La crudeltà di Hamas che usa la vita di Shalit per spaventare Israele.
I terroristi hanno diffuso un video orribile e fasullo del giovane. E non hanno permesso che fosse visitato dalla Croce rossa.
Gerusalemme – Gilad Shalit ieri non era solo un tragico episodio, quello del piccolo soldato israeliano molto timido rapito sul confine di Gaza da Hamas da cinque anni. Ieri, nell’anniversario del suo rapimento, avvenuto quando aveva 19 anni, la sua immagine si è librata oscura e triste nell’intero cielo di Israele come una nuvola di tempesta, volatile e inafferrabile, una minaccia onirica contro la quale invano si lotta nel sonno senza riuscire ad allontanarla. Ogni ragazzo israeliano che serve nell’esercito per tre anni fra pericoli che la società occidentale conosce soltanto in quest’area del mondo ha un incubo, e lo condivide con la sua famiglia: essere rapito, sotterrato vivo, diventare moneta di scambio con chi di fatto vuole la tua morte e quella di tutta la tua parte. Per questo ogni soldato, e con lui la sua mamma e suo padre, portano dentro di sé, quando il giovane e la giovane va nell’esercito, la promessa che non sarà mai abbandonato, che sempre verrà salvato, in ogni pericolo, ad ogni costo.
Ma qui, ieri il padre di Gilad, Noam, che insieme a tutta la famiglia si è incatenato davanti all’ufficio del primo ministro, lo ha detto molto più forte di sempre: «Il costo non è stato pagato. Netanyahu non hai il diritto di condannare a morte mio figlio!». Il nonno Zvi ha anche suggerito che sia il primo ministro in persona a opporsi allo scambio e che invece Ehud Barak, ministro della difesa, abbia un parere diverso. Le accuse bruciano, tanto che il ministro Gideon Saar è sceso in campo difendendo il premier con parole dure: «Forse dobbiamo ricordare a qualcuno che Gilad è prigioniero nelle mani di Hamas, e non nell’ufficio del primo ministro».
Bibi ha dato segno di soffrire il colpo del veemente cambio di tattica della famiglia rispondendo direttamente, ieri, durante la riunione di gabinetto: «Noi siamo disposti a compiere una strada assai lunga per liberare Gilad. Più lunga di qualsiasi altro Paese. Infatti avevamo già accettato la proposta del mediatore tedesco, una proposta terribilmente costosa cui però abbiamo detto di sì. E da allora, tuttavia, non abbiamo sentito più niente da Hamas». La proposta consterebbe nella consegna di 500 prigionieri prima dello scambio e di altri 550 subito dopo. Uno scambio pesantissimo che però ha precedenti in svariati altri, compiuti da primi ministri con gli Hezbollah e con i palestinesi. Questo, molto gravoso, comprende anche la consegna di Marwan Barghouti, capo dei Tanzim, condannato a cinque ergastoli per i suoi attacchi terroristici.
Ma Hamas, che nega che lo scambio sia stato davvero accettato, si è fatto invece vivo con un video spaventoso col quale si cerca di riempire cinicamente di orrore il pubblico israeliano: si vedono scene fittizie in cui un attore che interpreta Gilad, incatenato e distrutto, soffre rinchiuso e trascinato, qualsiasi tormento.
Un video così ci ricorda appieno che cosa è Hamas: l’organizzazione con cui Fatah è intenzionata a formare un governo di coalizione palestinese, la stessa che domina Gaza cui la flotilla in partenza dalle coste greche pretende di voler portare aiuto umanitario rischiando un grande incidente internazionale.
Netanyahu due giorni fa ha sospeso i privilegi che le carceri israeliane concedono ai condannati per terrorismo, come compiere studi accademici o ricevere le famiglie o le organizzazioni internazionali, e insomma godere dei diritti dei prigionieri di guerra che certamente Gilad non ha. Ciascuno compie le sue disperate inutili mosse di fronte alla crudeltà istituzionalizzata di un gruppo con cui stati e organizzazioni internazionali vogliono dialogare in quanto «eletto democraticamente». Ieri l’organizzazione che si batte per la liberazione di Gilad Shalit ha organizzato uno «zinok» come si dice in ebraico, ovvero un carcere, un buco oscuro, sporco e con un cesso scassato in un angolo, la copia possibile del luogo in cui Shalit è detenuto da anni: cantanti, attori militari, politici vi hanno passato un’ora ciascuno in solitudine, pensando a Gilad. E la famiglia ha chiesto ai connazionali di votare se sono favorevoli o no allo scambio per la sua liberazione, con un messaggio al «5252». Di Gilad le ultime notizie si sono avute due anni fa con un video in cui il ragazzo mostra un giornale con la data del giorno, chiede di essere aiutato, mostra il suo pallido viso di ventiduenne all’inferno con una smorfia di timidezza simile a un sorriso. La sua famiglia, che vive in un villaggio fiorito del nord ha già perso il fratello di Noam nella guerra del ’73, e ha un’educazione così elevata da impedirgli finora di mostrare in pubblico il dolore. Ma ormai il suo grido è incontenibile di fronte a un nemico selvaggio che non ha permesso neppure che il figlio fosse visitato dalla Croce Rossa. Netanyahu ripete, e a ragione, che la responsabilità del governo è anche evidentemente quella di evitare che lo scambio porti a stragi di cittadini per mano dei terroristi liberati. Nulla è chiaro, fuorché il dolore. Roma che ha messo il ritratto di Shalit nella piazza del Campidoglio ha dato un bell’esempio di come il mondo dovrebbe comportarsi di fronte all’orrore. Israele non dovrebbe essere lasciato solo, né la famiglia di Gilad e neppure Netanyahu, con una responsabilità che è del mondo intero: restare forti e attivi di fronte alla ferocia del terrorismo islamista.
DA: Il Giornale.
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