[b]Un articolo di Fiamma Nirenstein [/b]
[b]Il Giornale, 7 marzo 2010[/b]

La apartheid week contro Israele che si sta concludendo in troppi campus in giro per il mondo, comprese, che peccato, le università di Firenze, Pisa, Milano (mentre la Sapienza di Roma con un bel colpo di reni ha siglato un accordo con l’Università di Tel Aviv), è uno degli eventi più intellettualmente ripugnanti mai concepiti. È il sesto anno che professori e allievi estremisti mobilitano gli atenei sul tema «Israele stato di apartheid»: non sono tanti, ma l’impatto delle campagne di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele sono come il suono del campanello per il cane di Pavlov, e la risposta allo stimolo è la criminalizzazione e la delegittimazione dello Stato ebraico.

Così come il mondo distrusse l’indegno regime sudafricano di apartheid, suggerisce la settimana, altrettanto deve fare con Israele. Uno Stato accusato di discriminare per motivo etnico, razziale, religioso i suoi cittadini deve sparire, pensa il mondo attuale. E la «settimana» non ha nel mirino il razzismo nei suoi tanti aspetti e latitudini: è uno Stato nella sua specificità che è preso di mira, e il velenoso paragone con il Sudafrica dell’apartheid, sparito per la pressione internazionale, suggerisce l’indegnità di Israele a esistere.

Questa costruzione è basata su due colonne: su una bufala, ovvero una serqua di bugie; e sulla disinformazione veterocomunista già affondata dalla storia.
La bufala sta nella paragone con Pretoria: «Sotto la sezione 37 della spiaggia di Durban questa zona balneare è riservata ai soli membri del gruppo della razza bianca». Così si legge in inglese e in afrikaner su un cartello del tempo dell’apartheid posto su una spiaggia. Cartelli analoghi erano ovunque e diffidavano i neri, i «coloured» e anche gli asiatici da sedersi con i bianchi agli eventi sportivi, sugli autobus, sui treni, a usare le stesse toilette e gli stessi ristoranti, per non parlare degli ospedali e delle scuole. Le Chiese erano multirazziali. Molti altri cartelli con il teschio minacciavano di morte i neri che varcassero determinate barriere. Era impensabile che i bianchi e i neri condividessero le istituzioni.

Tutto il contrario in Israele: ogni e qualsiasi istituzione è multietnica e multi religiosa, le teorie e le discriminazioni razziste sono proibite per legge, negli ospedali le donne arabe e le ebree partoriscono letto a letto, curate da personale arabo ed ebreo; da tutto il mondo arabo vengono bambini e pazienti in genere a farsi curare, accolti amorevolmente; all’università gli studenti arabi e ebrei studiano insieme e anche professori arabi, talora molto aggressivi verso il sionismo, insegnano con gli ebrei e agli ebrei mentre sono tradotti libri arabi di ogni tipo; alla Knesset, il Parlamento israeliano, e al governo siedono cittadini arabi che levano (sempre!) il loro dissenso, senza temere, unici arabi in medio oriente, che qualcuno li aspetti sotto casa per punirli.

Il Bagaz, l’Alta Corte, è una sponda totalmente affidabile per tutti: ha appena legiferato che la strada 443, lungo la quale sono avvenuti attacchi contro automobili di ebrei, dopo una chiusura di sicurezza temporanea, venga ora riaperta per motivi di eguaglianza di fronte alla legge, a tutti i veicoli anche se il prezzo può essere la vita di famiglie solo ebree. Qualsiasi arabo, ma anche un ebreo etiope, troverà giustizia di fronte alle discriminazioni razziali se si rivolgerà all’autorità israeliana, perché la legge proibisce la discriminazione.

Quelli che proclamano la settimana dell’apartheid sono in totale mala fede. Quando citano il «Muro», che poi è un recinto, sanno benissimo che quella barriera ha fatto diminuire il terrorismo del 98 per cento; sanno che le difficoltà di movimento non hanno a che fare con pregiudizi razziali, ma con evidenti motivi di sicurezza. Sanno anche che invece cristiani ed ebrei nel mondo arabo, ma non soltanto, anche le donne e gli omosessuali, sono segregati e perseguitati a morte per motivi ideologici.

E adesso un briciolo di storia: l’accusa di apartheid affonda nel totalitarismo comunista. Lo storico Robert Wistrich dimostra nel suo «A lethal obsession» che dopo la guerra dei Sei giorni Mosca decise che assimilare Gerusalemme a Pretoria avrebbe distrutto la fama liberale di Israele presso i Paesi occidentali e anche gli Stati africani che avevano fiducia in Israele. I trotzkisti (fra loro, ohimè, parecchi ebrei) divennero fra i più ferventi propagatori della mitologia sionismo eguale razzismo, che poi si trasformò in una risoluzione delle Nazioni Unite.

In una parola, trasformare il sionismo in un’ideologia disumana conquistando a questo scopo gli intellettuali (il generale Jap lo suggerì personalmente a Yasser Arafat) era la strada per convincere che un Paese nato su tali disgustose premesse non può che essere smantellato. Anche la violenza terrorista, dunque, può, deve essere perdonata. E siamo sicurissimi che i generosi professori e studenti promotori della settimana dell’apartheid la perdonano, e del colpo alla nuca in Cina, dello sterminio in Sudan, degli impiccati in Iran, delle donne segregate in tanti Paesi islamici, se ne impipano. Però, sono contro l’apartheid in Israele. Che non esiste.

 

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