http://digilander.libero.it/parasha/archivio%2063/6304.htm

E disse Avraham: ‘Poichè ho detto: ‘non c’è soltanto il timore di D. in questo luogo e mi uccideranno a causa di mia moglie.’’” (Genesi XX, 11)

“E disse non mandare la tua mano verso il ragazzo e non fargli nulla, poiché ora so che tu temi Iddio e non hai risparmiato il tuo figlio, il tuo unico, da me.” (Genesi XXII, 12)

Dopo aver ricevuto il precetto della milà nel capitolo XVII della Genesi, Avraham riceve nel capitolo XVIII due annunci: la nascita di Izchak e la distruzione di Sdom. Occupandosi la Torà della distruzione di Sdom al capitolo immediatamente successivo (XIX), sarebbe stato logico che proseguisse poi con la nascita di Izchak ed i successivi eventi della ‘Legatura’.

Rav Mordechai Elon shlita nel suo Techelet Mordechai (Vajerà, III) sottolinea come la Torà separi invece questi due grandi eventi con un passo che generalmente trascuriamo ma che è invece cruciale per la comprensione dei successivi eventi.

Si tratta dell’episodio di Sarà ed Avimelech che cercheremo di capire proprio attraverso la lettura che ne dà il Techelet Mordechai.

“E partì Avraham da lì verso la terra del Neghev e risiedette tra Kadesh e tra Shur ed abitò in Gherar. E disse Avraham di sua moglie : ‘È mia sorella’ e mandò Avimelech re di Gherar e prese Sarà” (Genesi XX,1-2)

Rav Elon sottolinea che qui è Avraham a dichiarare Sarà sua sorella laddove in Egitto aveva chiesto a Sarà di dichiararsi sorella di Avraham. Sembra quasi che Sarà, pur acconsentendo, non abbia più la forza di ripetere nuovamente la recita.

Anche se Rashì, basandosi su Bavà Kammà 92a è piuttosto critico nei confronti di Avimelech dicendo che ci si occupa dell’ospitalità con un forestiero e non con sua moglie o con sua sorella, la Torà ed i nostri Saggi non ci dipingono Avimelech in maniera particolarmente negativa, anzi.

Nei versi successivi la Torà ci racconta di come Iddio apparve ad Avimelech in sogno intimandogli di non toccare Sarà giacché è sposata. Avimelech dichiara la sua totale buona fede: ha chiesto a lui, ha chiesto a lei, e, aggiungono i Saggi, ha chiesto a tutti i servi ed a tutti i cammelli e gli asini di Avraham. Tutti hanno detto che Sarà è sorella di Avraham. Ed il testo stesso non solo dice che Avimelech non l’aveva ancora toccata, (Rashì in loco dice che l’Angelo glielo aveva impedito) ma anche che il Signore stesso certifica la buonafede di Avimelech.

I nostri Saggi non hanno trascurato quanto la Torà ci dice di Avimelech. Nel Midrash Haggadol (Bereshit XX, 6) troviamo:

“‘Non ti ho permesso di toccarla’ da qui hanno detto: ‘Chiunque proceda con perfezione e con rettitudine, il Santo Benedetto Egli Sia lo salva da ogni trasgressione e gli angeli lo preservano affinché non pecchi come è detto (Salmi XCI,11) ‘Poiché i suoi angeli comanderà su di te per sorvegliarti in ogni tua strada’”

Ed ancora Rabbenu Efraim, Maestro delle Tosafot,:

“Anche Io so [che hai fatto questo in buonafede], da qui c’è un appoggio per quanto hanno detto i nostri Maestri, sia il loro ricordo di benedizione, (TB avodà Zarà 55a): ‘Colui che viene a purificarsi lo si aiuta’….”

Nella continua lotta di ognuno di noi contro il proprio istinto Iddio ci aiuta solo se noi dimostriamo di voler imporci sul nostro istinto. Lo impariamo da Avimelech il quale non voleva prendere in moglie una donna sposata ed Iddio lo aiuta e gli impedisce di peccare.

Ma è quanto avviene l’indomani che è particolarmente significativo. Avimelech si alza di buon mattino e convoca i suoi servi per metterli al corrente della situazione. La loro reazione viene descritta dalla Torà come ‘e temettero gli uomini molto’.

Avimelech convoca quindi Avraham e gli pone la più evidente delle domande:

“che cosa ci hai fatto! Ed in cosa ho peccato contro di te sicché hai portato su me sul mio regno questo grande peccato? Cose che non si fanno hai fatto con me.” (Genesi XX, 9)

Avraham tace. Probabilmente non c’è risposta per Avimelech. Avraham non ha nulla contro Avimelech, anzi. Ma il problema non è Avimelech. Dinanzi al silenzio di Avraham, Avimelech incalza cambiando significativamente la sua domanda.

“E disse Avimelech ad Avraham: che cosa hai visto, sì da fare questa cosa?” (ivi,10)

Era questa la domanda che aspettava Avraham. Non quali sono le cause contingenti, ma qual’è la filosofia che c’è dietro. Non cosa c’è che non va in Avimelech, cosa non va in senso assoluto. Ed è lapidario Avraham.

“E disse Avraham: ‘Poiché ho detto: ‘non c’è soltanto il timore di D. in questo luogo e mi uccideranno a causa di mia moglie.’’” (Genesi XX, 11)

Avraham non indirizza qui la sua risposta ad Avimelech. Parla a tutti, parla a noi.

Il problema è la cultura. È la cultura dell’assenza del timore di D. La morale diffusa tra i re dell’epoca bandiva nella maniera più categorica che venisse presa dal re una donna sposata. I re allora, se si invaghivano di una donna, uccidevano il marito e la prendevano poi in moglie. Per questo Avraham dichiara sua sorella Sarà tanto qui quanto in Egitto e lo stesso farà Izchak.

Ci sono degli aspetti positivi nella cultura di Gherar, per esempio la considerazione che si dà alla fedeltà coniugale. Certo poi che sul ‘non uccidere’, si è un piuttosto permissivi!!!

Nel mondo occidentale, nel quale viviamo, la situazione è opposta, c’è una condanna morale dell’omicidio ed una sostanziale tolleranza per l’immoralità sessuale.

In entrambi i casi manca quello che Avraham chiama il solo timore di D. Il puro timore. Ci sono delle regole morali contingenti, fatte dall’uomo per appagare la volontà dell’uomo. Ci sono contratti sociali. Non c’è timore di D..

Solo dopo aver chiarito questo punto Avraham risponde alla seconda domanda dicendo che inoltre Sarà è anche sua sorella da parte di padre ma non da parte di madre, cosa palesemente falsa giacché Sarà era nipote di Avrham (figlia del fratello Haran e sorella di Lot), e non sorella.

Ed è straordinario l’Ibn Ezra: “E ciò che pare giusto ai miei occhi è che ha respinto Avimelech con parole secondo l’esigenza del momento.”. Ossia dopo aver spiegato il pilastro morale sul quale si basa la sua scelta, ed averlo spiegato soprattutto a noi, Avraham è conscio che Avimelech non può capire questo principio ed interviene quella che sia chiama forza maggiore.

Avimlech accetta le spiegazioni ed anzi chiede ad Avrham di stanziarsi definitivamente nel suo regno (lashevet=risiedere). Avraham accetta di abitare (lagur) nel suo regno, non di risiederci.

Avimelech non è un personaggio particolarmente malvagio. Anzi. I Saggi nel Psikta Zuta lo definiscono un Chasid Umut HaOlam, un pio tra le nazioni del mondo, in quanto desideroso di risiedere vicino ad un giusto come Avraham. Ma con tutta la buona volontà e la buona fede del mondo Avimelech è immerso nella cultura cananea e nei suoi abomini.

Il trattato di Avodà Zarà (19a) analizza il primo Salmo come una descrizione di Avraham,

“’Beato l’uomo che non va nel consiglio dei malvagi.’ Questo è Avraham che non va nel consiglio della generazione della dispersione (della Torre). ‘E nella strada dei peccatori non sta’ che non sta a Sdom, e nella residenza dei derisori non risiede, che non ha risieduto in maniera permanente nel luogo di residenza dei filistei dal momento che erano derisori. Questo è Avimelech che ha detto ad Avraham ‘ecco la mia terra dinanzi a te’ e non ha accettato. ‘Ma che invece nella Torà del Signore è il suo desiderio, che comanderà i suoi figli e la sua casa dopo di lui’”

E dunque con Avimelech che non è malvagio né peccatore, si può andare e stare, ma non ci si può risiedere assieme in maniera permanente. Risiedere in un luogo significa edificarci, significa identificarcisi.

La terra di Avimelech è il posto migliore in Erez Kenaan, forse anche il più “per bene” che ci sia. È il luogo giusto per farci crescere Izchak, ma nella consapevolezza di colui che abita temporaneamente, sapendo che aspira a tutt’altra società.

Avimelech ed i suoi sono tutto sommato gente per bene, con un solo viziaccio, la leizzanut. La derisione della radice di santità come risultato dell’impulso sessuale. Di quella sottile compiacenza e comprensione nei confronti dell’istinto sessuale che porta anche all’omicidio. Ed il mondo moderno ed occidentale di oggi è pieno di brava gente, di grandi politici e grandi uomini di cultura tra i quali magari si vive molto bene in maniera temporanea, ma con i quali non possiamo identificarci risiedendo in maniera stabile perché da loro ci separa quella pudicizia, quella radice di santità sessuale che è nella casa di Jacov, che ci impone tolleranza zero nei confronti dell’immoralità sessuale.

Ed è con questo in mente che possiamo capire il senso della legatura di Izchak che incontriamo alla fine della Parashà. Il passo di Avimelech è propedeutico in quanto ci indirizza nell’ottica ebraica del timore di D.. Giacché la Legge non è un contratto sociale che ci siamo modellati a nostro piacimento. Non è un insieme di regole che mi vincola sull’adulterio e che raggiro con l’omicidio né un insieme di regole che mi vincola sull’omicidio e che raggiro con la distruzione della radice di santità che c’è nell’immoralità sessuale in genere e nell’adulterio in particolare.

La Torà, la Legge, è il volere di D. dinanzi al quale noi ci dobbiamo piegare. Il Nazziv di Volozin nel suo Emek HaDavar individua nel silenzio di Avraham la grande prova. Nel non chiedere il perché. Nell’eseguire in silenzio. E spiega Rav Elon che questo è particolarmente contro tendenza. Avraham è proprio colui che in genere discute, anche animosamente con D.. E noi poi veniamo educati fin da piccoli a chiedere il motivo. A ricercare le radici e le motivazioni.

Spiega Rav Elon che se Iddio avesse chiesto ad Avraham di immolare Izchak in quanto peccatore o in quanto Iddio lo vuole morto, Avraham avrebbe lottato fino alla fine. È dinanzi alla richiesta delle primizie che Avraham non ha nulla da dire. ‘Presentami tuo figlio poiché è mio’. E dinanzi alla richiesta del padrone cosa si può dire?

Eppure la prova non si conclude col silenzio a priori, è necessario il silenzio a posteriori.

“E disse non mandare la tua mano verso il ragazzo e non fargli nulla, poiché ora so che tu temi Iddio e non hai risparmiato il tuo figlio, il tuo unico, da me.” (Genesi XXII, 12)

È dopo la legatura, dopo aver fermato la mano di Avrham che si rivela il timore di D. di Avraham.

Rashì a nome di Rabbì Abbau è monumentale nel descriverci il dilemma interiore di Avraham:

‘Ieri hai detto ‘poiché in Izchak verrà chiamata la tua discendenza’ , poi hai detto ‘Prendi per favore tuo figlio’. Ora mi dici ‘non mandare la tua mano verso il ragazzo’? Gli ha detto il Santo Benedetto Egli Sia ‘Non profanerò il mio patto e quanto è uscito dalle mie labbra non cambierò. Quando ho detto prendi, quanto è uscito della mie labbra non cambierò. Non ti ho detto ‘scannalo’ ma ‘fallo salire’. L’hai fatto salire? Fallo scendere!’

Qui è la prova, nel saper far scendere Izchak dall’altare. Nel capire che la prova era nella sottomissione dell’io e non nell’aspersione del sangue. Ed i nostri Saggi hanno individuato la difficoltà di questo momento dicendo che Avrhaham avrebbe almeno voluto far uscire un po’ di sangue ad Izchak. Ed Iddio lo ferma.

E sottolinea Rav Elon che la grande domanda, che è anche la somma prova per Avraham è cosa si fa allora con tutta la forza spirituale che si è accumulata nei tre giorni di preparazione. Non si può andare a casa senza aver fatto nulla.

Ecco allora il montone. Il montone rappresenta la corretta canalizzazione del desiderio di servire il Signore, ma è la volontà di Avraham che trasforma il montone nell’effettiva offerta si suo figlio sull’altare. (Rashì)

Rav Elon sottoliena come il Rashbam individui la radice del montè Morià nella parola Emorì. Il Monte Morià è il monte degli Emorei che bruciavano i propri figli nel culmine dell’estasi personale del loro culto. Quel monte Avraham lo deve trasformare le monte Morià della radice di Orà, insegnamento. Deve trasformarlo nel monte del Santuario e del Sinedrio attraverso un montone.

Ma bisogna capire la sfida:

Rashì fa chiedere ad Avraham: Se è così sono venuto per nulla? Il Signore risponde, dice Rav Elon,

‘Non sei venuto per nulla, sei venuto per rivelare che ognuno ha il suo montone impigliato nel cespuglio con le sue corna, che sta lì dai sei giorni della creazione e che chiede di essere fatto salire nuovamente alla sua fonte.’

Il compito dell’ebreo è quello di innalzare il mondo. Ed Avraham innalza il monte intitolato al popolo che nell’estasi sessuale raggiunge un livello tale di abbrutimento sì da bruciare il proprio figlio nel monte sul quale David, re Messia, dice “Poiché da te proviene tutto, e dalla tua mano noi te lo ridiamo.”

Capire che la prova non è salire sempre, è piuttosto saper scendere per innalzare il mondo. Questo è il timore del Signore di D. la cui assenza Avraham denuncia in casa di Avimelech e che Avraham proclama scendendo assieme ad Izchak dall’altare per alzare l’altare fino al cielo.

Ognuno di noi ha il suo montone impigliato, ognuno di noi ha la sua legatura di Izchak da superare. Impariamo da Avraham ed iniziamo a scendere.

Shabbat Shalom,

Jonathan Pacifici

Questa derashà è dedicata ad Andrea Asher ed Oshrit Spizzichino in occasione delle loro nozze con l’augurio che la simchà li accompagni ogni giorno della loro vita.

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“E disse Avraham: ‘Poichè ho detto: ‘Solo non c’è timore di D-o in questo luogo, e mi uccideranno a causa di mia moglie’. Ed anche comunque è mia sorella, figlia di mio padre, ma non figlia di mia madre, e mi fu in moglie. E fu, quando mi fece peregrinare D-o dalla casa di mio padre e dissi lei: ‘Questo è il chesed (bontà) che farai verso di me, in ogni luogo nel quale giungeremo dì a me (di me): ‘È mio fratello”” (Genesi XX, 11-13)

“è mia sorella, figlia di mio padre: e la figlia da parte di padre è permessa al Noachide, perchè “un gentile non ha padre” [TB Sanedrhin 58b], e per comprovare le sue parole ha risposto così. E se dovessi dire: ‘Ma non era figlia di suo fratello?’ Ecco che i figli dei figli sono come figli, e dunque lei è figlia di Terach, e così dice [Avraham] a Lot: ‘Perchè noi siamo uomini-fratelliì” (Rashì in loco)

Abbiamo più volte detto che il mondo è stato creato per merito ed in funzione di Avraham. Avraham nostro padre è caratterizzato dalla dimensione di chesed, la bontà. Il profeta Michà dice espressamente (VII,20): “dai verità a Jacov, bontà [chesed] ad Avraham” e nei Salmi troviamo: “Poichè ho detto: ‘Il mondo si costruirà sul chesed…”. I Saggi legano questo verso alla figura di Avraham. A controprova di ciò noi utilizziamo proprio questo ultimo verso per introdurre la prima delle sette hakkafot di Hoshaanà Rabbà, che corrisponde al primo dei sette ospiti di Succot, Avraham. La bontà, il chesed, è dunque la prima delle Sefirot, delle “qualità” di D-o apprezzabili dall’uomo ed è anche il primo passo nel servizio dell’Eterno.

Ma che cos’è il chesed? Che significa bontà? Il Rav Dessler (Mictav MeEliau I, 32, 140) sostiene che ci sono due modalità nell’uomo: il dare ed il prendere. La creazione del mondo è per definizione un dare di D-o all’uomo. Iddio crea il mondo per far del bene all’uomo, Lui benedetto sia non ha bisogno di nulla. L’immagine Divina secondo la quale è stato creato l’uomo è dunque la capacità di dare. Ogni cosa buona che è nel mondo proviene dalla capacità di dare, ogni buona azione è un dono: dunque chesed, bontà, è dare. Di contro il prendere è male. Rav Dessler dice che ‘ogni imperfezione viene dalla radice del prendere che essa è fonte di ogni desiderio’. Prendere è attirare in se, dare è beneficiare gli altri. I Saggi non solo sono attenti a prendere solo quanto è strettamente necessario ma anzi sono sempre attenti a prendere proporzionalmente allo sforzo. Molti tra i grandi Maestri rifiutavano doni, in conformità di quanto è scritto nei Proverbi (XV,27): ‘Colui che odia i regali vivrà’ Prendere è atto di egoismo, di amore per se stessi. La sfida è quella di percepire che non c’è differenza tra me ed il prossimo. Questo è quanto diceva Hillel il Vecchio (TB Shabbat 31 a) “Quello che è odioso a te, non farlo al tuo prossimo, questa è tutta la Torà, il resto è commento, vai e studia.” Il Rav Dessler sottolinea i due aspetti dell’insegnamento: il concetto profondo che è tutta la Torà e il resto che è commento, vai e studia.

“Colui che studia un concetto profondo senza il suo commento sbaglia facilmente; ma colui che studia il commento senza guardare all’interiorità del libro, non è possibile che capisca affatto. Così è il valore della Torà e delle mizvot di colui che è nella dimensione del prendere. Giacché chi è sommerso nella dimensione del prendere ecco che nel profondo del suo cuore è un eretico, e le mizvot di un eretico certamente non rientrano nella categoria delle mizvot affatto. Tutte le sue azioni sono nella categoria di colui che ‘studia il commento senza l’interiorità’, che è tutto errore, e non ha studiato nulla.” (Mictav MeEliau I, 142)

Il Rav Dessler entra nella profondità del cuore dell’uomo e ci insegna che non basta fare le mizvot! Bisogna capire che ad un livello profondo queste sono dare. E mai prendere. Il dare non è come erroneamente si pensa una conseguenza di un sentimento, io do a colui che amo. Niente affatto. Dare è la premessa per poter amare. Si arriva ad amare veramente solo colui al quale si da. E si può amare una persona specifica solo se si sa amare l’uomo in quanto tale. “ciò che l’uomo dà al suo prossimo non si perde da lui, ma anzi è la espansione del proprio essere, perché sentirà che c’è una parte di se nel suo prossimo al quale ha dato. Questa è la devekut (l’attaccamento) tra l’uomo ed il suo prossimo, che viene chiamata col nome di ‘amore'” (ivi, 37). È per questo che Rabbì Akivà, che ha visto lo sterminio dei suoi allievi che non avevano capito la dimensione del dare l’un l’altro, sostiene che il verso ‘Ed amerai per il prossimo tuo come per te stesso’ è il grande concetto della Torà.

Dice in proposito il Ramchal in Messilat Yesharim (XI) “come per te stesso, senza alcuna distinzione…come per te stesso proprio!”. Commenta il Rav Dessler: ‘Perchè nella tua anima troverai che tu e lui siete una cosa sola, e proverai una chiara sensazione che egli è per te come te stesso’.

La Torà ha un cuore, la dimensione del dare. Nel tentativo paradossale di sintetizzare il progetto del mondo, quella cosa che deve occuparci giorno e notte, in una frase che può essere insegnata stando su un solo piede Hillel il Vecchio e Rabbì Akiva non trovano altro che il dare al prossimo. Il mio Maestro Rav Chajm Della Rocca shlita ricorda spesso che la prima e l’ultima parola delle dieci parlate sinaitiche formano l’affermazione: ‘Anochì LeReechà’, proprio io sono per il tuo prossimo. Rabbì Saadià Hagaon sostiene che nelle dieci parlate sono accennate tutte le 613 mizvot (in 613 caratteri). Ebbene se potessimo fare il riassunto del riassunto ne resterebbero due parole, non una. Due perché due è la dimensione umana: il dare al prossimo. Trasformare l’Anochì, la parte più profonda dell’Io, nel LeReecha, per il tuo prossimo.

Nel Midrash Rabbà (Bear Sinai XXXIV,8) Rabbì Simon a nome di RabbìEliezer riporta quattro categorie di chesed e le lega a quattro eventi Biblici. Ed il Rav Dessler ne espone il senso profondo del Midrash in Mictav MeEliau (II,178)

1) Chi è che ha fatto chesed con chi non ne aveva bisogno? Avraham con gli Angeli del servizio. La bontà (chesed) è diversa dalla misericordia (rachamim). Spiega il Cohvat HaLevavot che colui che fa del bene al prossimo perché prova compassione non fa della bontà ma della misericordia. Ossia agisce in virtù di cause esterne. È bene aver misericordia, ma non basta. Bisogna avere chesed, ricercare il dare al prossimo come radice profonda di ogni nostra azione al servizio di D-o. In Avot DeRabbì Natan Iddio spiega a Jov la differenza tra il suo comportamento e quello di Avraham (secondo alcuni Giobbe visse appunto all’epoca di Avraham come abbiamo ricordato negli scorsi anni). Mentre Jov dà ai suoi ospiti cibi ai quali erano abituati (dava quello di cui c’era bisogno), Avraham dava ai propri ospiti anche quello a cui non erano abituati. Avraham è una continua ricerca del dare. Così quando Iddio fa uscire un forte sole e non ci sono viandanti (Rashì all’inizio della Parashà) Avraham se ne duole. Il fare del bene di Avraham non è una risposta alla necessità del prossimo è una condizione esistenziale, giacché quando il bene è risposta, non è risposta altro che ai nostri sensi di colpa. È quando è dare fine a se stesso che il bene è chesed. Da questo episodio e dal fatto che Avraham interrompe la rivelazione Divina per andare incontro ai viandanti i Saggi imparano che è superiore l’accoglienza degli ospiti alla ricezione della Presenza Divina. Questa è la profonda differenza tra Avraham e Noach. Noach procede con D-o che Rashì intende: aveva bisogno di un sostegno. Perché Noach è attaccato a D-o e non può pensare al prossimo. Avraham procede dinanzi a D-o e può permettersi di lasciare persino Iddio ad aspettare, se c’è da assistere il prossimo. Per merito dell’accoglienza degli Angeli di Avraham, Israele meriterà Manna, Nubi di Gloria ed il Pozzo di Miriam nel deserto.

2) Chi non ha fatto chesed con chi non aveva bisogno? Ammon e Moav con Israele. Spiega il Rav Dessler che apparentemente non è chiaro. Israele aveva la manna e l’acqua del pozzo e non aveva necessità del supporto di Ammon e Moav. Si può paragonare ad un ricco, che si può dare ad un ricco? Questa è la differenza tra chesed e zedakà (TB Succà 49). Si può dare anche ad un ricco, basta un sorriso. Il chesed va oltre la moneta di zedakà. C’è chi non ha bisogno di alcuna moneta, il ricco, ma magari necessita una parola amica. C’è poi il morto, che non necessita denaro e neanche sorrisi, ma solo una sepoltura decorosa da parte di chi sa che non potrà mai essere ricompensato per ciò. Occuparsi di un cadavere è la più alta forma di chesed. Ammon e Moav non fanno chesed con Israele e vengono puniti con la preclusione alla conversione. Non possono far parte di Israele in nessun caso. Ammon e Moav sono figli delle figlie di Lot. Le figlie di Lot sono secondo i Maestri la scintilla di chesed che è a Sdom. È per merito di Avraham, come abbiamo visto la scorsa settimana che da loro discende il re Messia. Ma Ammon e Moav popolo peccano proprio sul chesed. E dunque solo le loro donne, e non gli uomini, possono convertirsi e due donne giuste, Rut e Naamà possono dare i natali al Re Messia.

3) Chi ha fatto chesed con chi era in obbligo? Itrò con Moshè. Moshè aveva salvato le figlie di Itrò, il minimo che questi poteva fare era invitarlo a cena! Che c’è di straordinario? Inoltre i Saggi ci dicono che Itrò aveva i suoi buoni motivi per invitare a cena Moshè: era stato scomunicato dalla collettività di Midian e aveva bisogno di compagnia e magari di qualcuno che sposasse le sue figlie come effettivamente è stato. Ciononostante per merito di quell’accoglienza a Moshè meriterà che la sua discendenza venga risparmiata dal Re Shaul durante la guerra contro Amalek, ben trecento anni dopo. E spiega il Rav Dessler che la sensazione di ‘essere in debito’ è una grande qualità che deriva dalla capacità di dare e non viceversa. Dunque sentendosi in dovere Itrò dimostra di conoscere il senso del dare, dell’essere abituato a dare. La presenza di Itrò è centrale nel dono della Torà, ed anzi la parashà che descrive la rivelazione sinaitica prende il suo nome. Ed ecco che Moshè nel ricevere la Torà prende i connotati del volto di Avraham. (TB Succà 49b) Moshè che salva le figlie di Itrò in un atto di chesed contingente deve imparare da Avraham il chesed esistenziale. Quel chesed che è necessario per poter insegnare Torà, poiché i Saggi insegnano che la Torà di Chesed è la Torà che viene studiata per insegnarla al prossimo! (Abbiamo approfondito questo concetto nella derashà su Parashat Itrò 5761)

4) Chi ha fatto chesed con chi aveva bisogno di chesed? Boaz con Rut. Il Midrash sottolinea che Boaz diede a Rut pochissimo e sulla punta delle dita! E nonostante questo è scritto che lei mangiò se ne saziò ed avanzò! Rabbì Izchak spiega nel Midrash che ciò dipende dalla grandezza di Rut che era giusta. Spiega il Rav Dessler che il Santo Bendetto Egli sia accoppia il donatore con il giusto ricevente e che dal valore di chi riceve si può capire la vera dimensione di chi dà anche se per motivi contingenti in quell’occasione non ha molto da dare. In ogni caso non conta la quantità giacché dice il Midrash Rabbà : “Più di quanto il padrone di casa fa con il povero il povero fa con il padrone di casa, che così Rut dice a Naomì; ‘il nome dell’uomo con il quale ho fatto è Boaz'”. Ossia Rut ci insegna a rovesciare l’approccio. È il povero colui che fa del bene al ricco dandogli la possibilità di far del bene! Questa reciprocità tra povero e ricco è così profonda da essere la definizione del rapporto di complementarità e il prototipo di amore di coppia. Giacché l’amore dura in una coppia solo quando si capisce che dare e ricevere vanno oltre la materia e che si può dare molto sapendo ricevere e viceversa. Dall’unione di Boaz e Rut nasce il Re Messia. Ma non ci scordiamo che Boaz e Rut avranno un solo rapporto sessuale, perché all’indomani del matrimonio Boaz muore. Da qui i Saggi imparano la solerzia nelle mizvot. Se Boaz si fosse attardato non avrebbe avuto occasione di essere progenitore del Messia. (Abbiamo approfondito il concetto di chesed legato alla Meghillà di Rut ed ai natali del Messia nel commento alla Parashà di Bemidar 5761). E ricorderemo che Rut discende da Moav e quindi dalle figlie di Lot e dal loro “incesto” che viene riabilitato dal chesed che avevano imparato da Avraham. Le quattro modalità di chesed del Midrash hanno in comune un profondo legame con la figura di Avraham, proprio perché Avraham introduce nel mondo il concetto di chesed. Ma c’è un altro punto di contatto tra i quattro eventi: forse meno evidente ma senz’altro presente. Si tratta di quattro casi nei quali avvengono delle unioni sessuali problematiche o quanto meno discutibili: Avraham sposa Sarà che è figlia di suo fratello ma la definisce spessissimo sua sorella, Ammon e Moav sono il risultato di un incesto, Moshè sposa una Midianita e Boaz una Moabita. I Saggi hanno affrontato approfonditamente ognuno di questi quattro rapporti ed a ben vedere sono tutti legittimi o quantomeno giustificabili per quanto caratterizzati dal dubbio. Boaz è dubbioso perché non è stata ancora presa una decisione circa la halachà che riguarda le moabite, se possono convertirsi o no. Moshè diventa dubbioso circa la halachà di colui che va con una aramea, perché lui per primo ha sposato una Midianita (seppur dopo averla convertita). Le figlie di Lot hanno il dubbio che non ci sia più nessuno al mondo e decidono di permettere l’incesto per non far cessare il mondo. Avraham stesso ha il dubbio di essere ucciso per il fatto di essere sposato e definisce Sarà sua sorella. A controprova del fatto che il legame tra chesed e rapporti sessuali proibiti non è casuale leggiamo nella Parashà di Kedoshim a proposito delle unioni proibite: “Ed un uomo che prenda sua sorella, figlia di padre o figlia di madre e veda le sue nudità e lei veda le sue nudità, si tratta di chesed, e verranno recisi, agli occhi dei figli del loro popolo, la nudità di sua sorella ha scoperto, porterà il proprio peccato” (Levitico XX,17). Rashì commenta in loco citando il Midrash (Torat Coanim XI,11): “…e se dirai Kain ha sposato sua sorella, chesed ha fatto il Luogo di costruire il suo mondo da lui come è detto (Salmi LXXXIX,3) ‘Il mondo verrà costruito sul chesed'”. Sembra paradossale che il termine che indica la somma delle virtù umane venga usato dalla Torà per descrivere l’incesto! La Torà sa ovviamente quello che fa: ci sta insegnando il confine del chesed. Fin dove arriva l’obbligo di dare? Qual’è il suo limite?

Il Rav Dessler (Mictav MeEliau II,33) dice: “…il solo amore è pericoloso perché è possibile che sia accompagnato da un amore non kasher. Ad esempio colui che studia per il piacere dello studio solamente, senza l’obbligatorietà del timore, c’è il pericolo che entri nel suo cuore amore per altre cose che gli sembrino piacevoli. E persino nei livelli eccelsi c’è pericolo che all’amore di D-o si accompagni anche un altro amore….” Dunque se l’amore, la bontà del chesed, non è arginato dal timore, c’è pericolo che diventi amore di se stessi. Il rapporto di coppia è un dare continuo, sia nel senso fisico ma anche e soprattutto nel senso concettuale. Se non c’è timore di D-o, l’amore può eccedere in delle forme improprie che sono poi forme di amore per se stessi. La sorella è come se stessi. L’incesto è lo straripare del chesed oltre gli argini del Timore di D-o. E Rav Mordechai Elon shlita dice che il senso profondo del Timore di D-o è aver timore che il mio Io diventi un dio. L’idolatria del proprio io può essere presente persino in chi dà e trasformare la più sacra delle unioni paragonabile alla ricomposizione del Nome Sacro di D-o in un atto bestiale di incesto. I Saggi chiamano ciò il chesed dell’impurità. I Saggi ci stanno insegnando che in ogni occasione di chesed è insito il pericolo dello sconfinamento nel dare a se stessi, paragonato ad un rapporto proibito. La dimensione corretta del rapporto di coppia è allora un arginarsi a vicenda incanalando nella giusta direzione le forze del chesed. Questo sembrerebbe essere un compito particolarmente femminile.

Nel Talmud (TB Bavà Mezià 86 b) si dice che Avraham disse a Sarà di preparare un impasto per gli ospiti. Sarà chiese se doveva utilizzare farina ed Avraham rispose di usare fior di farina. Da qui i Saggi imparano che la donna è meno generosa con gli ospiti dell’uomo. Non si tratta però di una dimensione negativa, anzi. È la coscienza critica che argina il chesed. Lì, dice anche la Ghemarà, gli Angeli chiesero ad Avraham dove fosse Sarà per mandargli il bicchiere di vino sul quale era stata recitata la Birkat Hamazon.

In Sotà (38b) Rabbì Jeoshua ben Levì dice che non si dà il bicchiere della Birkat Hamazon da benedire altro che a chi ha un buon occhio, ossia, spiega il Rav Dessler, a chi è dominato dalla radice del dare. Gli Angeli stanno dicendo insomma che è la stessa radice del dare di Avraham che va arginata con la saggezza (binà) di Sarà. E che Sarà stessa è anche lei nella radice del dare anche quando limita Avraham. Avraham dice ‘venga presa un po’ d’acqua’, ed è strano che dica meat maim, poca acqua, quando non risparmia nulla ai suoi ospiti. Il mio Maestro Rav Chajm Della Rocca shlita dice in proposito che qui Avraham stesso ci insegna a limitare il chesed. Ossia che Avraham stesso è conscio che per definizione il chesed va arginato. Notevole il fatto che sempre il Talmud in Bavà Mezià (87a) dica che per merito di questa poca acqua Israele meriterà il pozzo di Miriam. Miriam sorella di Moshè, è colei che limita il chesed del fratello. Miriam protesta due volte nella storia. La prima con il padre Amram perché non ha più rapporti con Jocheved, la seconda con Moshè perché non ha più rapporti con Zipporà. Sebbene la prima protesta gli valga il titolo di Profetessa e la seconda gli infligga la zaraat (malattia della pelle), resta il fatto che Miriam si oppone a quelle scelte personali che secondo la sua prospettiva non tengono conto delle ripercussioni sul prossimo. E quanto è profonda la Torà: anche il rapporto tra Amram e Jocheved (zia e nipote) è dubbio e secondo alcuni dopo il dono della Torà viene sciolto. La poca acqua di Miriam è il tracciare la linea che separa chesed puro da quello impuro. Ed è un processo che ha iniziato Avraham, con l’aiuto di Sarà. Capiamo allora il senso profondo dei verso con cui abbiamo aperto e che abbiamo affrontato in altri termini lo scorso anno: “E disse Avraham: ‘Poichè ho detto: ‘Solo non c’è timore di D-o in questo luogo, e mi uccideranno a causa di mia moglie’. Ed anche comunque è mia sorella, figlia di mio padre, ma non figlia di mia madre, e mi fu in moglie. E fù, quando mi fece peregrinare D-o dalla casa di mio padre e dissi lei: ‘Questo è il chesed (bontà) che farai verso di me, in ogni luogo nel quale giungeremo di a me (di me): ‘È mio fratello”” (Genesi XX, 11-13).

Avraham capisce che nel mondo che ha partorito Sdom dove una delle figlie di Lot viene annegata nel miele e fatta mangiare viva dalle api per aver porto del cibo ad un povero, bisogna radicare in primis il concetto di chesed. Il nuovo mondo di Avraham si costruisce sul chesed. Ma Avraham è pilastro del mondo perché sa quanto sia pericoloso un mondo di solo chesed. Il mondo di solo chesed è quel mondo dove si ama il figlio Ishmael in quanto tale anche se fa idolatria, uccide ed è sessualmente immorale. E ci vuole Sarà per insegnare ad Avraham che il suo riso che è radice del nome Izchak è diverso dal riso di Ishmael e delle sue malefatte: anche se è la stessa parola, come per chesed. Il mondo di solo chesed è quel mondo nel quale il bene diventa buonismo gratuito che non porta da nessuna parte. Avraham vuole un argine. Ed è alla sua unica alleata che si rivolge: Sarà, vuoi essere parte nella costruzione del nuovo mondo? Vuoi fare chesed? ‘Questo è il chesed (bontà) che farai verso di me, in ogni luogo nel quale giungeremo di a me (di me): ‘È mio fratello’. La parte di chesed di Sarà è quella di ricordare ad Avraham che non c’è timore di D-o in questo luogo. E che senza timore il rischio è che la nostra unione ed il mondo che costruiamo con essa divenga abominevole come quella di un fratello con la sorella.

La donna è saggezza, binà. Quella forma di saggezza che viene dal verbo costruire, livnot. (TB Niddà 45 b). Quando il mondo va costruito da zero ci vuole chesed e ci vuole binà, quella parte di saggezza legata al timore di D-o.

Quanto è simile il ‘Poichè ho detto: ‘Solo non c’è timore di D-o in questo luogo’ di Avraham con ‘Poichè ho detto: ‘Il mondo si costruirà sul chesed…” che parla di Avraham e Sarà. ‘Ki amarti olam chesed ibbanè’, il Timore di D-o della saggezza costruttrice di Sarà (binà) edifica la bontà di Avraham. E capiamo anche Rashì allora che risponde alla nostra eventuale domanda su Kain che sposa sua sorella. Ma a chi importa di Kain? Il mondo prosegue con Shet, la discendenza di Kain viene cancellata con il diluvio. Ci importa di Kain perché solo una persona si salva dalla discendenza di Kain, Naamà moglie di Noach. E se non fosse per quell’incesto giustificato da ‘Il mondo si costruirà sul chesed…’, il mondo non sarebbe andato avanti. A Grar nascerà Izchak, quell’uomo che traghetterà il mondo ad un nuovo livello nel servizio Divino, quello del timore di D-o. E finchè Izchak non c’è è Sarà che deve ricordare ad Avraham, ‘È mio fratello!’ Il Midrash dice (Vaikrà Rabbà XXXVI) che quando si vede che i meriti dei patriarchi e delle matriarche si sono esauriti bisogna attaccarsi alla misura del chesed.

Rav Ovadia Josef shlita paragona questi meriti ad una cassa dalla quale ogni generazione prende quanto serve, ma prima o poi la cassa si svuota. E dice che il Midrash parla proprio della nostra generazione. Isaia dice infatti nella Haftarà di Noach: “Poichè i Monti si staccheranno [i] e le valli sprofonderanno [le matriarche] ma la Mia bontà da te non si staccherà ed il patto della mia pace non sprofonderà, detto del tuo misericordioso il Signore.” (LIV). Quando il merito dei padri e delle madri non regge più e non siamo in grado di emulare le loro azioni rimane solo da attaccarsi ai loro attributi, la bontà.

Se sapremo dedicarci al chesed, otterremo chesed dall’alto, misura secondo misura. Allora si rivelerà il Re Messia discendente di Naamà, delle figlie di Lot, di Miriam e di Rut discendente spirituale di quella figlia di Lot trucidata a Sdom il cui grido di dolore ha scosso i Cieli.

I mattoni del Mondo Futuro sono fatti di chesed, e la costruzione del Terzo Santuario, può iniziare ora.

Shabbat Shalom,

Jonathan Pacifici

 

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