La fabbrica delle bugie trasforma i killer in eroi.
Testata:Il Giornale-L’Unità-Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein-Rolla Scolari-Umberto De Giovannangeli-Cecilia Zecchinelli-Antonio Ferrari
Tra terroristi definiti miliziani, principi sauditi peggio di Hamas, il solito Udg che capovolge i fatti, una tregua che nei fatti non è mai esistita, editoriali scritti con il dolcificante, oggi, 31/10/2011, la ripresa (mai interrotta) dellguerra di Gaza contro Israele, merita alcuni commenti, che i lettori troveranno prima degli articoli:
Eccoli:
Il Giornale- Fiamma Nirenstein: ” La fabbrica delle bugie trasforma i killer in eroi “
Un breve pezzo, nella sua rubrica ” Fuoco & Fiamma”, ma al fulmicotone, che riconferma come anche in poche righe si possano raccontare quelle verità che i giornaloni si guardano bene dal raccontare. Grande Fiamma !
Gli italiani che leggono parte della stampa italiana non sapranno mai come sono davvero andati gli scontri che hanno coinvolto Israele e Gaza nelle ultime ore. Quasi tutti i media hanno fatto lo stesso: accusare Israele come fosse un demone assetato di sangue. Si chiama “blood libel” vecchio stereotipo antisemita. La notizia nei titoli e nei pezzi (vedi Repubblica di ieri) è che gli israeliani si sono avventati su Gaza, l’hanno bombardata e hanno fatto cinque morti. Tutto per qualche scalcinato “razzo”caduto sul sud d’Israele. La verità è diversa: Israele ha subito un attacco missilistico su un milione di abitanti del sud, comprese le città di Ashod e Ashkelon. I missili sono ormai quasi tutti Grad, lunga gittata e precisione di tiro. Ne sono caduti più di cinquanta in due giorni su una popolazione da giorni chiusa in casa, in cui le scuole sono chiuse, gli ospedali zeppi, gli uffici e i negozi inattivi. Un padre di quattro figli è stato ucciso dentro casa, i feriti sono decine. Israele invece non ha mirato sulla popolazione di Gaza, ma sulla cellula che ha sparato e sulle armi. Non si devono fermare gli assassini quando si avventano sugli innocenti?Gli ebrei devono morire in silenzio nel loro Paese? La disinformazione su Israele è un colossal mediatico: ci hanno raccontato che Mohammed Al Dura, il bambino-icona palestinese, è stato ucciso dai soldati, e pare sia morto di fuoco palestinese; che a Jenin fu perpetrata una strage, ma il numero di palestinesi uccisi pareggia quello dei soldati, che gli israeliani sparavano sulle ambulanze in Libano e invece erano buchi confezionati per i fotografi.. Per rispetto del lettore, la leggenda dei poveri palestinesi perseguitati deve finire. Sono gli Israeliani a essere perseguitati con i missili.
Il Giornale-Rolla Scolari: ” E’ già finito l’effetto Shalit, razzi su Israele, raid a Gaza “
una cronaca che pecca nella scelta delle parole – ma quali militanti, cara Rolla ! – e quanta attenzione nell’ovattare quello che è stato un vero attacco missilistico contro Israele. Rileggiti il pezzo di Fiamma, pubblicato accanto al tuo, Israele spara non ai ‘palestinesi’ come hai scritto, ma ai terroristi per impedirgli di lanciare missili. Datti nuna svegliata, scrivi sul GIORNALE, mica su REPUBBLICA !
Gerusalemme Per ore ieri, anche a molti chilometri da Gaza, si udiva il rumore degli aerei israeliani e il ronzio dei droni. Non è diminuita, nonostante un apparente cessate il fuoco mediato dall’Egitto, la tensione nel Sud d’Israele e lungo il confine della Striscia. I lanci di razzi dei militanti palestinesi del Jihad islamico e le risposte israeliane fanno temere che la situazione precipiti. Sabato, in seguito al lancio di mercoledì di un razzo palestinese sulla cittadina di Ashdod, l’aviazione israeliana ha colpito postazioni di militanti a Rafah, nel Sud di Gaza. Sono morti nove miliziani palestinesi e un civile israeliano è stato ucciso dalle schegge di un razzo. E ieri un palestinese è rimasto vittima di un raid israeliano a Gaza poco dopo la dichiarazione da parte del Jihad islamico di un cessate il fuoco. È la prima volta dalla liberazione di Gilad Shalit che un missile cade su territorio israeliano. Tra sabato notte e domenica sono caduti oltre dieci missili, più di 40 in 48 ore. Il governo israeliano ha ordinato la chiusura delle scuole nelle comunità a rischio. «Non c’è cessate il fuoco e l’altra parte pagherà in maniera più pesante di quanto ha fatto, finché non smetterà di sparare », ha detto ieri il primo ministro Benjamin Netanyahu. Non vogliamo che la situazione deteriori, ha spiegato, ma ci difendiamo secondo il principio «uccidi o sarai ucciso ». Il lancio di razzi dalla Striscia arriva in un momento in cui «Hamas non ha esaurito la dimostrazione di forza dopo l’accordo per Shalit», scrive il quotidiano Haaretz .
Pochi giorni fa, infatti, è stata siglata l’intesa per uno scambio di prigionieri. Per la liberazione del soldato israeliano Hamas ha ottenuto la scarcerazione di 1.027 detenuti, si cui 477 sono già tornati a casa. Gli altri dovrebbero farlo nelle prossime settimane. Una degenerazione della situazione potrebbe mettere a rischio la seconda parte dell’accordo.Gli analisti vedono dietro il lancio di razzi una faida interna palestinese, per l’equilibrio diforze a Gaza. Non ci sarebbe stata per ora partecipazione dell’ala armata di Hamas nel lancio di missili. Secondo gli esperti «il Jihad islamico vuole dimostrare di essere un importante attore», accumula potere e vuole contrastare il rafforzamento di Hamas. Ma per Israele, spiega al Giornale un portavoce dell’esercito, «Hamas è responsabile per i razzi anche se sono altri gruppi a sparare ».
L’Unità-Umberto De Giovannangeli: ” Israele-Palestina, tensione alta nuovi raid aerei a Gaza”
Ci soffermiamo sul titolo, per rilevare il ritorno di Udg alla vecchia, mai dimenticata abitudine, di scrivere, non solo nel titolo, ma anche nell’articolo, l’attacco missilistico di Hamas contro Israele dopo aver citato per prima notizia la risposta di Israele. Dal che, chi legge, vede in Israele l’aggressore e Hamas l’aggredito.
Una manipolazione miserabile, anche se ben studiata, chi la usa dovrebbe vergognarsi di eseercitare la professione del giornalista.
Corriere della Sera-Cecilia Zecchinelli: ” E il principe saudita offre la taglia,un milione per un soldato israeliano “
Chiamare ‘controverso’ un personaggio come lo sceicco Awad Al Qarni, ci sembra veramente troppo. Capiamo la necessità del CORRIERE di equiparare il più possibile vittime e aggressori, ma il troppo è troppo. Al Qarni è un terrorista, incita alla guerra contro Israele, come si può definirlo ‘controverso’ ?
Una taglia da un milione di dollari, un principe saudita nipote del re e un religioso dello stesso Paese, una famiglia di coloni israeliani e il soldato Shalit ex ostaggio di Hamas: protagonisti di una vicenda partita quasi in silenzio ma che si sta trasformando in un affare internazionale, tra minacce, incitamenti e condanne, rischi di ulteriori tensioni in una delle zone più calde del mondo.
A fare scalpore, due giorni fa, è stato l’annuncio in diretta alla tv Al Dalil di Sua Altezza Khalid bin Talal: «Pagherò 900 mila dollari a chiunque catturi un soldato israeliano per scambiarlo con prigionieri palestinesi. Con la cifra già offerta dallo sceicco Awad Al Qarni, arriveremo a un milione di dollari».
Molto meno noto del padre Talal (fratello dell’attuale sovrano, chiamato da giovane il «principe rosso» per le sue simpatie socialiste mai sconfessate), meno potente del fratello Al Walid (26° uomo più ricco del mondo, ex socio tra l’altro di Berlusconi), il principe Khalid si occupa dei suoi affari e di bacchettare chiunque devii dal «vero Islam». In altre parole è un superconservatore che in passato aveva già alzato la voce denunciando perfino il fratello miliardario Al Walid per aver introdotto in Arabia i primi cinema. O attaccando i «devianti sciiti» per le loro critiche all’Islam wahhabita. Per capire però l’attuale sortita, quella taglia milionaria, si deve guardare oltre alla religione, intrecciata com’è nel mondo islamico al nazionalismo, ricordando la cronaca degli ultimi giorni.
Tutto è partito il 18 ottobre con la liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit, dopo oltre cinque anni da ostaggio nella Striscia di Gaza. Il suo scambio con 1.027 prigionieri palestinesi aveva in apparenza soddisfatto entrambe le parti: per Hamas e il governo Natanyahu era stato un successo politico, per le loro opinioni pubbliche un sollievo. Con qualche eccezione. Come la famiglia di Shlomo Liebman, un colono ucciso 13 anni fa nell’insediamento ortodosso di Yitzhar in Cisgiordania da un gruppo di palestinesi, tra cui due liberati pochi giorni fa. Sdegnati dall’intesa per portare a casa Shalit, il 20 ottobre i parenti di Liebman hanno offerto pubblicamente 100 mila dollari «per la testa degli assassini» appena usciti dalle carceri israeliane. Notizia che in Europa non ha avuto risonanza ma che in Medio Oriente non è stata certo ignorata.
A Riad, mentre sui siti Internet si discuteva del gesto, sheikh Awad Al Qarni ha infatti reagito lanciando sulla sua pagina Facebook una taglia dello stesso valore: «I media scrivono che i coloni sionisti offrono montagne di soldi per uccidere i palestinesi scarcerati. In risposta a quei criminali dichiaro al mondo che chiunque catturi un soldato israeliano per scambiarlo con prigionieri riceverà da me un premio di 100 mila dollari». E mentre sui blog e sul social network (che ha poi eliminato l’annuncio) in molti approvano Al Qarni, altri lo minacciavano invece di morte, offrendo un’altra taglia (pare da un milione di dollari) per la sua testa. Motivo dichiarato, queste minacce, della discesa in campo del principe Khalid, «solidale con lo sceicco».
Anche Al Qarni è un personaggio per lo meno controverso: senza incarichi ufficiali in Arabia, è però famosissimo per le sue battaglie contro Israele. Nel 2009 con una fatwa giustificò ogni attacco agli «obiettivi dell’occupante», condannando allo stesso tempo i «regimi corrotti e complici dei sionisti», a partire da quello del deposto raìs Mubarak. Odio corrisposto: prima della rivoluzione, un tribunale del Cairo lo condannò a cinque anni in absentia per riciclaggio di denaro e finanziamenti illegali ai Fratelli Musulmani, accuse che lui ha sempre negato.
Al di là dell’intreccio di taglie e dei suoi personaggi, che magari appassionano solo chi segue questa regione, la vicenda rivela però quanto sia sempre più complessa e controversa la questione israelo-palestinese. Non solo per lo stallo dei negoziati, all’Onu, perfino del dialogo tra Hamas e Fatah. Ma per il risveglio del nazionalismo nel mondo arabo dall’inizio delle intifade, intrecciato spesso all’Islam nelle sue varie sfumature, comprese quelle più estreme.
Corriere della Sera-Antonio Ferrari: ” Taglia su un soldato israeliano, brutto segnale dall’Arabia Saudita “
Anche i tasti di Antonio Ferrari affogano nella melassa. Vale il giudizio sul CORRIERE espresso prima. Ma quello di Ferrari ha la forma di un editoriale, una ufficialità che manca alle cronache. Ferrari mette anche in risalto la gravità del gesto del principe saudita, ma sembra meravigliarsene, che se l’Arabia Saudita non fosse stato il motore di gran parte degli attentati che hanno insanguinato il mondo nell’ultimo decennio. Presentare poi le richieste della Lega Araba come un contributo alla soluzione del conflitto è una tale enormità che non merita neppure di essere criticata.
Apparentemente tutto è nato dalle minacce incrociate dopo lo scambio tra il soldato israeliano Gilad Shalit con più di mille detenuti palestinesi. Una famiglia di colini ebrei ha offerto 100.000 dollari a chiunque catturi il responsabile dell’uccisione di un proprio famigliare che figura nell’elenco dei rilasciati. La risposta è arrivata da Riad. Un religioso saudita ha offerto la staessa somma a chiunque rapisca un altro soldato di Israele. Recevendo ruvide minacce.
Potrebbe essere uno dei tanti episodi rivelatori delle insormontabili difficoltà per risolvere il conflitto tra arabi e israeliani. Ma stavolta c’è un valore aggiunto davvero imbarazzante. Khaled, un principe della famiglia reale saudita, fratello del miliardario Al Walid, ha annunciato di voler aggiungere alla somma offerta dal religioso altri 900.000 dollari, giusto per fare conto tondo: 1 milione a chi cattura un soldato israeliano.
Il passo del principe, che appartiene alla aristocrazia dell’Arabia Saudita, cioè uno dei più solidi alleati degli Stati Uniti, va ben oltre la provocazione. Non è un mistero che Riad abbia finanziato generosamente gran parte dei movimenti islamici che si stanno preparando alla rivincita in molti paesi del mondo arabo, attraversati dall’onda inarrestabile delle rivolte popolari. Tuttavia vanno anche riconosciuti gli indubbi sforzi delm regno per risolvere il conflitto con l’offerta – avanzata nel 2002 al vertice di Beirut in nome e per conto di tutta la Lega Araba – di riconoscere e normalizzare i rapporti con lo Stato ebraico in cambio del ritiro da tutti i territori occupati e il ritorno ai confini del 1967.
Ora, con la provocazione di un membro della famiglia reale di Riad, sembra d’essere tornati indietro nel tempo. L’arroganza del principe Khaled può essere figlia della brezza fondamentalista poco primaverile che si respira in molti paesi arabi, ma potrebbe segnalare anche altro. La morte del principe ereditario Sultan e l’ascesa dell’ultraconservatore Najaf potrebbe infatti condizionare la prudente linea riformista del re Abdullah
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