[b]raccontato da Nicola Seu
Stefano Magni – L'Opinione 7 maggio 2010[/b]

Nicola Seu, dottorando all’università di Vienna, classe 1978, ha deciso di vivere e studiare per un anno in Israele. Lo ha fatto in un periodo tutt’altro che tranquillo, a cavallo fra due guerre. E’ arrivato all’indomani della Seconda Guerra Libanese ed è ritornato in Italia poco prima che scoppiasse il conflitto con Hamas a Gaza. Dalla sua esperienza nello Stato ebraico ha ricavato un libro, presentato ieri alla Libreria Claudiana di Milano, “Diario di Israele” (edito da Albatros).

Ma, contrariamente a quello che il lettore medio si potrebbe aspettare, “Diario di Israele” non parla di guerra, di pace, di palestinesi e di terrorismo. Su quei temi c’è già una vasta letteratura, più una produzione sterminata di servizi giornalistici. Seu ha deciso, in questo caso, di andare controcorrente e di presentarci Israele per quello che è realmente, nella vita pacifica di tutti i giorni. “Volevo fare qualcosa di completamente diverso” – ci spiega – “quando si nomina Israele si parla solo, o quasi, di conflitto mediorientale, della sua politica. E nella maggior parte dei casi sono analisi di parte. Io volevo descrivere ciò di cui si parla meno”.

Una volta tornato in Italia, quando parla di Israele con un nostro connazionale, quale è l’impressione che ne ricava?
L’immagine che ne hanno dipende dallo schieramento politico, non ne parlano come se fosse un Paese reale. Tendenzialmente quelli di sinistra (e di una certa destra) vedono Israele come uno Stato crudele. Quelli di centro-destra, ma soprattutto quelli filo-americani, ne parlano bene a priori. Ma questo, soprattutto, perché in Italia arrivano quasi esclusivamente racconti, immagini, libri e analisi sul conflitto mediorientale. E spesso, troppo spesso, si parla con luoghi comuni.

E quando parla di politica con italiani ed europei che sono in Israele, per turismo o lavoro, di solito cosa le dicono?
Una ricercatrice tedesca, che ho incontrato in un pub, dopo aver parlato con me di politica per qualche minuto ha tirato fuori con questo ragionamento: che quello che i nazisti avevano fatto agli ebrei, ora gli ebrei lo stavano facendo ai palestinesi. Non è un discorso che si sente sporadicamente. Direi che è piuttosto diffuso, più di quanto si possa immaginare. Certo che la maggioranza delle persone che attaccano Israele continuano a vivere lì e a godere della piena libertà di espressione, critica e stampa. Non ci pensano nemmeno di farlo dalla Palestina o da un Paese arabo, perché non lo potrebbero fare. Sono veramente pochi quelli che hanno provato a vivere da entrambe le parti e continuano a dire cose del genere. Questa ragazza tedesca era seduta con me in un pub a bere una birra: non avrebbe mai potuto farlo in un qualsiasi altro Stato mediorientale. Il paragone fra Israele e Germania nazista è impensabile per chiunque viva ad Haifa o a Tel Aviv. Si tratta di idee preconcette, di cui si è già convinti prima ancora di partire.

Per Israele, definisce spesso la società come un tessuto “complesso”. Quali sono i principali elementi di complessità?
Israele ha una popolazione ancora molto ridotta, circa 6 milioni di persone, che vive in spazi ridottissimi, in un territorio grande quanto la Sicilia, forse anche meno. E nonostante le dimensioni piccole, lì c’è dentro di tutto: arabi, circassi, beduini, drusi, cristiani (a loro volta divisi in tutte le confessioni), musulmani, ebrei provenienti da tutti i Paesi del mondo… a loro volta divisi in migliaia di sette, ortodossi, laici, atei. C’è di tutto. C’è da chiedersi come facciano tutte queste diversità, anche radicali, a coesistere senza far scoppiare una guerra civile. A Haifa avevo vicini di casa russi, arabi, cristiani, musulmani, ebrei ortodossi e laici. E’ un fattore che non può passare inosservato. Ed è un caso unico in tutto il Medio Oriente.

Lei è stato anche in Cisgiordania, Autorità Palestinese. Ha notato altrettanta complessità?
In Cisgiordania non ho visto niente di simile: sono tutte città arabe. Di ebrei non se ne vede nemmeno l’ombra. È una società prevalentemente musulmana. I cristiani c’erano, ora sono pochissimi. A Betlemme erano il 90%, fino a non molto tempo fa. Ora sono circa il 30%.

 

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