La figura del terzo patriarca, Giacobbe, è quella che occupa il quadro offertoci da questa Parashà, quadro movimentato e vario nel quale si svolgono le complesse e talvolta drammatiche vicende della vita di questo padre della stirpe. La lotta per l’esistenza, per l’affermazione dei principi morali di cui si sentiva depositano, la lotta per la conquista di quei beni materiali necessari allo sviluppo e alla applicazione di quei principi morali, questa lotta, questa incessante contesa con le avversità degli uomini e talvolta con quelle della sorte, è come il tratto caratteristico nella vita di questo tipo di eroe.

E vita eroica fu la sua. C’è un divario immenso tra il tenore di esistenza di Abramo e di Isacco e quello di Giacobbe: quelli conoscevano solo il lento vagare delle migrazioni da luogo a luogo, in terra di Canaan; sono sempre vicini alla loro tenda, alla loro casa, alla loro famiglia, la loro vita si svolge in un’atmosfera di dolce e serena tranquillità; ma per Giacobbe è l’opposto: fin dai primi anni della sua gioventù egli deve imparare a conoscere l’amarezza della lotta, la lontananza dal domestico focolare, la vita errante fuori della terra nativa e soprattutto l’inimicizia e la malafede degli uomini. È forse perciò che Giacobbe è diventato il padre diretto della stirpe di Israele, è lui che ha dato questo nome glorioso alla gente che da lui discende, è lui il padre della stirpe, perché è con lui che più si può assomigliare la tormentata e amara vita del popolo di Israele: vita di sacrifici, di lotte. Era questa, dunque la primogenitura, il primato morale che questo figlio di Isacco si era liberamente scelto! Era dunque la elezione a una vita di rinuncia e di lotte, non già la brama di possessi e di ricchezze che il fratello Esaù poteva contestargli. Non ricchezze, non beni terreni, ma il semplice bastone del pellegrino, lo accompagna quando un giorno egli dice addio alla casa di suo padre e di sua madre, per andare lontano. E questo viaggio egli intraprende per crearsi col proprio lavoro, col proprio sacrificio una casa, una famiglia, quella casa e quella famiglia che saranno il seme della gente ebraica. Ecco perché quando si vuole indicare la gente d’Israele si dice non casa o discendenza di Abramo o di Isacco, ma casa o discendenza di Giacobbe o d’Israele “beth Ja’akov” casa di Giacobbe, non Stato, non popolo, non nazione: casa questo dolce e santo nome è quello che consacra per i secoli il sorgere della gente ebraica; Giacobbe affronta tutti i pericoli, tutti i disagi, tutte le delusioni per questo grande scopo che è quello di costruire un casato, una famiglia. Egli incontra su questo cammino due dolci figure di donne che sono le madri Rachele e Lea: sono, queste, due figure femminili che accompagnano la sua nuova vita, ma è soprattutto per amore di Rachele che egli saprà tollerare e superare gli inganni e le subdole manovre dell’astuto Labano. Era sfuggito all’ira e ai propositi di rappresaglia del fratello Esaù, che incontra su questa nuova terra un secondo e più temibile Esaù: Labano. Ma il forte patriarca sa vincere le ostilità e l’inimicizia degli uomini; egli sa che la Divina Giustizia veglia su di lui, egli sa che la promessa di Dio annunciatagli in Bet-El nella visione della Scala Celeste, egli sa – dico – che quella promessa sarà attuata; là Iddio gli aveva detto: “ecco Io sono con te”: tu non hai nulla, non amici, non ricchezze, non onori, ma hai tutto, perché io sono con te, “Io ti proteggerò ovunque tu vada”.

Quella divina promessa, Giacobbe la vede attuarsi a poco a poco, come sole di vita che sale lento e sicuro all’orizzonte. Gli anni in casa di Labano sono duri: egli lavora ed è solo il suo lavoro costante e diligente che apporta la benedizione alla casa del suocero; egli lavora perché la sua tempra è quella del lavoratore e del costruttore; egli ha questa grande ricchezza: la forza del corpo insieme a quella dello spirito; egli lavora e crea: crea una casa; le greggi si moltiplicano, gli armenti prolificano numerosi, e anche “la benedizione della casa”, i figli, si fa sempre più copiosa: ad uno ad uno, come teneri virgulti, spuntano le nuove gemme che saranno un giorno le tribù d’Israele; spuntano e fanno corona al padre. La casa d’Israele è già una realtà, Giacobbe la vede crescere dinanzi a sé, vede che la promessa di Dio è con lui e prepara ai figli quella naturale ricchezza delle greggi che dovrà essere un giorno la base della loro vita. Prepara tutto ciò e si dispone, dietro l’annuncio di Dio, al ritorno alla casa di suo padre e alla terra della sua nascita; ma ecco che la celata sua partenza suscita lo sdegno del calcolatore Labano che nell’allontanamento di Giacobbe vede scomparire la fonte principale della sua nuova prosperità.

Ed ecco la fuga e l’inseguimento: uno dei punti più drammatici di questa storia: ecco qui Labano rimproverare Giacobbe e quasi accusarlo di avergli portato via tutto, gli armenti, le figlie, gli dèi. Nel concitato colloquio che ne segue e nella risposta accorata di Giacobbe è come la sintesi di questa prima parte della sua vita: “per vent’anni sono stato con te… non una delle tue pecore o delle tue capre è stata orbata dei suoi figli; non ti ho portato mai un animale sbranato, sono stato io a ripagarlo… di giorno il sole mi ha consumato e di notte il gelo, e i miei occhi non conobbero il sonno; ho passato vent’anni in casa tua, ti ho servito quattordici anni per le tue figlie e sei per le tue pecore, ma tu mi hai cambiato dieci volte i patti; se Iddio di mio padre, Iddio di Abramo, il timore di Isacco, non fosse stato con me, tu mi avresti lasciato partire a mani vuote; ma Dio ha veduto i miei patimenti le mie fatiche e ti ha ammonito… ” (Gen. XXXI, 38-42).

In questo grido dell’onestà colpita è come un pianto che resta serrato nella gola; ma in questa protesta del patriarca noi sentiamo anticipata la protesta dei figli, dei lontani figli di lui che alle accuse degli uomini rispondono con la cosciente voce dell’onestà, del lavoro e della probità; in quella protesta è l’eco dell’unica difesa che i figli d’Israele possano sostenere dinanzi ai loro accusatori; in quella protesta è la voce d’Israele che colpito e accusato ingiustamente, risponde con la coscienza della propria vita onesta, richiamandosi a Dio quale Giudice inappellabile, a quel Dio che come vide i patimenti e le sofferenze dei padri, così saprà vedere le pene dei figli e al loro grido risponderà come già all’avo Giacobbe: “Io sono con te, Io ti proteggerò ovunque tu andrai” (Gen. XXVIII, 15).

 

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