[b]La minaccia di Ankara: "Pronti a fare lo stesso con quelli civili se non chiedono scusa per il blitz".
Netanyahu: "Non lo faremo mai"

ANKARA[/b]
La tensione fra Turchia e Israele sembra aver raggiunto un cruciale quanto apparentemente inevitabile «punto di non ritorno»: in seguito alle mancate scuse dello Stato ebraico per il blitz del 31 maggio scorso contro la flottiglia pacifista diretta a Gaza (nove le vittime turche), la Ankara ha minacciato che romperà le relazioni diplomatiche con Israele. E, per non dare adito a dubbi, ha vietato ai velivoli militari con la stella di David il sorvolo del proprio territorio. Ma Israele ha già risposto picche: di scuse non se ne parla nemmeno.

A dare l’annuncio delle ritorsioni di Ankara è stato, come hanno riferito con risalto stamani tutti i media turchi, il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu parlando con giornalisti a bordo dell’aereo che la notte scorsa lo ha riportato in patria al termine di una visita ufficiale in Kirghizistan. Il capo della diplomazia turca ha anche esortato lo stato ebraico ad accettare le conclusioni di un’inchiesta «internazionale ed imparziale» circa l’assalto dei marines israeliani contro il traghetto turco Mavi Marmaris che aveva a bordo circa 500 persone. «Se questa commissione concluderà che l’assalto è stato ingiusto e se gli israeliani si scuseranno, questo per noi sarà sufficiente», ha aggiunto Davutoglu il quale, però, ha anche ribadito che la Turchia continua ad insistere affinchè Israele paghi alle famiglie delle vittime un congruo risarcimento danni per la perdita dei loro congiunti.

Toni altrettanto duri, però sono venuti da parte israeliana. Il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman ha subito risposto che il suo paese non intende presentare le scuse come chiesto dalla Turchia per evitare la rottura delle relazioni diplomatiche. «Non abbiamo nessuna intenzione di chiedere scusa. Riteniamo piuttosto che sia vero il contrario», ha detto Lieberman dopo un incontro con il suo omologo lettone, durante una sua odierna visita nel Paese baltico. Già lo scorso 28 giugno fonti diplomatiche turche ad Ankara avevano confermato all’agenzia Ansa che un primo divieto di sorvolo del territorio turco ad un velivolo militare israeliano era stato imposto a poche ore dall’assalto alla "Flottiglia della pace", quando ancora – nelle prime concitate ore del mattino – non era ancora chiara la situazione e si parlava addirittura di una ventina di morti e decine di feriti. Davutoglu, dal canto suo, ha ribadito di aver sollecitato di nuovo – ma senza esito positivo – le richieste di Ankara ad Israele nel corso di un incontro riservato avuto mercoledì 30 giugno a Bruxelles con il ministro israeliano dell’Industria Benyamin Ben Eliezer.

Sentire «parlare di crisi di relazioni, addirittura di rottura, francamente mi preoccupa», ha detto il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini subito dopo aver appreso delle nuove tensioni fra Turchia e Israele. «Preferisco parlare di argomenti che guardano al futuro – ha aggiunto il capo della diplomazia italiana riferendosi anche alla possibile missione di ministri Ue a Gaza – piuttosto che veder creare conseguenze certamente gravi per l’intero equilibrio mediorientale». Sulla vicenda del blitz, ha detto ancora Frattini, «credo che dobbiamo aspettare l’esito dell’inchiesta avviata da Israele» per «capire cosa è successo anche sulla base della voce degli esperti internazionali» che vi partecipano tra i quali «c’è anche un premio Nobel. Poi evidentemente parleremo del resto».

 

One Response to Lo schiaffo della Turchia a Israele: spazio aereo chiuso ai voli militari

  1. Admin ha detto:

    Quando c'è un interesse nell'eliminazione di un rivale, o di un possibile concorrente, lo si elimina. Sono secoli, ormai, quando non millenni, che la strategia della repubblica romana insegna a non differire mai un scontro, perché più lo si posticipa e più può venire costare caro. Diversamente, quando risulta meglio conveniente conservare una agitazione, si amministrano le scelte politiche ed economiche e militari al fine di non chetare mai le ragioni da conflitto, qualsiasi che queste siano. Non serve a nulla che la Comunità europea, rimasta priva di espedienti contro il concorrente commerciale arabo, vada a fare le coccole a Israele per indurlo ad entrare in una accolita che gli è di fatto estranea e che, fallita la seduzione, si elaborino maneggi di poco nobile levatura al fine di togliere, agli ebrei, quei pochi quasi amici che ancora possiede. Toglierglieli e, per di più, rigettandoglieli contro. E sarebbe bello potersi esprimere, scrivendo su questa vicenda, con toni beffardi e canzonatori, non fosse che, purtroppo, ci siano di mezzo dei morti. Nemici, forse; sprovveduti senz’altro e, probabilmente, fatta salva qualche legittima ragione di dubbio, anche un po’ manipolati, quando non deliberatamente sacrificati, ma leggendo, questa mattina, delle pretese mosse dalla Turchia, mi s’è subito parata davanti una immagine ricorrente della mia infanzia; la mia e, chissà, quella di molti altri, con il viso imbronciato e la frase tonante: se non mi chiedi perdono non ti faccio più amico (chiamo la suora, chiamo il mio compagno più grande). All’epoca, se non ricordo male, avevo quattro anni, ma a cinque, quasi sei (anni) avevo già smesso.

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