(Fonte: Il Foglio,  22 Dicembre 2012)

Emanuel  Baroz, 22 dicembre 2012

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