GIANNI RIOTTA

La Stampa 18/11/2011

Provi il lettore a identificare data e ambiente delle righe che seguono, decida se descrivono l’Italia 2011, gli Stati Uniti di Obama, il populismo di sinistra in tv o sul Web, l’Europa della Bild Zeitung o l’America dei radio show del conservatore Limbaugh: «Abbiamo visto una stampa indecente riscaldarsi, intenta a battere moneta con nocive curiosità e corrompere l’opinione pubblica per vendere i denigranti articoli dei suoi scribacchini; quella stessa stampa che non trova più lettori quando la nazione è calma, sana e forte. Sono… i giornali che si prostituiscono e adescano i passanti con i loro titoli a caratteri cubitali con la promessa di orge… Abbiamo visto… i giornali popolari da un soldo che si rivolgono alla massa e ne formano l’opinione, stimolare passioni nefaste, condurre rabbiosamente una campagna settaria, uccidendo nel nostro caro popolo… ogni generosità, ogni desiderio di verità e di giustizia. Voglio credere alla loro buona fede. Ma che tristezza di fronte a questi cervelli di polemisti invecchiati, di agitatori folli, di patrioti meschini, che improvvisandosi trascinatori di uomini commettono il crimine peggiore, offuscando la coscienza pubblica e sviando un intero popolo! Questa impresa è tanto più spregevole quando è condotta da certi giornali con bassezza di mezzi e l’abitudine alla menzogna, alla diffamazione e alla delazione che rimarranno l’onta più grande della nostra epoca».

Avete scelto? È descrizione perfetta per l’Italia dove Berlusconi è santo o demonio, per gli Usa dove Obama è Superman o falsario di certificati di nascita? O magari leggete tra queste righe quel che attende il neopresidente Monti, spenti gli applausi, nelle accuse a «Goldman Sachs» dei fogli e siti ultras? Si tratta invece di un articolo dello scrittore francese Emile Zola, pubblicato sul quotidiano parigino Le Figaro il 5 dicembre 1897. Zola, autore fra il 1871 e il 1893 del ciclo di romanzi a sfondo sociale Rougon-Macquart , era allora impegnato nella campagna per la revisione del processo a carico del capitano d’artiglieria francese Alfred Dreyfus, condannato alla deportazione all’Isola del Diavolo, in Guyana, per alto tradimento. Dreyfus era stato accusato di aver fornito ai tedeschi dettagli sulle postazioni francesi: il colpevole era invece un suo commilitone indebitato al gioco, ma i comandi militari, i politici in cerca di consenso e la stampa a caccia di prebende decisero di dare in pasto all’opinione pubblica un innocente, per di più ebreo d’Alsazia, regione franco-tedesca.

Alla fine Dreyfus fu graziato, tornò nei ranghi e combatté nella prima guerra mondiale. Zola e il suo J’accuse , pubblicato sulla rivista L’Aurore il 13 gennaio 1898, diedero anima alla tradizione intellettuale europea di sfida al potere e alle sue verità. Per risolvere il caso, però, Dreyfus, malgrado i veri traditori fossero stati individuati e uno si suicidasse, dovette umiliarsi a chiedere la grazia, come un colpevole.

Il caso Dreyfus è dunque laboratorio perfetto per studiare come in una democrazia di massa il populismo dei mass media, il potere arrogante dell’intrigo, un’opinione pubblica pigra e rassegnata alla corruzione investano persone perbene, umiliandole, lordandole con calunnie, falsità, razzismo, bugie. Nell’era di Internet, quando lo studioso Cass Sustein vede diffondersi ovunque le Voci, gossip e false dicerie del suo saggio tradotto da Feltrinelli, e la filosofa Franca D’Agostini annota malinconica «il dogmatico si fa forza della propria e altrui ignoranza», ripubblicare le carte dell’Affaire Dreyfus è quindi opportuno. Lo fa in Italia la casa editrice Giuntina, con il curatore Massimo Sestili a dare al lettore contesto storico e culturale, l’antisemitismo, i reazionari, le ipocrisie degli intellettuali, e lo scrittore Roberto Saviano a legare passato e presente, da Zola ad Anna Politkovskaja, da Dreyfus ai dissidenti siriani calunniati dal regime alawita di Assad. L’autore di Gomorraripropone l’equilibrio e la passione di Zola per la verità, come antidoto «al livore» e «alla rassegnazione» correnti. Nelle pagine del libro, infatti, mai Zola cade nel tranello populista, accusare chi è persuaso della colpa di Dreyfus di essere complice dei registi del complotto, anzi si sforza di dialogare con tolleranza, rispettare i magistrati, non ridursi a polemiche volgari: «Non ho che una passione scrive -, quella della chiarezza, in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto a essere felice».

La felicità della chiarezza e della verità di Zola, che Saviano rilancia, torna in gioco, come alla fine del XIX secolo. Purtroppo, da allora, gli intellettuali hanno perduto l’innocenza dello J’accuse! , in un secolo di campagne condotte con arcigno sussiego, ma spesso ipocrite e parziali: il silenzio sulle stragi di Stalin, il silenzio su quelle di Hitler quando si allea con Mosca, il silenzio sulla repressione in America Latina se turba Washington, da noi bugie e connivenze sul terrorismo e la batracomiomachia Pro-Silvio Anti-Silvio che acceca la riflessione sul vero stato del paese e sulla degenerazione faziosa di parte cospicua della pubblica opinione e della classe dirigente, oltre il totem Berlusconi. Il crucifige online contro gli innocenti, le calunnie in prima pagina e in prime time, il rassegnarsi a credere a una menzogna perché tanti ci credono, il demonizzare l’avversario, sono nostri veleni quotidiani. E in queste ore, forse, la lettura di questo libro può rivelarsi antidoto salutare per chi auspica un’Italia di nuovo «calma, sana e forte».

 

lastampa.it

 

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