Testata: La Stampa Data: 15 novembre 2012 Pagina: 1 Autore: Vittorio Emanuele Parsi – Aldo Baquis – Maurizio Molinari – Aldo Baquis //*IC*

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 15/11/2012, a pag. 1-37, l’articolo di Vittorio Emanuele Parsi dal titolo ” I due messaggi di Netanyahu “, preceduto dal nostro commento, a pag. 14, l’articolo di Aldo Baquis dal titolo ” Missili su Gaza, Israele all’attacco “, l’articolo di Maurizio Molinari dal titolo “Un blitz per impedire l’alleanza tra jihadisti vecchi e nuovi”, a pag. 15, l’articolo di Aldo Baquis dal titolo ” L’uomo forte della Striscia che ha tenuto in ostaggio il soldato Shalit per sei anni “.

In alto: Ahmed Jabari con Gilad Shalit.

 Ecco i pezzi:

Vittorio Emanuele Parsi – ” I due messaggi di Netanyahu “

Vittorio Emanuele Parsi

L’articolo di Vittorio Emanuele Parsi è un concentrato della peggior specie di propaganda contro Israele, quella di solito diffusa dalle pagine di Unità e Manifesto. Infatti l’articolo inizia con la tesi assurda (già esposta da Udg) secondo la quale la risposta israeliana non sarebbe altro che campagna elettorale di Netanyahu “Netanyahu ha cominciato alla sua maniera la campagna elettorale per le legislative,facendo assassinare il capo militare del partito-milizia di Hamas“. Parsi insiste sulla morte di sette ‘innocenti’ palestinesi. Che cosa ci facevano insieme ad un terrorista di Hamas ? E, comunque, notiamo che la stessa compassione non viene dimostrata nei confronti degli innocenti abitanti di Sderot, bersaglio dei razzi di Hamas.
Il pezzo è intervallato da continui riferimenti ad un’entità inestitente, il governo di Tel Aviv. Che cos’è? Tel Aviv è una città israeliana come tante altre. Non ne è la capitale (che è Gerusalemme), nè, tantomeno, la sede del governo (sempre Gerusalemme). Quelli liberati da Israele in cambio di Gilad Shalit, poi, non erano semplicemente ‘
un migliaio di palestinesi‘ come li definisce Parsi, ma terroristi regolarmente processati e, per qesto, detenuti in carceri israeliane. Parsi continua con la teoria assurda della propaganda elettorale : “ La scelta del momento per una simile azione – che comunque non trova nessuna giustificazione legale – apparentemente non poteva essere più infelice. O forse è meglio dire «rivelatrice» delle vere intenzioni che hanno mosso Netanyahu: ottenere un successo propagandistico ad uso interno e contemporaneamente contribuire a radicalizzare il quadro regionale,“. Il lancio di razzi da parte di Hamas contro la popolazione israeliana non è una motivazione sufficiente per rispondere? E che cosa c’entra la citazione di Piombo Fuso con la solita litania sui 1200 morti? Il governo israeliano aveva richiesto ad Hamas di interrompere il lancio dei razzi. Hamas ha ignorato le richieste e continuato coi razzi. Israele ha risposto con omicidi mirati. Non è iniziata un’operazione militare come Piombo Fuso. E’ vero, durante la guerra a Gaza ci furono più vittime palestinesi che israeliane, ma questo perché Hamas usa scudi umani. Israele ha il diritto di difendersi. Secondo Parsi : “ Si tratta cioè di un vero e proprio regalo fatto alla componente più radicale dei Fratelli Musulmani (di cui Hamas è una lontana filiazione) e dei salafiti. Tutto questo proprio nel momento in cui il presidente Obama sembrava intenzionato a proseguire nella coraggiosa e cauta apertura di credito verso il regime egiziano, proprio allo scopo di concorrere alla stabilizzazione dell’intera regione. “. Esistono gradi di fondamentalismo all’interno dei Fratelli Musulmani ? E Morsi rappresenterebbe l’ala ‘moderata’? La linea di Obama è stata disastrosa. Aprire ai Fratelli Musulmani e agli islamisti non ha portato a nulla. La popolarità degli Usa non è salita e l’unico risultato è stato quello di accrescere il potere degli islamisti. Parsi continua: ” La cosa più triste, pensando alla tradizione democratica di Israele e alla straordinaria levatura morale di tanti dei suoi intellettuali, è dover prevedere che questo attacco sarà probabilmente interpretato dalle opinioni pubbliche arabe come una risposta indiretta alle «primavere» di questi due anni. “. Quello di Israele non è stato un attacco, ma una risposta al lancio di razzi di Hamas. Le opinioni pubbliche arabe anti israeliane non hanno nulla a che vedere con la situazione. Di che ‘primavere’ scrive, poi, Parsi? Ormai tutti hanno capito di che cosa si è trattato, della deposizione di dittature laiche e della loro sostituzione con teocrazie islamiche. Basta guardare che cosa sta succedendo in Tunisia, in Marocco, in Egitto, dove alle donne vengono negati i diritti, viene negata la loro uguaglianza agli uomini, dove chi viene scoperto a venedere alcoolici si vede mozzare le dita, dove è in arrivo la sharia. Che cosa c’entra la sharia con la democrazia? Parsi continua : “E l’onda lunga della rabbia rivoluzionaria domestica potrebbe saldarsi con quella antica dell’esasperazione per l’umiliante e sistematica violazione dei diritti del popolo palestinese.“. Di quali violazioni scrive Parsi? Potrebbe essere più specifico? Difendersi dai razzi è una violazione dei diritti palestinesi? I terroristi della Striscia hanno il diritto di cancellare Israele ? Non è Israele ad opporsi alla nascita di uno Stato palestinese, ma i palestinesi stessi, i quali sono più interessati alla distruzione di Israele.

Invitiamo i lettori di IC a scrivere a Mario Calabresi, direttore della Stampa per chiedergli se un articolo simile sia compatibile con il quotidiano che dirige e per chiedergli se abbia il controllo di ciò che viene pubblicato sulle pagine del giornale. Il pezzo di Parsi, infatti, è completamente smentito dalle due paginate con gli articoli accurati di Maurizio Molinari e Aldo Baquis. L’e-mail della Stampa è: direttore@lastampa.it Per i lettori che volessero essere ancora più efficaci e spedire telegrammi alla Stampa, l’indirizzo è: via Lugaro, 15 -10126 – Torino Ecco il pezzo di Vittorio Emanuele Parsi:

Netanyahu ha cominciato alla sua maniera la campagna elettorale per le legislative,facendo assassinare il capo militare del partito-milizia di Hamas, a Gaza, con una serie di bombardamenti che hanno ucciso almeno 7 innocenti civili palestinesi oltre ad Ahmad Jaabari e a suo figlio (altrettanto innocente). Con questa decisione, il premier di Tel Aviv ha anche recapitato un messaggio al presidente degli Stati Uniti sinistramente analogo a quello inviato esattamente quattro anni fa con l’operazione «piombo fuso», ovvero l’attacco violentissimo contro la Striscia di Gaza, che causò oltre 1200 morti tra i palestinesi. I bombardamenti sono stati presentati come rappresaglia per gli attacchi contro le forze armate israeliane compiuti nelle scorse settimane da parte dei miliziani al comando di Jaabari e per il lancio di una cinquantina di razzi Qassam verso il territorio israeliano, che nelle scorse ore si era fatto più intenso, pur senza aver provocato morti tra la popolazione. È da escludere che quanto accaduto ieri non abbia serie ripercussioni sulla regione e non c’è da dubitare che, al di là delle dichiarazioni con cui si cerca di non criticare troppo apertamente i raid israeliani, a Washington regni perlomeno il disappunto. La scelta del momento per una simile azione – che comunque non trova nessuna giustificazione legale – apparentemente non poteva essere più infelice. O forse è meglio dire «rivelatrice» delle vere intenzioni che hanno mosso Netanyahu: ottenere un successo propagandistico ad uso interno e contemporaneamente contribuire a radicalizzare il quadro regionale, così da provocare quell’effetto di rally ’round the flag sul quale il premier israeliano conta per rendere ancora più difficoltoso il formarsi di una coalizione elettorale nel litigioso fronte della sua opposizione politica. La rivelazione, subito diffusa dalle autorità militari israeliane, che Ahmad Jaabari era stato «il carceriere del caporale Shalit» (il militare israeliano detenuto per sei anni da Hamas e poi rilasciato in cambio di un migliaio di prigionieri palestinesi) è volta a dimostrare la determinazione del primo ministro, che si staglia con ancora maggiore forza sull’immagine del profilo timido ed emaciato del coscritto Shalit, la cui vicenda aveva creato un movimento di forte e insieme tenera coesione nell’opinione pubblica israeliana e in larga parte di quella occidentale.
Evidentemente, una rappresaglia così violenta in questo momento, rende il quadro regionale ancora più teso, come se non bastasse la guerra civile siriana con il rischio che essa contagi il Libano e intacchi il già precario equilibrio giordano. Ed è appena il caso di accennare al fatto che l’omicidio di 9 persone a Gaza non potrà che costringere lo stesso Morsi ad assumere una posizione molto dura nei confronti del governo di Tel Aviv. Si tratta cioè di un vero e proprio regalo fatto alla componente più radicale dei Fratelli Musulmani (di cui Hamas è una lontana filiazione) e dei salafiti. Tutto questo proprio nel momento in cui il presidente Obama sembrava intenzionato a proseguire nella coraggiosa e cauta apertura di credito verso il regime egiziano, proprio allo scopo di concorrere alla stabilizzazione dell’intera regione. La cosa più triste, pensando alla tradizione democratica di Israele e alla straordinaria levatura morale di tanti dei suoi intellettuali, è dover prevedere che questo attacco sarà probabilmente interpretato dalle opinioni pubbliche arabe come una risposta indiretta alle «primavere» di questi due anni. Il fatto, sottolineato da tutti i commentatori, che esse avessero sostanzialmente disertato i più consueti «luoghi» dell’odio anti-israeliano, rischia di diventare solo un ricordo. E l’onda lunga della rabbia rivoluzionaria domestica potrebbe saldarsi con quella antica dell’esasperazione per l’umiliante e sistematica violazione dei diritti del popolo palestinese. Il rischio è che ne nasca un vero tsunami regionale, capace di far ritrovare gli Stati Uniti invischiati in un conflitto che non vogliono e che il presidente Obama si era ripromesso di contribuire a disinnescare nel corso del suo secondo mandato.

Aldo Baquis – ” Missili su Gaza, Israele all’attacco “

Il terrorista dice : “Sssshhh! Ti stai mettendo in pericolo!”

Quattro anni dopo l’operazione «Piombo Fuso», un nuovo conflitto è divampato fra Israele e Hamas in seguito alla uccisione in una «esecuzione mirata» di Ahmed Jaabari, 52 anni, «uomo forte» della Striscia e comandante carismatico della potente milizia degli islamici. La tensione nella zona era rimasta elevata per giorni, in seguito a un attacco ad una pattuglia israeliana di frontiera, a una serie di raid aerei e poi al lancio sul Neghev di oltre 130 razzi palestinesi. Ieri la tensione sembrava essersi calmata: il premier Benyamin Netanyahu si era fra l’altro recato sul Golan, per vedere da vicino gli sviluppi della guerra civile siriana. Jaabari, forse, si è sentito troppo sicuro ed è uscito allo scoperto in pieno giorno salendo a bordo, assieme al figlio, di un’auto nota ai servizi segreti israeliani. Un velivolo israeliano lo ha seguito per chilometri, rilanciando le nitide immagini a Tel Aviv nel comando dello Shin Bet, il servizio di sicurezza. Quando, dopo vari sorpassi, l’auto è rimasta in un tratto relativamente vuoto di strada da Israele è giunto l’ordine di eliminarlo.
In pochi minuti a Gaza si è sparsa la voce della sua morte e una folla ribollente di dolore e collera si è riversata verso l’ospedale al-Shifa, dove era stato portato il cadavere, per giurare vendetta. «La nostra reazione sarà infernale… ormai per Israele tutti gli obiettivi sono leciti» ha detto un portavoce di Hamas, mentre i leader del movimento si davano alla macchia per non essere centrati a loro volta. L’operazione «Colonna di nuvola» è stata affidata essenzialmente alla aviazione. Gli aerei hanno preso di mira in primo luogo i deposti dei missili più pericolosi di Hamas: i Fajar, capaci di colpire da Gaza anche la periferia di Tel Aviv. Quei depositi affermano fonti militari in Israele – erano stati allestiti in zone abitate da civili, anche in prossimità di asili nido e ospedali. Negli attacchi dell’aviazione sono rimasti uccisi una decina di palestinesi, fra cui due bambini.
Sui cieli di Gaza si sono allora innalzate alte nubi di fumo, mentre la leadership di Hamas sembrava disorientata. Ma in poche ore la reazione è arrivata e una ventina di razzi Grad sono volati verso Beer Sheva. Nel Neghev un milione di israeliani è stato allora costretto a riparare nei rifugi. «Questo è solo l’inizio… siate forti» ha detto il ministro della difesa Ehud Barak, mentre Netanyahu si è detto pronto a una «operazione più ampia» se necessario. Mentre vengono richiamate unità di riservisti e mentre le truppe di terra si ammassano ai bordi della Striscia di Gaza, Israele scruta l’orizzonte. Oltre alla reazione di Hamas (che potrebbe manifestarsi anche con una nuova ondata di attentati) resta aperta la possibilità che gli Hezbollah libanesi cerchino di venire in soccorso aprendo un secondo fronte. E anche dall’Egitto di Mohammed Morsi potrebbero giungere nuove difficoltà.
In tarda serata il presidente Usa Barack Obama ha avuto un colloquio telefonico di un’ora con Netanyahu sui raid israeliani a Gaza. Obama ha parlato anche col presidente israeliano Shimon Peres. Nel frattempo il Consiglio di sicurezza dell’Onu è stato convocato per una riunione urgente a porte chiuse sulla situazione nel Medio Oriente. E il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha telefonato a Netanyahu, condannando i raid israeliani ed esprimendo preoccupazione per il deterioramento della situazione a Gaza.

Maurizio Molinari – ” Un blitz per impedire l’alleanza tra jihadisti vecchi e nuovi”

Maurizio Molinari

Con l’eliminazione di Ahmed Jaabari il premier israeliano Benjamin Netanyahu persegue due obiettivi: sul piano militare impedire che la Striscia di Gaza cada in mano ai salafiti e su quello politico spingere Egitto e Stati Uniti a fare fronte comune contro i gruppi jihadisti più armati e aggressivi.
I gruppi salafiti che operano a Gaza sono, secondo uno studio del «Washington Institute», Jaish al-Islam, Jund Ansar Allah, al-Tawhid wal-Jihad e Ansar al-Sunna. Si tratta di fazioni formate da palestinesi e volontari da altri Paesi arabi per portare nella Striscia una «Primavera jihadista». Dall’inizio di ottobre sono stati loro a scatenare l’offensiva di razzi contro Israele contestando la dirigenza di Hamas per l’atteggiamento troppo morbido contro il «nemico sionista». Quando lunedì sera Hamas ha riunito a Gaza tutti i gruppi palestinesi per concordare una tregua con Israele, i salafiti si sono opposti. Il risultato è stata una spaccatura dentro Hamas fra l’ala politica e quella militare perché le brigate Izz el-Deen Al-Qassam, guidate da Jaabari, si sono schierate con i salafiti e per confermare il patto d’azione martedì hanno partecipato al lancio di razzi contro Israele. Quando i miliziani di Jaabari hanno rivendicato il bombardamento condotto con i salafiti, Israele ha percepito la genesi di un nuovo patto militare in grado di imporsi a Gaza.
I salafiti che operano nella Striscia fanno parte della stessa galassia che ha attaccato le forze egiziane nel Sinai, ha assaltato l’ambasciata Usa al Cairo, ha ucciso l’ambasciatore americano Chris Stevens a Bengasi, opera in Yemen e si è insediata nel Nord del Mali creando un miniStato jihadista contro il quale l’Onu ha approvato un intervento, affidandolo all’Unione africana. Sebbene non esistano prove di un coordinamento operativo fra tali cellule, i salafiti costituiscono la più estesa e aggressiva rete portatrice del messaggio di Al Qaeda.
Uccidendo Jaabari Netanyahu vuole dunque bloccare il patto salafiti-Brigate Al-Qassam, spingendo la leadership politica di Hamas a restare ancorata all’Egitto di Mohammed Morsi, con cui condivide la comune appartenenza al movimento dei Fratelli Musulmani. I salafiti in Egitto contestano d’altra parte proprio Morsi. Sarà la reazione del Cairo al blitz israeliano a suggerire quali saranno le mosse di Morsi, ma, in attesa che ciò avvenga, l’altro destinatario del messaggio di Netanyahu è il rieletto presidente americano, Barack Obama, a sua volta alle prese con la minaccia salafita da Bengasi al Sahel. Obama vuole rilanciare l’iniziativa di pace in Medio Oriente, a Washington si parla di un suo possibile viaggio nella regione entro giugno e a confermare che i motori della diplomazia americana rullano ci sono le pressioni sull’Autorità nazionale palestinese affinché ritiri la bozza di risoluzione Onu che mira ad ottenere il 29 novembre dall’Assemblea Generale lo status di Stato non-membro, lo stesso della Santa Sede.
L’intenzione di Netanyahu sembra quella di sfruttare il ritorno di interesse di Obama verso il Medio Oriente per spingere Washington in una duplice direzione: fronteggiare militarmente la minaccia dei salafiti e scongiurare in ogni maniera il passo dell’Anp all’Onu. A tale ultimo proposito è rivelatore il memorandum diplomatico del ministero degli Esteri di Gerusalemme – divulgato dall’Associated Press – nel quale si chiede agli ambasciatori all’estero di far sapere che Israele è pronta a «ritorsioni contro l’Anp» se ciò avverrà: a cominciare dalla denuncia degli accordi di pace del 1993-1994 che portarono al riconoscimento dell’Autorità palestinese. Un documento interno del governo israeliano, citato dalla Bbc, arriva a ipotizzare il «rovesciamento di Abu Mazen». Ciò che dà solidità a tali mosse di Netanyahu è la sua forza politica interna: l’accordo siglato con Avigdor Lieberman per la fusione fra Likud e Israel Beitenu gli consente di poter già guardare oltre le elezioni del 22 gennaio.

Aldo Baquis – ” L’uomo forte della Striscia che ha tenuto in ostaggio il soldato Shalit per sei anni “

Ahmed Jabari con Khaled Meshaal

Circondato da un alone romantico di mistero, Ahmed Jaabari era l’uomo forte di Gaza: superiore per influenza ai capi politici di Hamas (Ismail Haniyeh e Mahmud a-Zahar) e seguito da una milizia di almeno 20 mila uomini ben armati ed addestrati, pronti a lanciarsi verso la morte ad un suo semplice gesto.
Gran parte della sua esistenza era trascorsa nell’ombra: nelle prigioni di Israele o nella clandestinità di Gaza. Refrattario alle interviste, era uscito finalmente allo scoperto l’anno scorso con la liberazione del militare israeliano Ghilad Shalit. Per cinque anni Jaabari lo aveva tenuto a Gaza totalmente nascosto all’intelligence di Israele: quel giorno, avendo costretto lo Stato ebraico a liberare mille compagni d’armi palestinesi, celebrava dunque un successo senza precedenti nel suo genere. E il suo nome entrava così a Gaza nel Pantheon dei combattenti islamici.
Era nato nel 1960 e cresciuto nel campo profughi di Sajaya, in una famiglia originaria di Hebron (Cisgiordania). Da principio, come tutti, aveva militato in al-Fatah. Ma era cambiato a 22 anni, con il primo arresto da parte dell’esercito israeliano. In carcere aveva infatti incontrato dirigenti carismatici dei Fratelli Musulmani, che avrebbero poi gettato le basi di Hamas: Abdel Aziz Rantisi, Ibrahim Maqadmeh, Sallah Shehade. Dalla prigione sarebbe uscito ormai completamente plasmato dall’Islam militante. E si sarebbe sposato con la figlia di Rantisi.
In anni successivi i dirigenti di Hamas trovarono la morte in esecuzioni mirate israeliane: dopo ogni perdita, Jaabari saliva di un ulteriore gradino nelle gerarchie di Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas.
Il punto di svolta nella sua vita fu nel 2006, con il rapimento di Shalit. Jaabari – favorito da un legame diretto con il capo in esilio di Hamas, Khaled Meshal – gestì tutte le fasi del rapimento in maniera totalmente autonoma. Nel 2007 era di nuovo in prima linea quando, con un cruento putsch militare, Hamas espulse Abu Mazen ed al-Fatah da Gaza. Ormai era assolutamente l’uomo più forte della Striscia.
Fu in quegli anni che Jaabari decise di compiere un balzo di qualità. Fino ad allora Hamas con i suoi attentati aveva assestato ad Israele colpi dolorosi. Ma adesso era giunto il momento di organizzare una milizia ben disciplinata, addestrata e armata, forgiata sul modello degli Hezbollah libanesi. La prima prova del fuoco si presentò nel dicembre 2008, con la Operazione Piombo Fuso. Per venti giorni le batterie di Hamas flagellarono il Sud di Israele con una pioggia di missili e razzi. Il suo braccio armato subì perdite dolorose, ma – al termine dell’operazione militare israeliana – si mostrò capace egualmente di riorganizzarsi e di potenziarsi.
Con la gestione del rapimento Shalit, Jaabari entrò inoltre nelle grazie dei nuovi dirigenti dell’Egitto, in particolare dei capi militari che vedevano in lui un importante alleato nella lotta ai salafiti nel Sinai e anche a Gaza.
Forse credeva di essersi guadagnato così una «polizza di sicurezza» egiziana. Ieri comunque ha compiuto una grave imprudenza quando è salito a bordo di un’automobile con il figlio. Gli occhi di Israele lo spiavano da vicino: quando la macchina ha imboccato la centrale via Omar el-Mukhtar, è partito l’ordine della sua eliminazione. «Abbiamo finalmente eliminato il terrorista numero uno» ha poi esclamato con compiacimento un portavoce militare a Tel Aviv.

Per inviare la propria opinione alla Stampa, cliccare sull’e-mail sottostante

direttore@lastampa.it

 

Comments are closed.

Set your Twitter account name in your settings to use the TwitterBar Section.