L’Italia a lezione di impresa dalla «Silicon Wadi» d’Israele.
Il paese ha il record di nuove aziende e i sobborghi di Tel Aviv sono il paradiso dell’industria hi-tech. I fondatori? Giovani under 30, appena usciti dall’esercito.
Il presidente del Consiglio Mario Monti era ieri a Gerusalemme assieme a sei ministri per il terzo vertice intergovernativo tra Italia e Israele.
Con la controparte israeliana, i ministri italiani hanno parlato anche di scienza e tecnologia. Tra gli accordi firmati ieri, uno è sulla cooperazione in materia di hi-tech e start-up, un campo in cui Israele, la «Start up Nation», è all’avanguardia. L’Italia ha partecipato anche alla conferenza Digital Life Design di Tel Aviv, dove si è parlato delle opportunità per le nuove realtà israeliane in Italia e di cosa l’Italia delle start up può imparare da Israele. La rivista americana di scienza e tecnologia Wired ha messo Tel Aviv al secondo posto dietro la Silicon Valley californiana come luogo d’innovazione tecnologica, un paradiso delle start-up. I sobborghi della città costiera dove sorgono le sedi delle industrie tecnologiche qui sono chiamati la Silicon Wadi, dove Wadi è valle in arabo.
Pochi anni fa, un libro – The Start-up Nation – ha raccontato il fenomeno che, secondo Saul Singer, uno dei suoi autori, ha reso Israele «un’economia incentrata sulle start-up». In Israele, ha spiegato al Giornale Singer, nascono ogni anno almeno 500 start-up. In tutta l’Europa, nello stesso arco di tempo, ne sorgono circa 700. Il Paese investe il 4,5% del suo Pil in ricerca e sviluppo e ci sono centri di studio, come il Technion, tra i pini delle colline di Haifa, considerati qui e all’estero templi della ricerca scientifica e tecnica.
«Se hai meno di 30 anni in Israele e se hai fatto l’esercito conosci molte persone che come te sono nel business», spiega Elie Isaacson, 32 anni, ex parà ed ex portavoce militare. L’esercito è uno dei luoghi dove i giovani acquisiscono conoscenze tecnologiche e contatti. È lì che Elie ha intravisto buoni affari, non soltanto nell’hi-tech. La sua società, Agilite, dal 2007 vende equipaggiamento tattico a civili e militari. Ha da poco firmato un contratto con i marine americani per un’idea avuta a gennaio: una cintura in tessuto che permette di creare uno «zaino umano», per portare sulle spalle un uomo ferito senza l’uso delle mani, fondamentale per un soldato in combattimento.
Le idee e il know-how tecnologico non bastano per creare un terreno adatto alle start up. Ci vogliono anche personaggi come Yaron Carni. A 32 anni il suo mestiere è quello di scovare sul mercato le idee e investire nei cervelli con la sua Tel Aviv Angel Group. In poco più di due anni ha investito in sei start-up, venduto le quote di cinque. Una delle società, LabPixies, è stata acquistata da Google. Ora, Yaron segue tra l’altro il lavoro di tre ragazzi di meno di 30 anni che, spiega uno di loro, Lior Atias, hanno creato Atav, un sistema per aiutare le aziende ad assumere impiegati di talento usando la rete di social network delle persone che già lavorano nell’ufficio. Da Israele si stanno espandendo negli Stati Uniti e nel giro di un anno hanno aumentato il numero di assunzioni delle società seguite da 25 a 50%. Per Yaron Carni, la fertilità d’Israele nelle start-up è legata a diversi fattori: «Gli ebrei per generazioni hanno dovuto arrangiarsi, sopravvivere alle persecuzioni, diventando creativi. Israele, inoltre, è un Paese di immigrati e ogni immigrato porta un di più nel suo bagaglio». Contano anche una società e istituzioni che spingono a provare, aggiunge.
Per aprire una società in Israele bastano due giorni e, racconta Elie Isaacson, i salari nel settore pubblico sono talmente bassi che molti non temono d’abbandonare il vecchio per il nuovo. Tomer Neu-Ner e il suo socio stanno per lanciare una nuova applicazione per smart phone: Parko mette in contatto persone che cercano un parcheggio con quelle che lasciano un parcheggio. Quando hanno iniziato a studiare l’applicazione lavoravano entrambi altrove. Poi, il socio di Tomer si è licenziato per dedicarsi al progetto e i due, sposati e con figli, hanno condiviso uno stipendio per mesi prima di trovare un investitore. La prossima sfida per Israele è quella di trasformare le compagnie da «giovani» ad «adulte», ha scritto a gennaio l’Economist, che notava come, per quanto calzante possa essere il paragone con la Silicon Valley, Israele non abbia ancora dato vita a una Hewlett-Packard o una Google. Le migliaia di start-up israeliane, infatti, restano compagnie di piccole dimensioni o sono acquisite da giganti esteri.
Da: IlGiornale.
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