L’ebraismo corretto e quello sbagliato.
Testata: Informazione Corretta Data: 24 giugno 2012 Autore: Ugo Volli.
Da MOKED riprendiamo il commento di Ugo Volli, l’abbiamo titolato “L’ebraismo corretto e quello sbagliato”
La chiesa trionfante contro la sinagoga sconfitta.
Un libro che ho letto di recente mi ha molto colpito. E’ “Legami pericolosi” di Marina Caffiero, pubblicato da Einaudi (pp. 388, € 34). E’ la ricostruzione, condotta su carte dell’Inquisizione romana rese di recente disponibili agli storici, di una serie di processi che mostrano la posizione e le relazioni degli ebrei italiani rispetto alla Chiesa e soprattutto rispetto alla popolazione cattolica largamente maggioritaria che li circondava. La tesi fondamentale di Caffiero è che questi legami fossero molto più ricchi e complessi di quel che si ritiene comunemente, cioè che i ghetti fossero tutt’altro che isole chiuse e impermeabili, ma che al contrario fra le due popolazioni ci fosse uno scambio continuo non solo sul piano economico, ma anche su quello culturale, religioso, delle pratiche magiche e superstiziose, degli affetti e delle relazioni, anche intime. Io non sono uno specialista della disciplina e quindi non sono in grado di giudicare sul carattere innovativo della tesi e neppure sulla sua fondatezza, che però mi sembra molto ben documentata, soprattutto se si pensa che i casi raccontati sono il frutto di una doppia selezione nel senso di ciò che alle autorità ecclesiastiche pareva patologico: nelle carte compaiono non solo esclusivamente i casi denunciati e sottoposti a processo di “eccessi” in questa convivenza, ma quelli che apparivano tanto gravi, o tanto complessi da non essere risolti localmente, ma mandati a Roma per una decisione. Si può dunque trarne una conferma indiretta sulla continuità e “normalità” di rapporti che arrivavano all’attenzione dei tribunali inquisitoriali solo in casi molto conflittuali o gravemente “irregolari” (dispute religiose accanite, scambio di amuleti e di libri, tentativi di conversione nel senso “sbagliato”, relazioni sentimentali e sessuali proibite perché trasgredivano il confine fra le religioni ecc.). A me in questa massa di storie hanno colpito tre elementi diversi, su cui mi sembra importante riflettere. Il primo è il grado di interferenza della Chiesa nella vita ebraica, la modalità puntigliosa e intrusiva della sorveglianza ecclesiastica della vita ebraica. Chi pensasse che la Chiesa si limitasse a rinchiudere gli ebrei nei ghetti, a umiliarli e a reprimerli, a proibir loro certe attività economiche e sociali, a cercare di convertirli con le buone o con le cattive, avrebbe ragione, nel senso che tutte queste attività repressive venivano regolarmente svolte, ma mancherebbe di capire un punto che mi sembra fondamentale: la Chiesa aveva la pretesa di decidere qual era l’ebraismo corretto e quale quello sbagliato e inaccettabile, cioè “eretico”. Di conseguenza esaminava dettagliatamente carte e libri, interrogava rabbini e credenti comuni, infliggeva punizioni a volte pesantissime per chi praticasse un ebraismo che non corrispondeva alla sua idea di quel che dovessero essere le credenze degli ebrei. Non si trattava solo della caccia al Talmud e ai midrashim, in genere alla letteratura rabbinica che motivava il rifiuto degli ebrei di convertirsi. Ma per esempio, l’ebreo che si fosse lasciato sfuggire la credenza nel gilgul, la trasmigrazione delle anime, che fa parte del pensiero cabalistico, o chi avesse detto che non è chiaro in termini scritturali che cosa accade dopo la morte; o chi avesse usato iscrizioni tratte da versetti dei Salmi o da nomi divini come protezione de possibili attacchi demoniaci contro neonati o malati, sarebbe stato severamente punito come eretico. Più in generale, tutta la cultura rabbinica, tutta l’elaborazione di secoli e millenni dell’ebraismo a partire dalla Torah orale, era oggetto di persecuzione minuta e costante: i libri erano bruciati, i sapienti ammoniti, l’insegnamento vietato. Quando si parla del ritardo dell’ebraismo italiano dopo la fioritura rinascimentale, non si può non tener conto di questa volontà repressiva, che spesso Caffiero descrive nei termini di lasciare agli ebrei solo la Torah senza commento e senza neppure i libri di halakha, con la doppia volontà di reprimere l’”eresia” e di renderli più permeabili alle spinte verso la conversione. Dunque vi era un’intrusione continua, programmata, minuziosa, vi erano perquisizione, sequestri, interrogatori, il tentativo continuo, se posso permettermi l’espressione, di un genocidio culturale.
Secondo spunto. Alla testa di questo tentativo vi erano i convertiti. Coloro che si distaccavano dall’ebraismo per prendere posto nelle schiere dei suoi nemici erano i più accaniti, i più implacabili, i più maligni. E’ impressionante vedere come dietro a tutti i provvedimenti repressivi, tutte le condanne, gli indici dei libri proibiti, le censure di quelli consentiti, i pamphlet antiebraici vi erano sempre degli ex ebrei. Disprezzati dalla comunità ebraica, ma in fondo anche dalla Chiesa, che non se ne fidava mai completamente, spinti da rancore, vendetta, volontà di venir accettati fino in fondo nel nuovo ambiente, gareggiavano nel cercare di danneggiare e di insultare i loro antichi fratelli. Quando oggi si parla dell’odio di sé dei nemici di Israele, è chiaro che il meccanismo che agisce è ancora quello, che una vecchia sceneggiatura agisce ancora: uscire dal gruppo dei discriminati per unirsi alla maggioranza che discrimina e boicotta non è un gesto che si compia accontentandosi di essere comodamente nel nuovo gruppo; al contrario porta ad aizzarlo e a cercare di indurirlo e di motivarlo all’odio e alla discriminazione.
Il terzo spunto è più positivo. In questi secoli di estrema oppressione e di sorveglianza ossessiva, gli ebrei reagiscono. Da un lato le comunità e i rabbini si difendono con lucidità e determinazione, cercando di usare le regole del gioco stabilite dalla chiesa per tutelarsi almeno un po’; mandano memoriali per protestare contro i provvedimenti più discriminatori, fanno causa per riavere i libri sequestrati, si difendono con intelligente tattica giuridica dalle accuse. Qualcosa del genere, al loro livello, riescono a fare anche molti singoli accusati, sforzandosi per esempio di distinguere fra “opinioni” e “credenze”, scaricando responsabilità eventualmente confessando in anticipo e chiedendo scusa.
Dall’altro dalle carte processuali emerge una forte coscienza di sé e un notevole orgoglio della propria identità. Gli ebrei, anche di bassa condizione, mescolati ai cristiani nella vita quotidiana, conservano le proprie regole, si sforzano di tenere la kashrut, difendono la propria fede, talvolta finiscono nei guai per aver reagito verbalmente a provocazioni e intimazioni di conversione, rivendicando la superiorità della propria tradizione.
Vi è insomma molta più resistenza e fierezza e fedeltà alla propria identità in quelle situazioni difficilissime, di quanto ce ne sia oggi, quando difficoltà del genere non esistono. E’ un tema su cui riflettere, che forse può illuminare in maniera un po’ diversa il dibattito infinito su emancipazione e assimilazione: è la fierezza dell’ebraismo, l’orgoglio della propria identità, oltre che la fede vera e propria, che sostiene tutte queste generazioni di ebrei sotto il tentativo di genocidio culturale cui consapevolmente la Chiesa li sottopone da secoli.
Una fierezza che oggi manca, se non, forse, a proposito di Israele.
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