[b]Museo Nazionale dell'Ebrismo Italiano e della Shoah[/b], Centro S. Fedele, piazza S. Fedele 2 – Milano: [b]giovedì 18 marzo[/b], [b]ore 18[/b]. Presentazione di Paola Gnani, [i]Scrivere poesie dopo Auschwitz[/i]. Paul Celan e Theodor W. Adorno, Giuntina, Firenze 2010. Interviene Piero Stefani, letture di Ottavia Piccolo, sarà presente l’autrice.
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Mi dispiace parecchio non poterci essere…anche io ho scritto una poesia dopo essere tornato da Auschwitz:
[center][/center] Sono stato ad Auschwitz
ho visto coi miei occhi
la morte
ho ascoltato l'assordante
silenzio
che regnava dove l'inferno
era il freddo gelo del Cocito
e il bruciante caldo dei forni.
Ho visto
le scarpe, gli occhiali, le valigie,
di coloro che sono morti,
ingannati dai nazisti.
Ho pianto lacrime vere
e lacrime di sangue
e il mio cuore si è congelato
quando ho visto
le bambole e i vestiti
dei bambini sterminati per primi.
Ho visto
dove uno scienziato sadico
sterilizzava le donne,
uccideva i gemelli,
infettava i sani,
solo per il gusto cinico di provare.
Ho guardato coi miei occhi
la stanza delle docce,
l'interno dei forni,
le ciminiere da cui
uscivano le anime degli innocenti.
Ho camminato su quella neve profonda,
con il capo cosparso
di cenere bianca
per quella strada infinita
dove camminavano i morti viventi
così ridotti
dai nazisti.
Ho sentito
il gelo penetrarmi nelle ossa,
le carni indebolirsi
la vista annebbiarsi
le mani tremare,
la voce mancare
la pelle rattrappirsi
i capelli sbiancarsi,
le labbra serrarsi
in una smorfia inumana.
Ad Auschwitz
non vi è mai stata vita
non vi è mai stato amore
solo dolore,
atroce sconfitta
della dignità umana.
Ma tale sconfitta
non è stata di chi è morto lì dentro,
ma di chi li sistematicamente uccisi.
Sono stato ad Auschwitz,
dovremmo andarci tutti
almeno una volta
e non avremmo più il coraggio di dubitare,
non potremo più dire
che non è stato nulla.
Perché sentiremo la nostra vita
un enorme dono,
capiremmo quanto siamo deboli,
ma anche quanto la nostra vita
non valga più di quella altrui,
e che siamo tutti uguali.
Capiremmo la nostra fortuna,
la fortuna di essere vivi
ma anche quanto è sottile
la linea che ci divide
dalla morte.
Capiremmo che spetta solo a noi
far sì che quella linea
non venga superata.
Guardiamo negli occhi
le foto dei morti di Auschwitz
pensiamo se loro erano diversi da noi,
pensiamo a quando ridevano,
giocavano,
lavoravano,
mangiavano,
pregavano
e speravano
come tutti noi
che oggi siamo qui
tranquilli, riscaldati,
protetti
e rendiamoci conto
che spetta solo a noi,
evitare che riaccada.
Scritta da Ettore Lomaglio Silvestri il 15 febbraio 2010 alle ore 17,11