Testata:Il Giornale – Il Foglio Autore: Fiamma Nirenstein – Daniele Raineri Titolo: «La pax egiziana tra islam e generali finisce sulla porta del Parlamento» //*IC*

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 10/07/2012, a pag. 13, l’articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo ” Obama aiuta l’Egitto traditore  “. Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l’articolo di Daniele Raineri dal titolo ” La pax egiziana tra islam e generali finisce sulla porta del Parlamento”. Ecco i pezzi:

Il GIORNALE – Fiamma Nirenstein : ” Obama aiuta l’Egitto traditore “

Fiamma Nirenstein, Barack Obama

C’era una volta un Grande Paese lacui in­fluenza, la cui capacità di mediazione, la cui generosità, anche se tuttavia motivata da motivi di interesse generale e particolare, ne facevano un punto di riferimento mondiale, e specialmente in Medio Oriente. L’ultimo impero, nel bene e nel male. Alcuni lo ritenevano un giudice parziale, ma era pur sempre un giudice cui portare ogni controversia e ogni bisogno. Inutile dire che questo grande Paese era gli Stati Uniti. Oggi l’impero non c’è più. È stato smantellato da tre anni e mezzo di governo di Barack Obama. Gli Usa in Medio Oriente non hanno più un amico, neppure interrato come Mubarak o Ben Alì. E, ironia della sorte, questo accade da quando Obama ha instaurato la sua politica di encomio e omaggio all’islam. Le notizie del giorno confermano il danno e la beffa. Il danno: Mohammed Morsi, nuovo presidente islamico dell’Egitto, ha riesumato (scusate il vanto, come avevamo previsto mentre molti lo descrivevano come un moderato) il Parlamento eletto col 75 per cento di islamisti fra i suoi Fratelli Musulmani e salafiti. Sotto la spinta del Consiglio Supremo Militare l’Alta Corte Costituzionale l’aveva sciolto per incostituzionalità. Una mossa politica appena velata; e lo è anche quella di Morsi che ne reclama la costituzionalità. Ma la Corte ha subito dichiarato che la sua giurisdizione in materia costituzionale è inappellabile. Da qui, uno scatenamento di dichiarazioni, un clima da guerra civile, scontri davanti all’Assemblea del Popolo, minacce di impedire l’ingresso dei parlamentari alla seduta di oggi. L’Egitto siede sull’orlo del solito vulcano. Qui viene la beffa: l’amministrazione Obama mette il naso invitando Morsi ad andare a trovarlo, segno di grande legittimazione, nei giorni dell’assemblea dell’Onu a settembre. Intanto la Clinton invoca in suo aiuto tutti i criteri democratici, proprio quelli di cui Morsi, pur sostenuto dal popolo, farà a meno non appena potrà inverare l’ideologia islamista istituendo la sharia. Non sarà un regime favorevole agli Usa, anzi, sarà suo nemico, ma Obama ha mandato al Cairo il vice segretario di Stato William Burns, e sabato Hillary Clinton sarà in Egitto. Il presidente americano ha avuto per tutto il tempo delle rivoluzioni arabe un irrefrenabile desiderio di piacere e di trovare un appeasement col mondo arabo che lo ha spinto a sostenere le rivolte senza obiezioni, senza richieste, senza garanzie, anche quando hanno cominciato a perseguitare le donne, i cristiani, gli omosessuali, i nemici politici, Israele. Adesso marcia verso il sostegno a un regime che ben presto sfodererà, abbandonando le cautele tipiche della Fratellanza Musulmana (nessuno la vide in piazza Tahrir nel gennaio del 2011, fin quando decise di prendere il potere e buttò fuori i blogger e si dichiarò in tutto il suo razzismo contro le donne, maledisse gli Usa e Israele) un atteggiamento antioccidentale accompagnato da leggi shariatiche. Gli Usa hanno avuto in Medio Oriente una condotta che ne ha cancellato ogni influenza. Al vecchio sostegno ai dittatori dell’Egitto, l’Arabia Saudita, la Libia, la Giordania, la Tunisia, lo Yemen, l’Autonomia Palestinese, la parte moderata del Libano… non si è sostituito altro che un senile annuire. Se si guarda ai regimi che avanzano, lasciando aperta qualche doverosa speranza libica, che sta facendo Obama? Nutre chi gli morderà la mano. Iran, Siria, Palestina… tutti questi teatri gli sono divenuti ingestibili. Morsi, si dice, ha già accettato un invito in Iran, e ora è venuto quello di Obama, il presidente americano specializzato nell’aprire la porta ai nemici dell’America. Quale gli piace di più? www.fiammanirenstein.com

Il FOGLIO – Daniele Raineri : ”  La pax egiziana tra islam e generali finisce sulla porta del Parlamento”

Daniele Raineri    Mohamed Morsi

Roma. Due settimane fa, quando la Borsa egiziana ha riaperto, il giorno dopo l’annuncio che il candidato dei Fratelli musulmani era il vincitore delle elezioni presidenziali, l’indice generale delle quotazioni è decollato a razzo verso un sette per cento e prometteva bel tempo stabile: islamisti e generali avevano infine trovato un accordo politico, la coabitazione era possibile. Ieri, la Borsa è andata giù del quattro per cento, mentre tutto il paese si chiedeva se l’accordo c’è davvero o se ci si debba preparare a un lungo scontro politico senza esclusione di colpi. Colpa di quanto è accaduto domenica, quando il neo presidente egiziano, Mohammed Morsi, con un decreto ha annunciato che il Parlamento dichiarato sciolto dai generali è invece legittimo e riaprirà presto, e di quanto accaduto ieri, quando la Corte costituzionale ha riconfermato la sua sentenza, in piena sfida al presidente: quell’assemblea è stata eletta in modo incostituzionale e va sciolta. La mossa di Morsi spiazza chi crede che i Fratelli si sarebbero concentrati da subito su un programma esplicitamente islamista, velo, alcol, costrizioni nel culto. La questione centrale è invece quella politica, è prendere quella grande parte di potere che ancora resta nelle mani dei militari. Per questo scopo la riapertura del Parlamento è il duello ideale: anche se la maggioranza uscita dalle elezioni dello scorso inverno è islamista (Fratelli musulmani più salafiti), suona indubbiamente come una battaglia libertaria, contro una Corte costituzionale che è troppo politicizzata per sembrare neutra (il capo, un oscuro giudice dei ranghi inferiori, fu portato alla massima carica tre anni fa dall’allora presidente Hosni Mubarak, con una decisione che oggi sembra preveggente). Ieri Morsi e il capo dei militari, il generale Hussein Tantawi, hanno partecipato assieme a una cerimonia in un’accademia militare, parlottando tranquilli uno di fianco all’altro. Morsi appariva di ottimo umore, davanti all’esibizione di karate dei cadetti. I generali, che domenica sera si sono riuniti d’urgenza, non hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali fino a ieri sera, quando hanno detto che “tutti sono tenuti a rispettare le sentenze della Corte”. E’ come se preferissero parlare per interposta Corte costituzionale, che infatti nel pomeriggio di ieri ha confermato la propria sentenza, con un gesto plateale di controsfida. “La sentenza è vincolante”, hanno detto i giudici. Il corpo di guardia che impedisce ai parlamentari l’accesso all’edificio, poco distante da piazza Tahrir centro simbolico della ribellione, è stato dimezzato forse per non creare ulteriori tensioni e all’inviato del New York Times che chiedeva che istruzioni avesse ha risposto di non avere ricevuto l’ordine di bloccare qualsiasi tentativo da parte degli eletti di entrare. In teoria l’appuntamento è per giovedì a mezzogiorno. Secondo Reuters, i generali, che hanno riconsegnato il potere esecutivo nelle mani di Morsi lo scorso 30 giugno, non sapevano nulla della decisione di Morsi, e questo negherebbe la tesi proposta da alcuni di un accordo sottobanco tra islamisti ed esercito un grande piano onnicomprensivo di cui è inutile tentare di capire qualcosa. E invece no, pare che non ci sia macchinazione, ma una dichiarazione d’ostilità. In piazza si sono riuniti un centinaio di sostenitori dei Fratelli, per manifestare a favore del presidente. I giovani del movimento che nel gennaio-febbraio 2011 ha guidato la rivolta si sono dichiarati d’accordo con il presidente, pur essendo d’ispirazione laica e libertaria – ma tanto il loro peso politico è quasi irrilevante. Una parte più importante dello spettro politico si è invece dichiarata contraria: il decreto presidenziale punta a travolgere una sentenza della Corte costituzionale, ed è un male maggiore rispetto alla concentrazione di potere nelle mani dei militari. Mohammed ElBaradei, ex candidato laico e di minoranza, ma che gode di un’aura internazionale, ha messo in guardia sul rischio che “il governo egiziano non sia più un governo della legge, ma degli uomini”. Al Cairo si insiste su un dato: i Fratelli non sono bravi a fare la rivoluzione, sono stati messi in disparte durante i giorni gloriosi della gioventù di Tahrir, ma sono bravi nella politica giorno per giorno e mese per mese, che richiede spregiudicatezza, tenacia e duttilità. Degli undici decreti presidenziali firmati da Morsi in queste due prime settimane, questo è già il secondo che arriva dritto sul muso dei generali, dopo quello che forma una commissione d’inchiesta sulle morti durante la rivoluzione.

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