Parole chiare da Shimon Peres all’Iran.
Testata:Il Foglio-Libero-La Stampa-Il Fatto-L’Unità// Da: informazionecorretta 05.11.2011
Foto: aerei militari israeliani.
Su tutti i giornali, oggi, 05/11/2011, grande rilievo viene dato alla dichiarazione di Shimon Peres sull’Iran. Pubblichiamo due analisi dal FOGLIO, le cronache/commenti di Carlo Panella su LIBERO e Aldo Baquis sulla STAMPA, per finire, sempre sul quotidiano torinese, una breve che dedichiamo al Presidente americano, augurandoci che nel frattempo abbia provveduto a ritirare la mano tesa.
Due nostri brevi commenti:
1) sul titolo de Il FATTO, a pag.12 ” Il moderato Peres minaccia: pronti ad attaccare l’Iran “, curioso, sul giornale degli ex amici di Israele Travaglio & Colombo, invece di vedere la minaccia nell’atomica iraniana, dove la vedono ? nelle parole di Peres, come dire, non sta bene che un ‘moderato’ si esprima così. Ancora complimenti a Travaglio & Colombo !
2) L’UNITA’, a pag.33, Umberto De Giovannangeli inizia così il suo pezzo: ” L’avvertimento è di quelli che pesano. E proiettano un’ombra inquietante sul futuro del Medio Oriente “, dove Peres è un mafioso – chi se non un mafioso manda ‘avvertimenti’ – e quindi è lui e non l’Iran ad essere l’ombra inquietante sul Medio Oriente. Complimenti anche a Udg, ma almeno lui, a differenza di Travaglio & Colombo, non ha mai dato segni di correttezza verso Israele.
Ecco gli articoli:
Il Foglio– ” Ecco lo ‘squadrone’ dei piloti israeliani pronti a volare sull’Iran “
Roma. In gergo militare è lo “squadrone”. Comunemente è noto come la “lunga mano d’Israele”. Sono i piloti addestrati per missioni a lungo raggio. Sette anni di studi pratici e teorici di qualità unica, in cui i piloti hanno stretto i denti e dato l’anima. “I migliori all’aviazione”, recita un detto ebraico fra i cadetti. Sono la crema dell’esercito più piccolo, più agguerrito, più peculiare e più discusso del mondo. E’ l’unità di piloti che dovrà colpire le installazioni atomiche iraniane in caso Gerusalemme decida per l’attacco. Si parla già di quanti di loro cadranno prigionieri nelle mani del regime iraniano. Prenderanno il volo dalla base di Ramat David presso Megiddo, dove secondo la Bibbia avverrà la fine del mondo. E proprio da lì sono partiti quando tre anni fa hanno distrutto un reattore nucleare in Siria. Era l’“Operazione Frutteto”. In questi mesi i piloti si sono addestrati sopra la Romania, l’Ungheria e la Sardegna. Distanze simili a quelle che dovranno percorrere fino ai siti della Repubblica islamica dell’Iran. L’unità ha alle spalle le pietre miliari nella storia della difesa israeliana. Nell’“Operazione Insetto” del 1982 i piloti annichilirono la contraerea siriana nella valle della Bekaa. Nel 1985 volarono a quattromila chilometri di distanza per bombardare il quartier generale dell’Olp a Tunisi. L’“Operazione Gamba di Legno” durò appena sei minuti. Nel 1991 portarono in salvo 15 mila ebrei etiopi. Furono sempre loro che nel 1981, senza rifornimento, distrussero il reattore di Saddam Hussein a Osirak. Ze’ev Raz, che guidò l’attacco su Osirak, dice che la missione iraniana è più complicata perché ha più obiettivi. Ma l’aviazione è pronta “per ogni scenario”. Teheran è il nuovo puntino sulla mappa da quando nel 1996 Amos Gilad, capo dei ricercatori dell’esercito, annunciò alla leadership israeliana che l’atomica iraniana sarebbe diventata la preoccupazione pringeopoliticipale per lo stato ebraico. Per arrivare in Iran i piloti hanno due strade: sopra i paesi arabi, con conseguenze politiche rilevanti e con il sostegno necessario degli Stati Uniti; o la via lunga, sopra l’oceano Indiano. Guideranno caccia F16 che chiamano Ra’am (tuono) e Sufa (tempesta). Quando l’unità venne formata, cinquant’anni fa, i velivoli erano i Mosquitos e i Mustang. Questi piloti sono fra i più colti dell’esercito, perché Ezer Weizmann, l’eroe della guerra del 1967 che ha costruito dal niente l’aviazione ebraica, nelle riunioni nei kibbutz ripeteva sempre che un pilota deve avere anche un’istruzione speciale e che questo non lo fa diventare un “fascista egocentrico”. Di questo squadrone il volto più noto è quello di Ilan Ramon, il primo astronauta israeliano, per tutti “Ilan shelanu”, il nostro Ilan, morto nella sciagura dello Shuttle Columbia del 2003. Quando partì per lo spazio, Ramon portò con sé una Torah e un disegno della Terra vista dalla Luna fatto da un bambino, Peter Ginz, morto ad Auschwitz. Ramon era in squadra, il più giovane di tutti, anche nella spericolata missione che distrusse il reattore nucleare di Saddam. Anche il figlio di Ramon, Assaf, è morto pilotando due anni fa. La leggenda nera dello squadrone si tramanda di padre in figlio. Il massimo eroe dei cieli, Arlosor Lev, quando scoppiò la guerra del Kippur si offrì volontario, distrusse numerose postazioni egiziane e cadde in mare, disperso per sempre. Un altro Lev è morto nel 1981. Dello squadrone faceva parte Ron Arad, desaparecido in Libano. Infine, fra le donne, c’è la nipote di uno dei capi della rivolta del ghetto di Varsavia. Roni Zuckerman è la prima donna pilota di aerei da combattimento. E’ la nipote di Yitzhak Zuckerman e di Zvia Lubetkin che furono tra i capi della rivolta ebraica nel ghetto di Varsavia, repressa dai nazisti soltanto dopo ingenti perdite e la distruzione totale del ghetto. Nello strike a sostenere dal basso i piloti saranno due sottomarini, uno pare sia già nelle profondità del Golfo Persico, un altro naviga fisso davanti al porto di Haifa. Ci sarà anche l’unità 669 della base di Tel Nor, quella delle missioni di salvataggio via terra. Il loro unico limite operativo è se un soldato israeliano cade prigioniero in una città, come nel caso di Ron Arad a Beirut. Quando i caccia israeliani distrussero il reattore di Saddam, la 669 stazionava nel deserto iracheno in caso di bisogno. Ci saranno anche i commando dell’unità Shaldag, creata nel 1977 per operare dietro le “linee nemiche”. Oggi nella stanza dei bottoni delle Forze armate ci sono diversi ex membri della Shaldag, a cominciare dal capo di stato maggiore, Benny Gantz. Nel 2008 i piloti si sono esercitati attorno all’isola di Creta, nome in codice “Glorious Spartan”. Una missione di 1.500 chilometri, la stessa distanza che divide lo stato ebraico dall’impianto nucleare di Natanz, che gli israeliani hanno ribattezzato “Kashan”. I jet hanno sganciato bombe, realizzato raid contro i radar, attuato manovre evasive. In loro supporto velivoli per la guerra elettronica ed elicotteri che trasportavano gli incursori della famosa Sayeret. Una delle simulazioni prevedeva anche il recupero di piloti abbattuti in “territorio ostile”. Lo squadrone dovrà concludere lo strike in una manciata di minuti: lo scorso gennaio l’ex capo di stato maggiore, Gabi Ashkenazi, ha rivelato che Teheran sarà in grado di raggiungere con un missile lo stato ebraico in dodici minuti. “Due minuti per Baghdad” fu invece il motto dell’operazione dello squadrone nel 1981. Per chi sostiene lo strike, il modello resta Osirak. Un recente rapporto dell’aviazione rende noto che anche allora non si aveva la certezza del successo dell’operazione militare. Israele andò avanti comunque. Fu l’inizio della “dottrina Begin”, dal nome dell’allora primo ministro: strike preventivi per impedire ai nemici di acquisire armamenti letali. Molti di quelli che nel 1981 criticarono Menachem Begin oggi ammettono che aveva preso la decisione giusta e coraggiosa. Anche allora era contrario un capo del Mossad, il servizio segreto.
Il Foglio– ” Bombardare i siti iraniani è inevitabile ? Gli esperti rispondono “
Roma. Nonostante lo stato di allerta in Israele e le dichiarazioni televisive del presidente Shimon Peres – “mancano sei mesi all’atomica, l’opzione militare è più vicina”, ha detto ieri sera – gli osservatori sembrano scettici circa il piano del governo di Netanyahu di attaccare i siti nucleari in Iran. La guerra preventiva continua a essere un tabù: avallarla significa violare la legalità internazionale, opporvisi vuol dire sottovalutare la minaccia di un’atomica in mano agli ayatollah. Vige dunque la prudenza, se non il silenzio. Da Parigi, il politologo Alexandre Adler ricorda che sul nucleare iraniano in Israele si discute da quattro anni, e la svolta è stata l’attacco del virus informatico Stuxnet su 30 mila computer iraniani. “Anche se Teheran ha negato gli effetti descritti altrove, il programma nucleare iraniano sembra aver subìto un battuta d’arresto, con una serie di difficoltà tecniche sul piano militare e civile”, dice Adler. “A questo punto, il dibattito in Israele si è fatto più aperto ed è stata messa in discussione l’idea stessa di bombardare l’Iran”. Nel frattempo però la situazione è cambiata. “Certo, gli iraniani a Gaza sono stati emarginati; i Fratelli musulmani hanno ripreso il controllo di Hamas; in Libano Hezbollah è in imbarazzo per le difficoltà in cui versa il siriano Assad e a Damasco sono gli stessi iraniani a essere in imbarazzo. Di fatto oggi niente attesta un inasprimento del conflitto tra Teheran e Israele, anzi il dissidio tra il presidente, Mahmoud Ahmadinejad, e la Guida Suprema, Ali Khamenei, induce a pensare che a Teheran sia in corso una lotta intestina. L’attacco alle centrali iraniane sarebbe solo una mossa di propaganda per allentare le pressioni su Israele”. Da Londra, anche Emanuele Ottolenghi, esperto di medio oriente, è d’accordo: “Non c’è prova che Gerusalemme stia pianificando l’attacco. D’altra parte lanciare un attacco oggi sarebbe una follia, sia per il timing sia per la situazione geopolitica,mai stata tanto sfavorevole a Israele. La notizia forse serve solo a mettere pressione sul prossimo rapporto dell’Agenzia atomica internazionale, e preparare sanzioni più dure rispetto alle attuali”. Scettico anche Michael Ledeen, analista di politica internazionale, da Washington: “Non credo sia vero il piano d’attacco israeliano, ma mi rifiuto di parlarne. Non dovevamo permettere al regime degli ayatollah di avere la bomba. Ma se davvero Israele attaccasse l’Iran, sarebbe la prova del fallimento della politica occidentale degli ultimi trent’anni: siamo riusciti a fare crollare l’impero sovietico sostenendo l’opposizione al regime, avremmo dovuto fare lo stesso con l’Iran khomeinista, cosa che nessun leader occidentale sta facendo”. Da New York, persino il vecchio Norman Podhoretz, che è il padre dei neoconservatori, ha qualche dubbio: “Spero sia vero, ma ne dubito, per via dell’opposizione in seno al partito e in seno al governo Netanyahu. Quand’anche il premier israeliano fosse capace di andare avanti, dubito che Obama gli darebbe il benestare, anche se resto convinto che sarebbe auspicabile perché l’unica cosa peggiore di bombardare l’Iran sarebbe consentirgli di avere la bomba. Non possiamo accettare che abbia l’atomica, sarebbe la situazione peggiore dall’inizio dell’era nucleare, ben peggiore della crisi dei missili a Cuba, perché l’Urss di Nikita Chruscëv non era uno stato suicida, e i sovietici non erano disposti a morire da kamikaze in nome della religione. Da anni sostengo che l’unico modo per fermare Teheran sia l’azione militare, ma i paesi occidentali non accetteranno mai di bombardare l’Iran. Il prossimo rapporto confermerà ciò che già sappiamo: l’Iran sta per dotarsi dell’atomica. A Washington sono convinti che con un Iran nuclearizzato si possa convivere, ma credo che il giorno in cui l’Iran avrà l’atomica la situazione rischia di diventare incontrollabile. Sarebbe meglio un attacco preventivo”.
Libero-Carlo Panella: ” Il mite Peres: l’Iran ha le ore contate “
Simon Peres ha annunciato ieri che Israele si sta preparando all’ineluttabile necessità di bombardare le centrali nucleari iraniane in cui senza ormai ombra di dubbio il regime degli ayatollah sta preparando una bomba atomica: «Le chance per una soluzione diplomatica al problema posto al mondo dal programma nucleare iraniano si stanno affievolendo, mentre, l’opzione militare è più vicina. I servizi d’intelligence di vari Paesi stanno guardando i loro orologi e avvertono i loro leader che non rimane molto tempo. Non so se questi leader mondiali agiranno sulla base di questi avvertimenti ». Secondo Peres, l’Iran potrebbe essere a soli sei mesi dal disporre di armi nucleari. Pocooredopo,il ministro della DifesaEhudBarak ha confermato: «Un attacco militare contro i reattori nucleari dell’Iran è sempre più vicino, giorno dopo giorno». La certezza sul pericolo ormai vicino di un regime iraniano – che ha come scopo più volte ribadito dai suoi dirigenti di «distruggere Israele» – non è dei soli servizi di sicurezza occidentali o di quelli israeliani, ma è confermata anche dall’Aiea, l’agenzia dell’Onu che monitora le centrali nucleari iraniane e ha verificato che vi si stanno arricchendo 70 chili di uranio oltre la soglia del 20%, operazione che esclude ogni impiego civile e che solo può mirare ad un arricchimento al 90%, funzionale solo a ordigni nucleari. Il direttore dell’Aiea Yukya Amano ha annunciato per l’8 novembre la pubblicazione di un rapporto ufficiale al riguardo che conferma l’allarme di Peres. Le parole dei leader israeliani confermano le indiscrezioni giornalistiche di questi giorni, secondo le quali Netanyhau era riuscito a vincere le resistenze del ministro degli Esteri Liebermann e aveva infine ottenuto l’assenso della maggioranza dei membri del governo per una prossima azione militare per bombardare tutti i siti iraniani. Certo è che Israele sente con drammaticità il pericolo, ma che tenta in ogni modo di non essere costretta a eliminare la minaccia atomica iraniano da sola, come già fece nel 1980 bombardando la centrale nucleare Osirak di Saddam Hussein a Baghdad (senza quella operazione nel 1990Saddam avrebbeinvaso ilKuwait disponendo di armamento atomico).Èinfatti evidente che la decisione di Peres e Barak di sottrarre il dibattito sull’opzione militare alla segretezza sinora mantenuta, come il chiaro appello ai leader mondiali perché si facciano carico della drammatica emergenza, mirano proprio a imporre alla comunità internazionale l’obbligo di assumere le proprie responsabilità e di non lasciare che Israele sia costretto ad esporsi con una azione militare che innescherebbe una guerra di cui pagherebbe da sola il costo. Per questo, sino a oggi, i generali israeliani sono stati i più contrari all’opzione bellica contro l’Iran, certi come sono che l’Iran reagirà attaccando a sua volta Israele. Il ministro della Difesa di Israele Matan Vilnai prevede che Teheran invierà «mille missili al giorno per un mese, senza un attimo di respiro» su Israele, mentre si teme che la Siria possa lanciare missili col gas nervino sarin e che Hezbollah e Hamas attacchino via terra. In questo contesto si colloca il lancio del nuovo missile Jericho III testato da Gerusalemme nei giorni scorsi, in grado di raggiungere tutto il territorio iraniano e la enorme esercitazione di protezione civile di giovedì scorso che ha coinvolto tutta la popolazione nell’area del Gush Dan, dove vivono 2 milioni di israeliani che simulava l’arrivo dal cielo di armi nucleari e chimiche.
La Stampa-Aldo Baquis: “Israele, Peres avvisa l’Iran, opzione militare vicina”
Noto in Israele come un ottimista incorreggibile, anche nei tempi più bui, perfino il quasi novantenne Shimon Peres comincia ora ad essere vivamente allarmato per la piega presa dalla questione iraniana e per i titoloni della stampa israeliana secondo cui Benjamin Netanyahu ed Ehud Barak potrebbero aver già optato per una soluzione militare.
«Signor Presidente – gli ha chiesto ieri la televisione commerciale «Canale 2», durante una rilassata visita a Cipro -, è possibile che noi oggi siamo più vicini ad un’opzione militare che non a una soluzione diplomatica?». E Peres, a mezza bocca, ha risposto che «è proprio così».
In Israele i commentatori ritengono che Peres sia contrario ad un intervento militare contro le infrastrutture nucleari dell’Iran, certamente se esso non fosse concordato con altri Paesi. Negli ultimi giorni due ex capi del Mossad, Meir Dagan ed Efraim Halevy, hanno messo in guardia i dirigenti israeliani dal fare mosse avventate che – secondo Halevy – «rischierebbero di innescare con l’Iran un conflitto di 100 anni».
Secondo «Canale 2», Peres soffre non potendo essere lui stesso nella stanza dei bottoni quando a Gerusalemme fossero prese decisioni di importanza critica per il Paese. «La mia sensazione ha detto – è comunque che una decisione ancora non sia stata presa». In ogni modo, dall’alto della sua veneranda esperienza politica, ha consigliato ai dirigenti di Israele di «mantenere uno spirito tranquillo anche in condizioni difficili, di soppesare le alternative, di operare con cervello, senza lasciarsi trascinare dai nervi».
Il senso di urgenza, ha proseguito Peres, è certamente giustificato, il tempo stringe «e i servizi di sicurezza dei vari Paesi seguono le lancette dell’orologio». L’Iran deve essere fermato, ha insistito, ma «è responsabilità di tutto il mondo», non solo di Israele. Oltre alle sanzioni «c’è un lungo menù di misure che potrebbero e dovrebbero essere adottate».
Con l’occasione, Peres ha comunque bacchettato il governo Netanyahu. «Mentre le saracinesche del mondo arabo si chiudono una dopo l’altra di fronte ad Israele, resta un pertugio: quello dell’Anp di Abu Mazen e Salam Fayad». Respingendo polemicamente la tesi del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman (secondo cui Abu Mazen rappresenta «uno dei maggiori ostacoli alla pace»), Peres resta persuaso che Israele debba puntare oggi più che mai ad un accordo con l’Anp: «Altrimenti – ha avvertito – restiamo soli con Hamas».
Intanto per i palestinesi sembra allontanarsi la speranza di una piena ammissione all’Onu, dopo che Gran Bretagna, Francia e Colombia hanno preannunciato che si asterranno al prossimo voto al Consiglio di sicurezza. E di fronte alle coste di Gaza è ieri fallito un ulteriore tentativo del movimento «Free Gaza» di forzare il blocco marino imposto da Israele per ragioni di sicurezza. Due battelli partiti di sorpresa dalle coste turche sono stati intercettati in acque internazionali dalla marina militare di Israele e scortati (senza colpo ferire) fino al porto di Ashdod.
La Stampa– ” Khamenei contro gli Usa ‘terroristi’ “
Teheran, davanti all’ex ambasciata Usa
Migliaia di iraniani sono scesi in piazza ieri a Teheran, al grido di «Morte all’America», in occasione del 32˚anniversario della presa di ostaggi all’ambasciata americana in Iran, il 4 novembre 1979. L’Ayatollah Ali Khamenei, rievocando il caso del complotto per uccidere l’ambasciatore saudita a Washington, ha detto che gli Usa «accusano noi di terrorismo, ma sono loro i più grandi terroristi del mondo».
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