La storia del Sionismo.
Intervista a Fiamma Nirenstein
Intervista a Fiamma Nirenstein.
Dopo più di 60 anni dalla creazione dello Stato di Israele, la cui costituzione era il primo obiettivo del Sionismo, cosa significa essere sionisti?
Il Sionismo assume oggi due significati: uno legato a ciò che è Israele, che ritengo esser assieme a Gerusalemme la casa degli ebrei, e un altro legato a quella che è la Diaspora.
Per quanto riguarda il rapporto con Israele, il Sionismo è una certificazione di un grande successo, che è la creazione e lo sviluppo economico, sociale e culturale di un Paese che sopravvive nonostante l’inimicizia ideologica dei Paesi circostanti, drammaticamente peggiorata con la progressiva islamizzazione, ma anche dell’Europa e degli USA di Obama. I detrattori di Israele, in particolare da sinistra, continuano per ignoranza a leggere segnali di un presunto disfacimento sociale in ciò che è invece la base della democrazia, ossia lo scontro di posizioni diverse (la sinistra che crede di aver tutte le risposte, i coloni che credono di esser depositari del vero Sionismo ecc.).
Ma il maggior successo di Israele è la capacità di suscitare passione ed entusiasmo nei giovani, che non è semplice patriottismo, bensì senso della comunità e dell’etica, un tratto tipicamente ebraico, di cui è parte soprattutto la disposizione al “dono”, paragonabile forse al volontariato cristiano.
Quanto alla Diaspora, è sofferente, boccheggia, assalita di nuovo da un’ondata di antisemitismo che ha invaso l’Europa. Ho sempre un amaro sorriso di fronte a affermazioni come “il risorgimento della comunità ebraica tedesca”, in Paese in cui si respira aria ben poco salubre. L’Europa sembra aver perso la memoria; basti pensare che il 35% degli studenti spagnoli non sa cosa sia Shoah; sorgono partiti antisemiti, come Jobbik in Ungheria. L’antisemitismo non è più un’inammissibile perversione della mente, ma è diventato uno dei grandi modi di pensare, come dimostrano gli applausi ad Ahmadinejad all’ONU quando parla di distruzione di popolo ebraico.
Inoltre, per definire il Sionismo oggi bisogna tracciare una differenza tra religione ebraica e popolo ebraico. Molti movimenti religiosi ebraici, anche recentemente sviluppatisi soprattutto in America, così come molti liberal e molti non-ebrei, negano l’esistenza di un “popolo ebraico”, confinandolo alla religione. Così per evitare l’assimilazione ci si rifugia nella religione, escludendo però l’interezza dell’ebraismo, che è costituito da un popolo, una memoria storica, un modo di vivere, e soprattutto da Gerusalemme, dove gli ebrei sono rimasti anche durante le persecuzioni e le proibizioni più radicali nelle epoche di dominazione romana, crociata e musulmana.
In questo senso il Sionismo è la garanzia di sopravvivenza del popolo ebraico, proprio perché definisce gli ebrei come popolo. Definire l’ebraismo come una religione serve a quanti non riconoscono Israele come “Stato del popolo ebraico”, sostenendo che tale definizione renderebbe Israele uno stato confessionale. Il Sionismo, definendo gli ebrei come popolo, riconosce che esiste un’identità certa e una religione definita. Per chi sceglie di esser laico, l’unico modo di rimanere parte del popolo ebraico di fronte all’assimilazionismo è esser sionista.
I vari movimenti sionisti prima della creazione dello stato hanno influenzato le correnti politiche israeliane contemporanee. Nel panorama dei partiti però sembra scomparsa la sinistra sionista che ha fondato e a lungo governato lo Stato di Israele. Dov’è finita ?
La sinistra israeliana ha a lungo pensato che la soluzione al conflitto fosse “territori in cambio di pace”, ma questa teoria si è dimostrata tragicamente fallimentare, ed ora anche gli ebrei di sinistra hanno difficoltà a dire che si devono lasciare le colonie. Non c’è nessun motivo per un ritiro. Secondo la risoluzione 242 dell’ONU ogni “insediamento territoriale” deve esser oggetto di negoziati per garantire anche la sicurezza israeliana. Basta vedere quanto è successo con il ritiro israeliano da Gaza nel 2005: lasciare la West Bank significherebbe permettere ai missili di arrivare ovunque. Molti a sinistra hanno cambiato idea dopo il ritiro da Gaza: l’esperimento di pace ha lasciato piede libero a Hamas, e Gaza è diventata una rampa di lancio di missili contro i cittadini nel sud di Israele. E poi, perché Abu Mazen non si siede ai negoziarti con Netanyahu, che pur ha interrotto la costruzione negli insediamenti? Non stupisce che sia così, perché anche Abu Mazen è in linea con la tradizione di “NO al dialogo”, da subito dopo la Guerra dei Sei Giorni, a Arafat a Camp David. L’opinione pubblica di sinistra capisce che i Palestinesi non vogliono due popoli e due stati, ma cacciar via gli ebrei. è significativo che Abu Mazen continui a dare nomi di terroristi a piazze, strade e colonie estive.
Nei tuoi libri argomenti eloquentemente in favore della difesa di Israele, che rappresenta la democrazia in guerra coi propri nemici. Molti non-ebrei difendono Israele proprio perché condividono molti valori. In che misura i non-ebrei possono definirsi sionisti cittadini o non cittadini di Israele? Si può parlare di un Sionismo di non ebrei?
Certo, si pensi a Riccardo Muti e a Winston Churchill, o ai movimenti di massa anche religiosi. Ci sono persone che capiscono una cosa fondamentale: questo lembo di terra pietroso, e Gerusalemme in particolare, hanno un’importanza fondamentale che non è l’incontro delle tre religioni, ma la nascita del monoteismo il cui insegnamento è: “la lealtà la devi alla coscienza e non a un’autorità superiore”. Questa è l’idea fondamentale che ha cambiato il mondo, che ha creato il principio di eguaglianza dei diritti. Questo è il patrimonio degli ebrei e su questa terra, che è la “terra dello spirito”, gli ebrei rivendicano la loro sacrosanta appartenenza. Ogni altro nazionalismo ha un fondamento morale, tutti hanno diritto a rivendicare un’origine morale, e così anche gli ebrei con il Sionismo. Ci sono delle persone che lo capiscono. Churchill diceva che gli ebrei hanno diritto a Gerusalemme perché è la capitale della loro patria spirituale. Esser sionisti è esser per la democrazia e la libertà, e l’incertezza su questi due valori fondamentali rende debole l’Europa, che non sa più in cosa credere.
Ci sono oggi alcune questioni fondamentali nel dibattito sul Sionismo e sulla natura ebraica dello stato di Israele. Una di queste è il rapporto coi religiosi. Da una parte i haredim (gli ultra-religiosi) dall’altra i nazional-religiosi. L’attenzione per le vicende dei haredim non tiene conto del cambiamento in atto nella loro società.
Quando sento parlare di haredim, mi vengono in mente le adunate domenicali in piazza San Pietro, le folle di fronte al papa, i monaci e le suore vestiti in maniera medievale, non è forse la stessa cosa? Anche loro sono ultra-religiosi cristiani impegnati in battaglie a sfondo religioso, così anche i haredim in Israele. Ci si dimentica però che sono loro che hanno mantenuto vivo l’ebraismo proprio durante la Shoah: quando era sukkot nei campi di concentramento cercavano disperatamente di fare la sukka, se non ci fossero state queste persone cosa ne sarebbe dell’ebraismo e degli ebrei? Il loro martirio è da apprezzare. Anche durante l’Intifada hanno dimostrato il loro eroismo: andavano in autobus perché non si possono permettere il taxi, e gli autobus saltavano in aria. Quello che dà noia è che sono sempre di guardia con sguardi di disapprovazione soprattutto per i vestiti immodesti. Devono imparare a lasciar vivere.
Egualmente, si parla spesso delle frange oltranziste dei coloni religiosi, che in nome del Sionismo compiono simboliche azioni vandaliche (price tag) contro stato, esercito e attivisti di sinistra.
I coloni sono diversi da quelli dell’immaginario collettivo che li dipinge come violenti fanatici, anche grazie alla disinformazione del quotidiano Haaretz che è citato come unica fonte dalla comunità internazionale. Alle volte i coloni stanno in un insediamento perché è un bel posto dove la vita costa meno, e dove ancora si vive l’avventura della fondazione della prima Israele, che in fondo è tutta un insediamento! Dopo l’aggressione nel ’67, gli israeliani si son trovati a vivere nei luoghi che sono citati nei testi della tradizione ebraica e che pertanto non sono a loro estranei. Tra i coloni ci sono quelli più militanti, altri sono studiosi senza attitudine militare che pensano semplicemente che quella è la loro terra. Se lo sia o non lo sia si discuterà quando i palestinesi decideranno di parlare con gli ebrei, invece che demonizzarli. Quando ci sarà una volontà seria di pace, ci sarà il ritiro da parte dei territori, come a Gaza: con molte lacrime, ma con obbedienza verso lo Stato.
Intervista ad AB Yehoshua.
Nei suoi scritti sull’ebraismo, sull’identità israeliana e sul Sionismo, Lei sostiene che l’esistenza dello Stato di Israele rappresenta una rivoluzione sostanziale dell’identità ebraica, perché è il frutto dell’impresa sionista e l’unico sistema politico e culturale ebraico. Dopo più di sessant’anni di vita ebraica “autonoma” in Israele, cosa significa esser sionista? Cos’è il Sionismo nel XXI secolo, dopo la creazione dello Stato di Israelequale obiettivo principale del Sionismo del XX secolo, e dopo che i movimenti sionisti (socialista, revisionista, religioso e anche orientalista e spirituale) hanno lasciato la propria eredità ai partiti politico israeliani?
Il Sionismo non è un’ideologia specifica, bensì un pensiero che dà vita a ideologie differenti e a volte opposte, che in comune hanno un unico obiettivo: la creazione di uno stato ebraico in Terra di Israele. La parola più importante in questa definizione è Stato, cioè un Paese con confini certi, entro cui gli ebrei esercitano la sovranità potendo decidere, nel bene e nel male, del proprio destino. Successivamente alla creazione dello Stato di Israele nel 1948, il significato del Sionismo consiste nel fatto che lo Stato di Israele non è solo lo stato dei suoi cittadini, arabi e ebrei, bensì anche lo stato del popolo ebraico, per cui ogni ebreo nel mondo può diventare automaticamente cittadino israeliano. L’obiettivo della risoluzione delle Nazioni Unite del 1947 che prevedeva una divisione della Palestina mandataria in uno stato arabo e uno ebraico non era creare uno stato per i 700.000 ebrei che abitavano Israele allora, bensì permettere a ogni ebreo nel mondo, rifugiato o non rifugiato, sopravvissuto alla Shoah o meno, di diventare cittadino di Israele e godere di pieni diritti. Questo è l’unico significato del Sionismo oggi, che si può ritrovare nella Legge del Ritorno e nel Diritto al Ritorno. Quando sarà creato, anche lo Stato palestinese avrà sicuramente una legge del ritorno che permetterà ai rifugiati palestinesi nei Paesi Arabi di ritornare nello stato palestinese e acquisirne la cittadinanza. Le altre differenze ideologiche e le varie posizioni politiche non c’entrano con il Sionismo, essendo invece espressioni, come in ogni altra parte al mondo, del dibattito tra destra e sinistra, tra religione e stato, delle questioni relative ai confini, alla tutela delle minoranze, alla politica di immigrazione, alla politica sociale e economica. Questi sono problemi nazionali che tutti gli Stati devono affrontare, e così anche Israele. E in questo il Sionismo non c’entra nulla. Non si può tuttavia dimenticare che la creazione dello Stato di Israele ha cambiato radicalmente l’identità ebraica come si era sviluppata dalla distruzione del Secondo Tempio. Il Sionismo ha creato “l’ebreo sovrano” che è soggetto a un’autorità statale ebraica, che paga le tasse a un ebreo, e la realtà attorno a lui, benché complessa, è essenzialmente ebraica. Il cittadino arabo israeliano fa parte di questa realtà, cui partecipa come ogni altra minoranza nazionale partecipa all’esperienza comunitaria e identitaria del gruppo nazionale maggioritario tra cui vive, esercitando però diritti speciali che gli permettono di mantenere la propria cultura e identità, così come di perseguire i propri interessi. Infine, il significato di Sionismo ai giorni nostri è semplice e consiste nel riconoscimento e nell’accettazione della Legge del Ritorno.
In alcune interviste Lei ha spesso ribadito che Israele è l’unico posto dove gli ebrei possono vivere appieno l’autodeterminazione personale e culturale. In che senso, a suo avviso, Israele funge da catalizzatore dell’identità ebraica contemporanea e, di conseguenza, come spiega il crescente antiSionismo tra circoli ebraici dall’identità radicata?
Come ho detto, il Sionismo è la medicina per curare la malattia della diaspora, che è una malattia ebraica antica quasi 2.500 anni, i cui effetti sono stati disastrosi da ogni punto di vista. Tra questi vi è l’assimilazione massiva di ampie parti di questo popolo antico, che in tre mila anni di storia è arrivato a contare solo 12 milioni di persone. E sicuramente la Shoah, che in soli 5 anni ha sterminato un terzo del popolo ebraico nei modi più umilianti e orribili. E poi anche i pogrom, le espulsioni, il dolore ecc. In Israele l’ebreo vive la propria identità in maniera piena, con tutti gli oneri, le responsabilità e l’impegno che ne derivano, così come l’identità di un italiano, di un inglese o di un tailandese è completa nella sua patria. Anche un italiano che non abbia letto nemmeno un verso della Divina Commedia di Dante resta italiano, senza che nessuno possa accusarlo di esser solo in parte italiano o un italiano assimilato. L’antiSionismo degli ebrei in diaspora è significativo, e non fa differenza che siano ebrei religiosi fanatici, ebrei riformati, ebrei radicali o comunisti. Per loro la diaspora rappresenta l’autentica identità ebraica, in cui trovano conforto per la sua incompletezza, in quanto non si assume la responsabilità piena della realtà ebraica, da cui rifugge radicandosi su un’altra identità nazionale. Gli antisionisti vorrebbero applicare il principio di “tikun ha-olam”, il principio ebraico di miglioramento del mondo e della realtà in cui si vive, ma non a se stessi, perché non hanno il controllo sulla realtà di un popolo che è disperso e vive soggetto a altre nazioni.
In un’intervista data all’inviato RAI Claudio Pagliara, Lei ha definito il Sionismo in una parola: confini. Vorrei porLe la questione di tre discussi “confini” che sono al centro del dibattito sul conflitto e su Israele. A- Israele-Palestina Spesso Lei sostiene che israeliani, inclusi in una certa misura anche gli arabi israeliani, e i palestinesi sono popoli differenti, con culture differenti, e che devono imparare a vivere separati per esser capaci di arrivare a un accordo, di conseguenza un confine territoriale è fondamentale per una separazione fisica dei due popoli. Ma in che senso il ritiro dalla West Bank è un passo fondamentale nel processo di pace, se il conflitto non è un conflitto sul territorio bensì un conflitto tra identità e narrative?
La questione dei confini è anzitutto una questione territoriale, come per ogni altro popolo, entro cui ricade anche la questione della sovranità nazionale. Il Sionismo come confini è la volontà che il popolo ebraico dia vita all’esperienza politico-istituzionale-culturale e sociale nella propria patria. Questo è quanto.
La questione dei palestinesi o arabi. Siamo sicuramente due popoli diversi come i giapponesi sono diversi dagli indiani, i cechi dai russi. La divisione tra noi è principalmente territoriale. Gli ebrei non hanno una posizioni ideologicamente contraria all’identità o alla religione degli arabi, e noi siamo venuti in Medio Oriente per vivere in pace con i popoli arabi. I palestinesi sostengono che gli abbiamo rubato la loro terra, motivo per cui combattono contro di noi. Se gli ebrei avessero costituito uno stato in un’isola lontana, nessun arabo avrebbe avanzato posizioni contro di noi. In breve, ogni tentativo di definire il conflitto come uno scontro razziale, religioso, culturale o economico è fallace. Il problema è il territorio. Il controllo del territorio. E la guerra, come il 90% delle guerre nella storia è una guerra di controllo del territorio. Noi israeliani teniamo ora sotto occupazione tre milioni di palestinesi, non concediamo loro diritti politici, e continuiamo a erodere le loro terre. Questo è il problema. Solo quando ci sarà uno Stato palestinese con confini e sovranità certi allora i palestinesi potranno fare la pace con la parte che gli è stata tolta (Israele). Gli arabi palestinesi israeliani sono cittadini dello Stato di Israele e rappresentano una minoranza nazionale fedele allo Stato ebraico, che tenta di garantire anche se non appieno eguaglianza sociale e economica. Non dobbiamo dimenticare che metà della popolazione ebraica di Israele è originaria dei Paesi islamici, pertanto ribadisco che tra noi e i palestinesi e la nazione araba non c’è che un conflitto territoriale, che è significativo e vero.
B- Laici-Religiosi-Haredi (ultra ortodossi) In un suo recente articolo pubblicato su La Stampa (15 luglio 2012) ha duramente criticato la società Haredi e il modo in cui lo Stato di Israele ha finora trattato la questione degli ultra ortodossi. Tuttavia, la società Haredi sta evolvendosi e integrandosi nella società israeliana. Al contrario, poca attenzione si rivolge ai coloni nazional-religiosi, che stanno radicalizzandosi con sempre più frequenti scontri con l’esercito, lo Stato e con gli attivisti di sinistra. Sono un “pericolo” per Israele?
La comunità religiosa in Israele si sta espandendo e rafforzando e rappresenta un vero pericolo per la democrazia israeliana. Durante migliaia di anni l’identità ebraica principale era rappresentata dalla religione, poiché gli ebrei non avevano un territorio, non avevano una lingua comune né istituzioni autonome. Ed è proprio questa identità religiosa che ha impedito agli ebrei di ritornare nella propria terra per viverci autonomamente. Il Sionismo è principalmente un movimento laico e grazie alla sua laicità è riuscito a contrastare il divieto religioso di ritornare nell’antica patria per ricostituirvi una piena nazionalità. I religiosi sono stati i più decisi oppositori del Sionismo, e a causa del divieto imposto dai rabbini di ritornare in patria prima della venuta del Messia, il popolo ebraico è stato intrappolato in Europa durante la Shoah. Dopo la creazione dello Stato, e dopo la loro sconfitta teologica e politico-ideologica nella Shoah, i religiosi hanno accettato in silenzio lo stato democratico. Ma con il rafforzamento dell’identità religiosa in tutto il popolo ebraico, i religiosi alzano di nuovo la testa, reclamando diritti speciali, e in particolare rinnegano la sovranità della maggioranza e della democrazia, riconoscendo solo l’autorità dei loro rabbini. Questa situazione crea una sfida sia per la giovane democrazia israeliana, sia per la solidarietà nazionale. I haredim rifiutano di fare il servizio militare, impongono norme razziste contro le donne; i coloni religiosi occupano le terre dei palestinesi e si rivoltano contro la polizia e l’esercito. In sostanza ci sono due autorità contrapposte: quella nazionale contro quella religiosa.
C- AntiSionismo e Antisemitismo Mentre alcuni studiosi tendono a tracciare una chiara distinzione tra antiSionismo e antisemitismo, è chiaro che il confine è meno nitido, perché l’antiSionismo, nella lotta contro Israrle, lotta anche contro l’identificazione di Israele con il popolo ebraico, la cultura e la storia ebraica, e quindi non può esser scevra di un certo antisemitismo o antigiudaismo. Come mai gli antisionisti sono percepiti come liberali progressisti? In più, l’antiSionismo è spesso associato con la sinistra cosiddetta “radicale”, diversa da quella “moderata”. Che spazio trova il Sionismo tra le due sinistre? Dov’è finita la sinistra sionista?
L’antisemitismo classico che diceva “ebrei, siete stranieri, andatevene dalle nostre terre e tornate in Palestina o in Terra di Israele” era ideologicamentemente favorevole al Sionismo. Pertanto a mio avviso ci deve esser una separazione totale tra antisemitismo e antiSionismo, che è in realtà frutto della convinzione di sinistra che il Sionismo fosse una forma di colonialismo classico. Nonostante il Sionismo avesse dei tratti coloniali, era essenzialmente diverso dal colonialismo, perché non c’era uno Stato come la Gran Bretagna, la Francia o il Belgio che inviasse l’esercito a occupare e sfruttare le terre dei Paesi sottosviluppati. Dopo la seconda guerra mondiale non è stato più possibile utilizzare i classici motivi antisemiti, come “ebrei stranieri e sfruttatori”, e pertanto l’antisemitismo classico alle volte si traveste da antiSionismo, che si manifesta in particolare anche se non solo nella sinistra radicale. Credo che si passi il limite dell’antiSionismo e si approdi nel campo dell’antisemitismo quando non si riconosce il diritto all’autodeterminazione degli ebrei, e non semplicemente si critichi la politica israeliana. E siccome spesso si identifica il Sionismo come una politica aggressiva verso i palestinesi e come un violento nazionalismo, è facile usare il termine antiSionismo per nascondere un vero antisemitismo.
Il Sionismo.
Il Sionismo è il movimento di liberazione nazionale ebraico che ha come scopo la creazione e lo sviluppo di uno Stato per il popolo ebraico, Israele, con cui si identifica in lingua (ebraico come lingua ufficiale), simboli (bandiera, inno e stemma), tradizione e cultura (festività e memoria storica).
STORIA
– Il Sionismo nasce come un movimento di emancipazione nazionale, la cui guida è Leo Pinsker (Ehad ha-Am, Autoemancipazione, 1882), che vede in Israele una patria spirituale del popolo ebraico, unico territorio in cui gli ebrei non sono “stranieri”. Pertanto, la vita nella patria di origine avrebbe curato l’antisemitismo che ispirò i grandi pogrom del 1871-1884. – In seguito, il Sionismo si sviluppa come progetto politico di “creazione di uno stato ebraico in Palestina”, sotto la guida di Theodor Herzl (Lo Stato degli Ebrei, 1896), che fonda l’Organizzazione Sionistica, riunitasi nel 1897 a Basilea per il Primo Congresso Sionistico. – L’appoggio internazionale alla causa sionista si ha con la Dichiarazione Balfour, 1916, con cui il Ministro degli Esteri britannico (Arthur James Balfour) si impegnò a costituire una patria ebraica in Palestina. La Dichiarazione fu incorporata nel Trattato di Sèvres con la Turchia (1920) e nel testo del Mandato Britannico sulla Palestina, approvato dalla Lega della Nazioni nel 1922. – Dopo la creazione di Israele nel 1948, i principi sionisti sono ancora alla base dell’esistenza dello Stato di Israele quale Stato Ebraico e Democratico (Dichiarazione di Indipendenza dello Stato di Israele), di cui possono divenire automaticamente cittadini gli ebrei, loro consorti e i loro discendenti fino alla terza generazione (Legge del Ritorno).
MOVIMENTI SIONISTI
– Il Sionismo, come progetto nazionale del popolo ebraico, si sviluppa in diversi movimenti secondo differenti ideologie, tra cui: il Sionismo socialista, revisionista, religioso e ambientalista. – Il Sionismo socialista vede nel ritorno degli ebrei alla coltivazione della terra la chiave per l’emancipazione del popolo ebraico cui sono state negate la proprietà della terra e la possibilità di dedicarsi al lavoro agricolo per duemila anni. I kibbutzim (cooperative agricole che hanno realizzato il socialismo reale) sono stati fondati in Israele da esponenti di questo movimento che aveva scuole di preparazione alla vita agricola in tutto l’Est Europa. Tra i maggiori esponenti: Moses Hess, David Ben-Gurion, Golda Meir, Berl Katznelson. – Il Sionismo revisionista fu fondato da Ze’ev Jabotinsky, in opposizione alla linea politica di Chaim Weizman e David Ben-Gurion. I revisionisti si opponevano alla spartizione della Palestina e proponevano una politica di risposta armata agli attacchi arabi sulle comunità ebraiche; favorivano la fondazione di yishuvim (cittadine) e moshavim, (cooperative agricole non socialiste). Infine, promuovevano l’idea per cui il futuro Stato di Israele doveva essere liberale, a maggioranza ebraica con rappresentanza della minoranza araba nelle istituzioni nazionali. Tra i maggiori esponenti: Menachem Begin, Yitzhak Shamir, Ariel Sharon. – Il Sionismo religioso fu fondato da Rav Kook, in opposizione all’ortodossia ebraica che vedeva (e in gran parte vede ancora) nel Sionismo come un’anticipazione umana di ciò che solo può avvenire con l’avvento del Messia, cioè la creazione dello Stato di Israele. Al contrario, i sionisti religiosi considerano l’opera umana necessaria all’avvento del Messia. Ampiamente eterogeneo, il Sionismo religioso comprende frange socialiste, che hanno ispirato il movimento dei kibbutzim religiosi, nazionali, che integrano i principi liberali democratici con l’identità religiosa, e oltranzisti, che vorrebbero un ruolo di maggior importanza della religione nella sfera pubblica israeliana. – Il Sionismo ambientalista considera il benessere dell’ambiente in Israele, di cui è capostipite il KKL (Keren Kayemeth Le-Israel – Fondo Nazionale Ebraico), che acquistava terreni nella Palestina mandataria, per la loro bonifica, il loro rimboschimento e la loro colonizzazione.
DEMONIZZAZIONE
Il termine “Sionismo” è associato a “razzismo”, “colonialismo”, “dominio straniero”. La Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU n. 3379 del 10 novembre 1975 equiparava il Sionismo al razzismo ed è stata revocata (non annullata, quindi senza formale condanna del contenuto) dalla risoluzione 4686 del 1991. Il Sionismo è ancor oggi considerato una forma di razzismo e colonialismo dalla Lega Araba, come testimonia la Carta Araba dei Diritti Umani, e dal movimento delle ONG, come testimonia la Dichiarazione Finale di Durban 2001.
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