Omicidio di Dubai: guerra senza divise
[b]Fiamma Nirenstein
Il Giornale, 24 febbraio 2010[/b]
La logica deve essere un’opinione al Quai d’Orsay, se il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner ha trovato consequenziale legare la morte di un terrorista come Mahmoud Al Mabhouh alla necessità assoluta della nascita di uno Stato palestinese, e in tempi brevi. In generale, è davvero debilitante, politicamente e intellettualmente, che dall’assassinio mirato di Dubai l’Europa abbia ricavato una nuova spinta pacifista, per cui il ministro degli Esteri spagnolo Miguel Ãngel Moratinos e Kouchner, con un articolo comune, ma senza l’approvazione di Nicolas Sarkozy, che ha parlato di soluzioni negoziate, spingono a forza una soluzione tutta europea per uno Stato palestinese entro 18 mesi.
Non è certo un caso che in parallelo con questo giuramento di Pontida, l’Unione abbia formulato lunedì la sua condanna per «gli assassini del comandante a Duba i che… hanno usato falsi passaporti degli Stati europei». Senza specificare chi è stato. Ma una condanna a Israele dà forza a una nuova pressione a cedere ai palestinesi senza trattative e quindi senza che prendano le loro responsabilità . Il nuovo assassinio mirato non spinge affatto a chiedersi come mai Mabhouh facesse di mestiere il collettore di missili per Hamas, ma solo se lo Stato palestinese sia un’urgenza inderogabile. Se poi le sgridate provengono dall’Inghilterra (Gordon Brown avrà le elezioni alla fine dell’anno, con tre milioni di votanti musulmani), dalla Francia e dall’Irlanda dove gli episodi di antisemitismo hanno avuto un’impennata legata alla guerra di Gaza, allora è anche facile leggervi una ricerca di popolarità a casa propria.
E poi, è bello essere virtuosi sulla pelle degli altri, ed è anche, ormai, un’abitudine. Quando Israele ha attaccato i terroristi di Hamas ed è incappato, purtroppo, nei loro scudi umani, è stato accusato di aver colpito indiscriminatamente. Quando ha attaccato in maniera invece molto specifica Mabhouh, è di nuovo accusato. Ma allora che cosa deve fare Israele? Assorbire i colpi del terrorismo con un invitante sorriso al prossimo missile, alla prossima strage, al prossimo attentato? Mabhouh era un personaggio dalle gesta certificate: aveva assassinato, dopo averli rapiti, due soldati israeliani in licenza, ma quelle sono attività collaterali, anche se il figlio al funerale si è molto vantato che il padre abbia ucciso i suoi ebrei.
La sua attività principale consisteva nell’essere l’uomo che teneva i rapporti fra Hamas e Hezbollah e soprattutto dell’Iran. Curava cioè la maggiore fonte di armi per l’associazione terroristica al potere a Gaza. Dal lavoro di Mabhouh il Medio Oriente intero guadagnava un’imminente, continua possibilità di guerra: Hamas aveva grazie a lui acquisito la capacità di minacciare lo Stato ebraico fino a Tel Aviv. Se i suoi missili (iraniani) a lunga gittata fossero stati usati, la regione avrebbe certo preso fuoco. Molti lo odiavano anche nei Paesi arabi moderati, specie sunniti, minacciati dalla politica espansionistica iraniana. Molti anche fra i palestinesi lo consideravano un nemico, non soltanto all’interno di Fatah, ma anche dentro Hamas, da dove infatti la polizia di Dubai sostiene che chi lo ha ucciso abbia ricevuto le informazioni logistiche. Della morte di Mabhouh ci si può dispiacere per la sua famiglia, senza ignorare però che essa può aver evitato grandi guai strategici forse anche imminenti.
Il capo del Mossad, Meir Dagan, se è stato lui, non ha stabilito i tempi a caso. E, checché se ne possa dire, è riuscito nel suo scopo: ha fatto fuggire tutti gli uomini, e le famose foto mostrano volti che chissà cosa sono oggi, e a chi somigliano. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu non è affatto scontento di un risultato che, come per l’assassinio del leader di Hezbollah, Imad Mughnyeh, porter à lunghe conseguenze alla strategia iraniana che stringe Israele nella rete armata del Partito di Dio, Hamas, Siria. Ma data la reazione dell’Ue, se per un momento supponiamo che davvero sia stato il Mossad ad agire nonostante la smentita di lunedì a Bruxelles del ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, è valsa la pena a Israele di sfidare le ire europee? Forse sì.
Intanto, l’Unione non perde occasione per dare addosso allo Stato ebraico: stavolta anzi qualcuno ha fatto sapere che se non fosse stato per Dubai, che ha minacciato di penalizzare i passaporti europei, avrebbe forse taciuto. E soprattutto, se guardiamo un po’ più a largo raggio vediamo che negli ultimi mesi una precisa strategia guida le azioni della guerra segreta: dopo l’uccisione di Mughnyeh e la distruzione della struttura nucleare siriana, a dicembre un autobus di turisti carico di ufficiali iraniani e membri di Hamas esplode a Damasco; poche settimane dopo, ecco un attacco a un incont ro fra Hamas e Hezbollah a Beirut. Tutto punta all’alleanza che minaccia la vita di Israele: quella fra Iran, Hezbollah e Hamas. È una guerra senza divise, ma lo è a tutti gli effetti, e Mabhouh era un generale, con un ruolo militare. Infine: i passaporti. Mi piacerebbe tanto sapere se i servizi segreti di sua Maestà britannica girano il mondo in missione mostrando alle dogane i loro propri passaporti. Mi sembra davvero difficile.
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