Che autogol per i ribelli la sfida armata a Israele
Il 3 gennaio 1919 il presidente dell’Organizzazione sionista Weizmann e l’Emiro Feizal, leader della rivolta araba contro i turchi, futuro re di Siria e poi di Irak, firmavano un’intesa in cui nel preambolo si diceva che arabi e sionisti avrebbero osservato la «più stretta collaborazione» per lo sviluppo dello stato arabo e «della Palestina», favorendo l’immigrazione degli ebrei in essa (art.I) e fissando le frontiere col negoziato. Il trattato – inattuato a seguito della cacciata di Feizal da Damasco per mano francese – resta l’alternativa morale, storicamente giusta ed economicamente valida per la soluzione della grande crisi medio orientale testimoniata dalle rivolte e contro rivolte arabe attuali. Questa alternativa è stata rifiutata da più di 90 anni dalle dirigenze arabe. È stata da loro fatta interiorizzare alle masse affamate e oppresse.
Il sionismo trasformato da potenziale alleato modernizzatore in simbolico nemico, ha permesso a dirigenze corrotte e incompetenti di restare al potere aiutate delle grandi potenze interessate allo sfruttamento delle ricchezze energetiche e al controllo strategico della regione. L’assalto all’ambasciata di Israele al Cairo rilancia il ruolo di capro espiatorio di Israele per una parte dei rivoluzionari. Ancora di più serve alle due potenze regionali – Turchia e Iran – nel loro concorrenziale gioco di controllo sul mondo arabo islamico, nel grande vuoto lasciato dall’America.
Il modello dell’ebreo capro espiatorio è vecchio da secoli, sviluppato prima nella cultura cristiana, poi in quelle nazionaliste, marxiste e terzomondiste.
Ma Israele con tutti i suoi difetti, non è un capro espiatorio. È il solo modello riuscito di democrazia medio orientale (con l’80% di popolazione di origine orientale o indigena) che ha raggiunto un livello di netta superiorità finanziaria, militare, tecnologica sui suoi avversari indeboliti militarmente ed economicamente tanto dalla rivolta araba quanto da tensioni interne etniche e religiose (curdi in Turchia, Verdi in Iran, sunniti e shiti).
La situazione non piacevole ma non sfavorevole per Israele. Si adatta alla mentalità di riccio della coalizione governativa anche se nemica di iniziative politiche costruttrici.
Tanto più che questa politica coincide con un fortunato momento di espansione di investimenti esteri (il solo paese che nel corso della crisi ha visto aumentare da Standard &Poor’s il suo rating internazionale) e di scoperta di grossi giacimenti di gas sottomarino.
L’altra alternativa, quella dello scontro militare, sarebbe catastrofica per gli assalitori. Cadendo una volta di più vittime delle proprie ambizioni e eccitazioni ripeterebbero (questa volta forse con la Turchia) l’errore di sfidare militarmente Israele.
Se c’è una volontà condivisa in quel piccolo paese è di non accettare il ruolo di capro espiratorio e ancor meno quello accecato di Sansone.
di redazione
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