Se il Consiglio Onu per i diritti umani «si copre di ridicolo».
Il ministero degli esteri israeliano ha deciso di “interrompere tutti i contatti con il Consiglio Onu per i Diritti Umani” (UNHRC). Lo hanno confermato lunedì fonti ufficiali del ministero. La misura è stata presa in seguito alla decisione adottata giovedì scorso dall’UNHRC di inviare una missione d’inchiesta in Cisgiordania per indagare l’impatto degli insediamenti ebraici “sul popolo palestinese in tutti i territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme est”. “Intrattenevamo un certo livello di rapporti con loro, benché Israele non fosse membro del Consiglio – hanno spiegato le fonti ufficiali israeliane – D’ora in poi non compariremo più davanti al Consiglio e, se vorranno venire in visita, non avranno la nostra collaborazione”. D’ora in avanti, hanno specificato le fonti di Gerusalemme, l’ambasciatore d’Israele nella sede Onu di Ginevra non comparirà più di fronte al Consiglio, né risponderà alle sue chiamate, né coopererà con esso in alcun modo. L’ambasciatore resterà tuttavia nella sua sede a Ginevra per mantenere i rapporti con le numerose altre agenzie con cui Israele ha cooperato e continuerà a cooperare pienamente.
Le fonti aggiungono che Israele si sforzerà di ottenere che altri paesi presenti nel Consiglio seguano il suo esempio, sebbene questo obiettivo sia considerato difficile.
Israele ha infatti accolto con vivissima irritazione la decisione del Consiglio Onu per i Diritti Umani, che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha definito senza mezzi termini “ipocrita”. “Il Consiglio ha una maggioranza automatica anti-Israele – ha detto Netanyahu – e dovrebbe vergognarsi di se stesso”.
“Con grande coerenza – ha osservato un editoriale del Jerusalem Post – il Consiglio Onu per i Diritti Umani, in cui siedono vari campioni delle libertà civili come Arabia Saudita, Bangladesh, Cina, Indonesia, Giordania, Kuwait, Angola, Benin, Botswana, Burkina Faso, Camerun, Congo, Gibuti, Mauritania, Nigeria, Senegal, Uganda, Malaysia, Qatar e Cuba, non trova mai nulla di cui occuparsi che sia più urgente delle presunte violazioni di Israele”.
A Gerusalemme fanno notate che quella approvata giovedì è la prima missione di questo genere mai varata dal Consiglio Onu per i Diritti Umani, un organismo che solo pochi giorni fa ( per atroce combinazione, proprio nel giorno in cui si consumava la strage antisemita a Tolosa) aveva accolto nella sua sede di Ginevra Ismail al-Ashqar, un importante esponente di Hamas, vale a dire di un’organizzazione – come aveva immediatamente sottolineato in una lettera l’ambasciatore israeliano Aharon Leshno-Yaar – che nella sua Carta fondamentale propugna, fra l’altro, l’uccisione degli ebrei in quanto tali (e che è ufficialmente considerata ”terrorista” da Stati Uniti, Unione Europea, Canada e Giappone, oltre che da Israele).
Oltre a varare la missione d’indagine, il Consiglio giovedì ha approvato altre quattro risoluzione contro Israele, compresa una centrata sulle alture del Golan (perse dal regime siriano degli Assad in una guerra d’aggressione a Israele). La risoluzione sulla missione d’inchiesta in Cisgiordania è stata approvata dai 47 stati membri del Consiglio con 36 voti a favore, uno contrario e 10 astensioni. Solo gli Stati Uniti hanno votato contro, definendola “prevenuta”. I paesi europei si sono divisi con Norvegia, Svizzera, Belgio, Austria e Russia che hanno votato a favore, mentre Italia, Spagna, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Romania e Moldavia si sono astenuti. Gli altri astenuti sono Guatemala, Costa Rica e Camerun.
“Finora – ha osservato Netanyahu – il Consiglio Onu per i Diritti Umani [creato nel marzo 2006 dalle ceneri della screditata Commissione Onu per i Diritti Umani] ha adottato 91 risoluzioni. Di queste, 39 si occupano di Israele, 3 della Siria e una dell’Iran. Bastava ascoltare, giovedì, il rappresentante siriano che parlava di diritti umani per capire quanto questo Consiglio sia distaccato dalla realtà”. Un’ulteriore prova di tale distacco dalla realtà, ha ricordato Netanyahu, è stata il fatto che pochi giorni prima il Consiglio aveva reso possibile una conferenza dell’attivista di Hamas Ismail al-Ashqar nel quadro di un evento organizzato da una Ong all’interno della sede del Consiglio. Hamas, ha ricordato il primo ministro israeliano, è un’organizzazione la cui ideologia si fonda “sull’assassinio di innocenti”.
“Questo ipocrita organismo – gli ha fatto eco il ministro degli esteri Avigdor Lieberman, intervistato da radio Kol Israel – non ha nulla a che fare con i diritti umani. La sua posizione pregiudiziale e la sua mancanza di obiettività sono evidenti, e noi non abbiamo alcun motivo per collaborare con esso. Non ci presteremo a recitare in questo teatro dell’assurdo, quando il 70% delle decisioni di questo Consiglio sono pregiudizialmente ostili a Israele. Abbiamo anzi intenzione di chiedere ai paesi liberi di ritirarsene”.
Giovedì stesso, il ministero degli esteri israeliano ha diffuso un comunicato in cui la risoluzione del Consiglio viene definita “un’altra decisione surreale” da parte di un organismo “che è assai più interessato a promuovere un’agenda politica faziosa che a difendere i diritti umani. Mentre in tutto il Medio Oriente – continua il comunicato – le violazioni dei diritti umani raggiungono dimensioni senza precedenti, il Consiglio Onu si copre di ridicolo dedicando tempo e risorse alla creazione di un ente superfluo e stravagante il cui solo scopo è quello di soddisfare le pretese dei palestinesi e danneggiare qualunque possibilità di arrivare a un futuro accordo attraverso strumenti pacifici. I palestinesi devono capire che non possono avere una cosa e il suo contrario: non possono usufruire dei vantaggi della cooperazione con Israele e allo stesso tempo lanciare aggressioni politiche contro Israele in ogni possibile forum internazionale”. Se i palestinesi fossero realmente interessati a risolvere la questione degli insediamenti, afferma il comunicato, allora riprenderebbero immediatamente i negoziati diretti su tutte le questioni chiave del contenzioso. “La loro deliberata scelta di privilegiare lo scontro e la provocazione, anziché il compromesso e la riconciliazione, non è altro che una strategia distruttiva, che la comunità internazionale dovrebbe respingere con fermezza”.
La Commissione Goldstone sull’operazione anti-Hamas condotta dalle Forze di Difesa israeliane nella striscia di Gaza nel gennaio 2009, ricorda inoltre Gerusalemme, nacque da un’analoga decisione del Consiglio Onu per i Diritti Umani. Israele si rifiutò di cooperare con quella commissione, il cui stesso mandato conteneva una sentenza di condanna preconfezionata per “crimini di guerra”. Più tardi lo stesso giudice Goldstone finì col ritrattare quelle accuse. Anche in questo caso, affermano le fonti del ministero, Israele non coopererà con “un processo farsa”, e spiegano: “Non intendiamo conferire legittimità a una cosa illegittima”.
«Purtroppo – commenta l’editoriale del Jerusalem Post (26.3.12) – a giudicare dall’esperienza ci sono ben poche possibilità che collaborare con una tale missione d’inchiesta possa influenzarne in modo significativo il risultato. Nel febbraio 20011, ad esempio, dopo una visita di sei giorni in Israele durante la quale il ministero degli esteri, le Forze di Difesa, la Corte Suprema ed altre istituzioni statali avevano pienamente cooperato, l’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani Navi Pillay pubblicò una dichiarazione in cui attaccava Israele per le sue presunte violazioni del diritto internazionale. Nessuna dichiarazione del genere si è vista a proposito di paesi come Cina, Russia, Cuba, Arabia Saudita, Venezuela, Vietnam, Zimbabwe. Il fatto stesso che il Consiglio abbia approvato la creazione di questa missione testimonia della sua faziosità anti-israeliana. Infatti, mentre sarebbe del tutto logico inviare una missione d’indagine ad esempio in Siria dove i giornalisti possono entrare solo a rischio della propria vita e le poche notizie circolano con grandissima difficoltà, non vi è alcuna mancanza di informazioni circa le attività in Giudea e Samaria (Cisgiordania), dove opera una moltitudine di enti e organizzazioni locali e internazionali e dove gli stessi governi stranieri possono monitorare direttamente ogni sviluppo. Ma, sebbene possa essere conveniente usare gli insediamenti per dare addosso a Israele, la realtà è che gli insediamenti non sono il vero problema. Il vero ostacolo alla pace è il rifiuto della dirigenza palestinese di intavolare seri negoziati diretti senza precondizioni (fra l’altro, anche sugli insediamenti e sui confini definivi). Uno stato palestinese non nascerà dal Consiglio Onu per i Diritti Umani a Ginevra o a New York, ma soltanto da negoziati diretti con Israele. L’ intestardirsi della dirigenza palestinese su misure unilaterali come gli appelli all’Unesco e all’UNHRC sembrano indicare una netta propensione a danneggiare e delegittimare Israele, più che a dialogare e convivere con esso.»
(Da: YnetNews, Jerusalem Post, FMA, israele.net, 22-26.3.12)
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