Testata: Informazione Corretta Data: 08 dicembre 2012  Autore: Ugo Volli.

La festa della libertà, la nostra festa.
Cartolina per Hanukah.


Cari amici,
questa sera inizia per gli ebrei la festa di Hanukah. Si accende un lume (più uno di servizio) posto sul caratteristico candelabro a otto rami. Domani le luci diventeranno due, poi tre, quattro… fino a riempire tutto il candelabro alla fine della festa, dopo otto giorni. E’ una tipica feste delle luci come ce n’è in tante culture pre-tecnologiche intorno al solstizio d’inverno, quando il sole sembra voler scomparire, lasciando il mondo al buio e gli esseri umani fanno fuochi, si scambiano regali ed auguri, fanno feste e canti, sperano nel rinnovamento del ciclo naturale.


Giuda Maccabeo

Ma Hanuka è una festa molto caratteristicamente ebraica. La sua forma intanto ripercorre un miracolo: si narra che essendo stato sconsacrato il Tempio dagli invasori greci e avendo essi distrutto l’olio purissimo necessario per il lume perenne che è prescritto dalla Torah davanti al sancta sanctorum, se ne ritrovò un’ampolla molto piccola, buona al più per un giorno, che invece ne durò tutti gli otto necessari alla fabbricazione di nuovo olio puro. Al di là del mito, vi è un’evidente verità nel racconto: si tratta infatti di continuità e di durata, del fatto che la luce dello spirito, del popolo e della religione ebraica avrebbe avuto nella storia logicamente tutte le ragioni per perdersi e sparire, come tutti i popoli antichi si sono dissolti in altre formazioni storico-culturali; mentre l’ebraismo ostinatamente, incredibilmente vive: è sopravissuto agli egiziani e ai babilonesi, agli assiri e ai romani, al cristianesimo che ha preteso di completarlo e sostituirlo, all’Islam e comunismo che pensavano un po’ la stessa cosa e alla “soluzione finale” del nazismo.
La luce che dovrebbe sempre esaurirsi e spegnersi continua a brillare, anzi si fa più luminosa, giorno dopo giorno. La continuità è il segno della vita dell’ebraismo. Per questo forse in una celebre discussione talmudica si sostiene che “il più grande precetto” della Torà è l’offerta perpetua, quella che si faceva ogni giorno, e ancora oggi ci si regola di conseguenza, privilegiando gli obblighi religiosi quotidiani su quelli eccezionali, per esempio il sabato sulle feste.   Il contesto storico del miracolo del lume, quello per cui la festa fu istituita, conferma questo senso. Si tratta della rivolta che fu guidata al successo verso la metà del II secolo prima della nostra era da un ebreo della campagna, Giuda Maccabeo con la sua famiglia, contro il regime ellenistico che dominava la Giudea di quel tempo e in particolare contro l’oppressione del re Antioco IV Epifane, sovrano di Siria e dell’area palestinese, il quale aveva proibito tutti i principali riti ebraici, sconsacrato il tempio, cercato di trasformare Israele in una provincia greca fra le tante. Si tratta dunque di una guerra per la difesa dell’indipendenza nazionale e dell’identità culturale e religiosa del popolo ebraico, che ebbe incredibilmente successo contro uno dei grandi regni degli eredi di Alessandro Magno. Vale la pena di ricordare qui che la lotta non fu solo contro i greci, ma anche contro i cittadini della Giudea che avevano fatta propria l’idea greca, per opportunismo e viltà, ma forse anche sentendosi più moderni, integrati, universalisti, più giusti nell’accettare la cultura ellenistica dominante e nel partecipare a un vasto impero progressista piuttosto che essere gli eredi di una vecchia cultura particolare, difendere le tradizioni, la fede e i vecchi costumi della nazione con la sua indipendenza. Allora furono sconfitti e lo furono poi molte volte, quando si ripresentarono come cristiani o illuministi o comunisti o islamizzanti o pacifisti; se no non staremmo qui a parlare di una festa ebraica. I loro eredi però sono ancora fra noi e la battaglia per l’anima ebraica di Israele non è mai finita.
Il lume che si conserva è questo, è il popolo che non accetta l’oppressione, che resiste con tutti i mezzi a sua disposizione, che non si lascia assimilare e lotta. Che vuol essere ostinatamente se stesso. E’ una vicenda che si ripete: la storia dell’Esodo dall’Egitto, quella delle lotte contro cananei e filistei, la decisione degli esisliati in Babilonia di tornare e ricostruire il Tempio e lo stato ebraico, la lotta di Ester e Mordechai per evitare il genocidio in Persia (ricordata da un’altra festa, Purim), la serie di rivolte contro la strapotenza romana, durissimamente represse, ma poi anche la millenaria resistenza, disarmata ma non meno eroica, che gli ebrei hanno opposto ai tentativi di assimilarli (cioè di distruggerli come popolo) perseguita con mezzi diversi, ma tutto sommato con lo stesso fine, dal Cristianesimo, dall’Islam, dal moderno Illuminismo. E poi il sionismo, la resistenza al nazismo, la fondazione dello Stato di Israele, la difficile difesa cui esso è costretto non solo contro la strabordante prevalenza dell’Islam e degli arabi che lo circondano, ma anche contro quel che resta dell’antisemitismo cristiano e di quello nazifascista, che non è affatto sparito, e soprattutto contro la subdola ma persistente volontà di buona parte dell’opinione “progressista” e “beneducata” a eliminare la differenza ebraica, non solo i riti e i costumi, ma la coscienza di un popolo, la sua continuità storica, il lume della sua sua cultura, per ridurlo a una pura religione minoritaria sparsa in mezzo al mondo e senza esistenza nazionale.
Per questo oggi festeggiare degnamente Hanukah non vuol dire solo ricordare, come dice la benedizione della festa “i miracoli che avvennero in questi giorni” ma “allora, in quel tempo”,  significa sforzarsi di continuare il lume, di far vivere la nazione ebraica. Giuda Maccabeo e le sue forze irregolari irregolari oggi sono Tzahal, l’esercito di Israele che veglia per garantire la vita dello stato ebraico; ricordare la perennità del lume vuol dire continuare a farlo brillare apertamente di fronte al mondo (per questo è prescritto di esporlo davanti alla finestra o alla porta di casa, o magari di accenderlo pubblicamente, come curano di fare dppertutto le comunità ebraiche). Vuol dire anche difendere apertamente Israele, dire le sue ragioni, combattere perché al popolo ebraico sia riconosciuto non solo il diritto alla vita (che non è mai stato poco di fronte ai pogrom, a Hitler, all’Inquisizione e non lo è oggi di fronte al terrorismo islamico), ma anche e soprattutto il diritto alla propria auto-organizzazione nazionale, alla propria vita collettiva, ad essere non solo una religione ma un popolo, una cultura, una nazione libera e autonoma. Dunque anche in chi si batte come Informazione Corretta per queste cose vi è qualcosa di quella luce debole ma persistente, di quello spirito, di quella lotta. La festa della libertà, anche la nostra festa. A tutti i nostri lettori, i miei auguri: hag sameach, una festa felice. E cosapevole. E impegnata. Finché ci sarà Hanukah, la lotta contro Antioco e i suoi alleati non sarà finita.

 

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