La discontinuità territoriale è un reale ostacolo allo Stato Palestinese?
Testata: Informazione Corretta Data: 21 dicembre 2012 Autore: Giovanni Quer
Il 19 novembre il Consiglio di Sicurezza ha votato una risoluzione contro Israele per la decisione del governo di ampliare le costruzioni negli insediamenti e a Gerusalemme Est. La risoluzione è stata bloccata dal voto contrario degli Stati Uniti, ma a seguito della riunione gli stati europei membri del Consiglio di Sicurezza, Francia, Regno Unito, Germania, Portogallo, seguiti da India e Sudafrica, hanno emesso una dichiarazione di condanna al piano di costruzioni approvato dal governo Netanyahu. Anche Catherine Ashton, capo della diplomazia dell’UE, ha espresso riserve sul piano di costruzione nella zona E1 (tra Gerusalemme nord-est e ovest di Ma’ale Adumim).
Le condanne si basano su due principi: gli insediamenti come ostacolo alla pace per se, e la presenza degli insediamenti come impedimento alla contiguità territoriale del possibile stato palestinese. La contro-argomentazione al primo principio riguarda in generale la volontà palestinese di negoziare i confini e l’esempio di Gaza. Il secondo principio, la contiguità territoriale, è spesso usato nelle argomentazioni contro Israele, ma davvero la continuità territoriale è essenziale alla formazione di uno stato?
Da un punto di vista geografico esistono cinque tipi di stato: contigui, con un territorio omogeneo (come Germania e Brasile), allungati, con un territorio che si estende più in latitudine o in longitudine (come il Cile o il Mozambico), frastagliato (come la Grecia), perforato, con un territorio al cui interno nascono altri stati (come l’Italia con San Marino e il Sudafrica con il Lesotho e lo Swaziland), e frammentato, con un territorio discontinuo e interrotto da mari o da altri stati. Tra gli stati frammentati si ricordano la Russia (con Kaliningrad in territorio europeo), gli Stati Uniti (con l’Alaska), la Danimarca, le Filippine e il Giappone (con gli arcipelaghi), la Malesia e l’Oman.
La discontinuità territoriale pone dei problemi politici in termini di difesa del territorio e comunicazione tra le varie aree. Tuttavia non è detto che la frammentazione sia sempre un male poiché gli analisti evidenziano come possa invece avere effetti benefici in termini economici, politici e sociali.
In termini economici, la frammentazione impone una maggiore integrazione col territorio circostante, con conseguente apertura verso gli stati confinanti dai quali rimanere indipendenti politicamente proprio legandosi attraverso il mercato e la cooperazione. In termini politici, la frammentazione impone una estensione dei poteri amministrativi alle realtà territoriali, che corrisponde al principio di sussidiarietà per cui le materie devono esser regolate al livello di amministrazione competente e capace più vicino all’individuo. Infine, in termini sociali, la frammentazione favorisce la crescita di corpi sociali “separati” e quindi funzionale sia alla preservazione della caratteristiche locali sia alla formazione di una identità collettiva non assimilazionista.
La Palestina è già oggi frammentata con la separazione territoriale tra Cisgiordania e Gaza, mentre la frammentazione territoriale dovuta alla presenza degli insediamenti israeliani non è necessariamente incompatibile con la crescita e lo sviluppo economico. Del resto, nemmeno la discontinuità territoriale delle aree amministrate da Israele in Cisgiordania ha impedito il fiorire e crescere dell’economia e della società. La frammentazione potrebbe portare invece a una maggiore integrazione dei palestinesi nella realtà regionale, e potrebbe definire lo sviluppo autonomo di realtà sociali non omogenee. Gli accordi economici e di cooperazione tra Israele, Giordania ed Egitto (oggi ormai dormienti) potrebbero esser di beneficio proprio per i palestinesi, che nel loro territorio discontinuo potrebbero ospitare industrie e istituzioni ponte tra i tre (o quattro) stati. La divisione territoriale potrebbe far sorgere una realtà amministrativa confederale che tenga conto dei poli di identità tipici della società palestinese e araba che includono non solo la nazione e la religione, ma anche lealtà di clan e famiglia.
Gli stati frammentati esistenti non sono sempre comparabili alla Palestina per estensione e risorse, tuttavia almeno alcuni di essi possono essere presi a modello di uno sviluppo statuale, politico, economico e culturale di una società territorialmente “diffusa”. Tra questi sicuramente la Malesia, la Danimarca, e l’Oman.
La discontinuità territoriale non è pertanto un ostacolo alla formazione di uno stato, che può trovare vantaggio anche e proprio nella peculiarità geografica di suddivisione territoriale. Gli stati piccoli, gli stati frammentati, gli stati poveri di risorse, gli stati arcipelago hanno trovato e trovano un modo per sopravvivere alle proprie condizioni naturali con riferimento allo sviluppo economico e al loro peso nella comunità delle nazioni. Non è quindi la discontinuità un ostacolo alla formazione di un prospero stato palestinese, ma l’assenza della volontà politica di far nascere la Palestina senza contrastare Israele. La convinzione che la continuità territoriale sia essenziale per la formazione di uno stato è uno dei tanti assiomi politici che interpretano il Medio Oriente in funzione anti-israeliana più che pro-palestinese.
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