[b]Intervista di Isabella Cairoli[/b] – luglio 2010

Nato nel 1932 a Czernowitz, Aharon Appelfeld sopravvive alla Shoah, perdendo molto presto igenitori a causa delle persecuzioni naziste. Riuscendo a fuggire da un campo di concentramento, sirifugia nei boschi ucraini per nascondere la sua origine ebraica e, al termine della seconda guerramondiale, raggiunge Israele. Oggi vive a Gerusalemme.
È possibile leggere il suo ultimo libro edito in Italia da Guanda – 'Un'intera vita'- anche come una lunga, commossa e composta dichiarazione d'amore e nostalgia alla propria famiglia perduta, in particolare alla figura di sua madre.

[Foto di Sara Moiola]

Dolcissimo commiato da lei, d'improvviso sottratta alla sua vita per ragioni non del tutto comprensibili, inghiottita da un'oscura ombra non intelligibile, come alla piccola Helga, la protagonista, che si ritrova a dover decifrare una realtà comprensibile solo a tratti, da mezze parole pronunciate dai contadini, dalla zia, dagli abitanti delle campagne: l'ebreo è 'una specie diversa di uomo, assomiglia agli uomini in tutto, ma c'è qualcosa di occulto e misterioso in lui, che lo rende diverso. L'ebreo non si rende conto della propria diversità, solo quelli che gli stanno incontro la percepiscono e ne hanno ribrezzo' (tratto dal suo libro Un'intera vita)

Helga – figlia di un'ebrea convertitasi per sposare un cattolico – è poco più di una bambina quando si ritrova sola in un mondo di adulti, che paiono non avere né tempo né alcuna voglia di occuparsi di lei, delle sue domande e paure. Torna anche in questo ultimo suo romanzo la lettura del mondo attraverso gli occhi di una giovane protagonista, a cavallo tra l'infanzia e la vita adulta. Sullo sfondo ma al contempo penetrante come l'oscurità nei rami di un bosco a sera, è la guerra. Una macchia lontana, i cui tentacoli arrivano a carpire vite sin dentro una benestante casa di campagna, nascosta tra le colline tedesche.Bambini che riescono ad afferrare solo brandelli dell'incubo, ancor più terribile da attraversare in parte senza una voce amica, o il conforto familiare: anzi, proprio nelle trame di una stessa famiglia paiono potersi annidare i semi di quell'antisemitismo delle piccole masse, mormorante e silenziosamente complice, senza forse rendersene conto, allo srotolarsi dei piani attuativi della cosiddetta 'soluzione finale'. Bambini con una forza d'animo incredibile, in grado di portare sulle loro piccole ed inconsapevoli spalle anche una possibilità di futuro oltre il non raccontabile; bambini abbandonati a sè stessi, soli accanto a figure adulte non in grado di spiegare la guerra, dicapire loro e sé stessi.In diversi passaggi del libro viene molto naturale pensare al piccolo Aharon, rimasto presto orfano dopo l'esplosione della furia nazista, solo al mondo e fuggiasco nei boschi ucraini per nascondere le sue origini ebraiche, aggrappato alla vita anche grazie ai ricordi dei suoi genitori e dei nonni che lo ospitavano nelle lontane estati serene tra il verde dei Carpazi.Nel paesaggio di un mondo ormai resosi illeggibile dal buio che soffoca presto le certezze di un'infanzia – l'amore e l'interesse del padre della piccola Helga che paiono sciogliersi, assieme a quello per la moglie, alla luce del nero sole nazista, la loro sicurezza economica legata alla fattoria, la vita scolastica – emergono figure di una purezza e rettitudine d'animo in grado di trasmettere al lettore la sensazione di ritrovarsi in un santuario. Teresa, la suora che segue la formazione scolastica Helga nel periodo in cui la piccola viene nascosta dalla zia, risveglia in lei un senso religioso che la sosterrà verso la ricerca della madre e le proprie radici ebraiche: "A ciascuno il libro della radicedella sua anima. Tu devi attenerti al Vecchio Testamento"; la stessa madre di Helga, china ed affaticata in un irraggiungibile campo di lavoro, con lo sguardo costantemente rivolto alla figlia, le appare in sogno e nella veglia istruendole il cuore alla sopravvivenza ed alla dignità.Il percorso di Helga è animato da un tentativo irrinunciabile di ricongiungimento ora fisico, ora spirituale, verso l'amata madre, che le lascia in eredità religiosità cristiana ed origine ebraica: entrambi rifugio vero e compagni di viaggio senza retorica. Teresa le insegna a pregare ed a credere in un Bene al di sopra di ogni umana disperazione; "Prega la mattina, prima di partire. La preghiera cancella i pensieri cupi. Chi prega con devozione comunica con Dio e attinge alla Sua luce. I demoni e gli spiriti maligni sanno bene chi è vicino a Dio, e badano a non intralciargli la strada".

In alcuni passaggi del suo cammino, Helga sperimenta una vicinanza quasi mistica verso la figura di Gesù: la sua solidarietà ed identificazione con le sofferenze a cui pare essere eternamente destinato il popolo ebraico si fanno compagne anche di lei e della madre. 'Ogni tanto sognavo che mamma, Gesù e io camminavamo lungo una via di tormenti. Gesù ci sussurrava: «Chi patisce con me sa cos'è l'umiltà» ed ancora "Gesù torna sempre nei miei sogni. Questa volta era attorniato da prigionere. Gesù era in piedi su una collina, con una tunica bianca, e ci parlava: «Mio padre che è nei cieli mi ha mandato a vegliare su di voi, Dio non permetterà questo odio gratuito»".

Helga, nel cammino alla ricerca di sua madre, ritrova anche sè stessa, la sua identità di donna ebrea. Non nella solitudine e chiusura personale, ma nella solidarietà umana, nell'aprirsi alle sofferenze degli altri, nell'imparare lo yiddish e l'ebraico, nel cantare i canti di un popolo che anela alla Terra Promessa, come luogo per sanare il proprio dolore, si ritrova adulta.

Incontro Appelfeld in occasione del suo soggiorno milanese per la partecipazione alla rassegna culturale La Milanesiana [1], dedicata quest'anno al tema del paradosso.

Il suo sguardo trasparente, unito ad una dolce cordialità leggermente tinta di riservatezza, allo stesso tempo disarmano e fanno sentire a proprio agio. Sono molte le domande che si vorrebbero rivolgere ad un uomo come lui ma, all'improvviso, sembrano tutte in realtà anche così piccole e poco significative. Incontrarlo di persona, avere a disposizione qualche minuto del suo tempo è ogni volta un'esperienza preziosa e straordinaria.

[b]Al termine della guerra, prima di poter raggiungere Israele lei trascorse alcuni mesi in Italia. Quali impressioni conserva di questo passaggio? E cosa invece ricorda della sensazione che provò raggiungendo la sua Terra Promessa?[/b]

Arrivavo da un paese con poca luce, dall'Ucraina, in un paese invece pieno di luce. Venivo da un paese ostile, e trovai un paese amichevole. Arrivai a Napoli: ricordo la luce, il mare, il buon cibo. Gente amichevole, la prima volta dopo tanti anni di ghetto, campi e boschi. Così fu. Come si dice anche nella Bibbia, arrivavo da un Egitto…e l'Italia fu la mia prima terra promessa.

Per il resto, avevo 13 anni ed ero senza istruzione…Oh, ero solo confuso. Non capivo esattamente cosa fosse Israele…

[b]Visitò mai i luoghi della sua infanzia a Czernowitz e nei Carpazi ?[/b]

Sì, ci andai per la prima volta circa sette anni fa. Non c'erano più ebrei.

Non credo di averli visitati solo recentemente perché erano troppo pieni di ricordi: ero solo un bambino quando lasciai la mia casa…mi rimase solo un senso di perdita.

[b]Quando decise: 'Voglio diventare uno scrittore'? E quali consigli potrebbe dare oggi ad un giovane che desideri intraprendere questa strada?[/b]

Non è una decisione, ma un continuo tentativo. Tu stai scrivendo, tu vuoi scrivere e così provi con piccole storie.. le cose magari non ti vengono bene. Così ci riprovi, e riprovi ancora, ed ancora…Inizia con piccoli componimenti poetici.

Prima di tutto, credo che ciascuno di noi sia un individuo con le sue caratteristiche e i suoi particolari bisogni. E' molto difficile poter dare un consiglio a tutti coloro che vorrebbero essere scrittori. Alcune volte uno scrittore può aver bisogno di leggere di più, altri scrittori necessitano invece di formare ed esercitare i propri occhi all'osservazione delle cose.

[b]C'è uno scrittore israeliano che lei sente particolarmente vicino?[/b]

Prima di tutto la Bibbia. Questo è il mio libro principale, quello che mi ha influenzato. È una sorgente poetica di strutture narrative ed immagini.

[b]Nei suoi libri non c'è odio. Come fu possibile per lei non odiare i suoi nemici?[/b]

Provengo da una famiglia molto liberale: i miei genitori non odiarono mai nessuno. Vivevamo in una città di ebrei e non ebrei, e loro erano amici della nostra famiglia. Fu ovvio per me. Non odio nessuna persona, né animale…Il senso di odio è qualcosa di profondamente proibito nella legge ebraica. Non odiare. È come 'non uccidere'.

[b]Nel suo libro 'Un'intera vita' emerge fortemente il tema del senso religioso nei suoi personaggi. Lei sentiva una fede in Dio quando rimase solo durante la guerra?[/b]

La mia era una famiglia ebraica liberale assimilata, non particolarmente religiosa. Ma compresi quanto l'essere liberali, inteso in un senso positivo del termine, poteva essere intesa anche come una sorta di religione: tolleranza, rispetto della libertà altrui, comprensione e solidarietà.

Oltre a ciò, sì: come bambino nel campo, nei boschi, vivevo un sentimento di religiosità dell'infanzia, di cui parlo anche in alcuni miei libri.Potrei chiamarla in un altro modo, non corrisponde a ciò di cui parliamo oggi: sentivo che la vita ha un significato. Non viviamo qui solo cinquanta, sessanta, ottant'anni solo di passaggio e per poi andarcene un giorno: tutto ciò ha un significato.

[b]Helga conosce la fede grazie ad una suora. E' curioso: trova infine la sua fede ebraica, ma tutto iniziò con una suora… Dalla sua scrittura traspare un senso di affetto profondo nei confronti della figura di Gesù. Ha mai provato un'attrazione verso il cristianesimo?[/b]

La madre di Helga, che pure era una donna meravigliosa, fuggì la propria fede ebraica per sposare un non ebreo. Qualcuno doveva mostrarle la via. Allora, lei incontra una meravigliosa suora, che le mostra la via verso sé stessa.
Conosco il cristianesimo perché fui cresciuto da una giovane donna che prestava servizio presso la mia famiglia. Lei era cristiana e mi trasmise molto della sua religiosità.
Non posso dimenticare l'usanza che lei aveva di pregare ogni giorno, davanti alla Madonna. Questo mi impressionava e compresi molto attraverso di lei.

[b]La Palestina rappresentava la terra della possibilità di ritrovare una nuova pace per tutti i sopravvissuti alla guerra in Europa. Cosa pensa della situazione che vive oggi Israele, crede in una possibilità di pace?[/b]

Chiunque abbia una ragione ed un cuore sta aspettando questa pace. Ma Dio solo sa quando essa arriverà.

Il lettore compie un viaggio assieme ad Helga. Viaggia nel mondo quale realmente è anche oggi, in un tempo nel quale l'Europa non conosce la guerra, ma rimane in dotazione a ciascun uomo la libertà di fare del male all'altro, fisicamente, spiritualmente. Molte volte senza una ragione: l'assenza di risposta a questo perché resta in ogni tempo un disperante punto di domanda, sospeso nel cielo come una nuvola fissa.

Appelfeld non infierisce su nessuno dei suoi personaggi, neanche sui malvagi, i nemici. Li guarda da lontano, senza compatimento né pietà. Il suo sguardo somiglia molto al silenzio, alla sospensione di giudizio. Nonostante questo, la sua non è mai una prosa asettica, priva di emozione.

La sua scrittura e la sua persona paiono dirci: posso raccontare di essere sopravvissuto ad uno dei drammi più indicibili della storia umana, perdendo tutto ciò che più mi era caro al mondo. Ma Dio non mi ha dato le chiavi per capire sino in fondo il mistero dell'uomo e, per questo, non lo giudico.

 

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