[b] Il Giornale, 28 febbraio 2010
Fiamma Nirenstein[/b]

Summit a Damasco tra Ahmadinejad, il siriano Assad e i capi di Hamas e Hezbollah. Tutti uniti per spingere l’assalto di Teheran contro l’Occidente. Minacce: il ministro siriano Moallem parla di «guerra definitiva». Obama sbeffeggiato.

Se si parla di guerra, si riuniscono i generali, si contano le armi, si sbatacchiano gli scudi e si sventolano gli stendardi, può darsi che ci sia una guerra in vista. L’esame delle ultime mosse strategiche iraniane ci fornisce un messaggio che riassumiamo prima di analizzare gli eventi: di fronte all’ipotesi di sanzioni serie che finalmente si prefigurano dopo i rifiuti del regime degli ayatollah di cessare l’arricchimento dell’uranio, l’Iran sta valutando l’opportunità di aprire un focolaio bellico che attiri tutta l’attenzione internazionale, e assegna i ruoli. L’obiettivo è Israele, e il grilletto che dovrebbe aprire il fuoco sarebbero gli Hezbollah, ormai in possesso di 40mila missili in grado di colpire la zona industriale di Israele nel nord, Tel Aviv e il Negev.

Per creare una situazione di scontro, Ahmadinejad ha bisogno della fedeltà di tutti i suoi alleati. Per questo ha promosso giovedì 25 a Damasco e poi ieri a Teheran una serie di incontri molto significativi. Quello di Damasco, su invito del presidente Bashar Assad, ha impegnato Ahmadinejad in una serie di colloqui strategici: c’era, rarissima presenza, il capo degli Hezbollah Hassan Nasrallah, che non si muove mai per paura di attentati, e c’era Khaled Mashaal, il capo di Hamas che risiede in Siria, oltre a una serie di personaggi e organizzazioni che agiscono di concerto con l’Iran sul fronte dell’Iraq, del Libano, tutti uniti contro gli Usa e Israele. Dopo gli incontri di Damasco, secondo fonti, c’è stato una sorta di replay a Teheran dove ieri si sarebbero incontrati alcuni fra gli stessi rappresentanti (per la jihad islamica il capo, Ramadan Abdullah Sellah, per il Fronte della Liberazione della Palestina Ahmad Jibril e Maher Al Taheri) e altri in incognito. Tutti si muovono con cautela, specialmente dopo l’attacco del Dubai.

Dei contenuti di Damasco probabilmente i più scontenti, nel mondo, sono oggi gli Stati Uniti, che hanno appena nominato un ambasciatore a Damasco, John Ford, dopo che l’ambasciata era stata chiusa nel 2005, a causa dell’uccisione in Libano di Rafik Hariri, il primo ministro per il quale non è mai stato celebrato il processo, e il cui figlio, primo ministro Saad Hariri, è andato in visita da Assad. Gli Usa, come ha ripetuto Hillary Clinton, si aspettano un sostanziale distacco della Siria dall’Iran, la conclusione del loro aiuto ai terroristi che infestano l’Iraq, il ritiro dalla politica libanese. Ma alla conferenza stampa congiunta di Ahmadinejad e Assad, gli Usa sono stati letteralmente sfottuti da Assad che ha chiesto come mai Clinton dice di essere per la stabilità del Medio Oriente se poi vuole dividere Siria e Libano: «Forse la traduzione era cattiva», ha ironizzato. Poi ha ribadito a chi gli chiede di separarsi dall’Iran: «Certo, altroché, infatti abbiamo in piedi oltre a tanti progetti comuni anche l’eliminazione del visto». Ha chiamato Ahmadinejad fratello, ne ha difeso il programma nucleare, ha detto che gli Usa operano un’ingerenza insopportabile nella politica mediorientale. Per Ahmadinejad, poi, gli Usa vogliono dominare la regione, e ha alzato il gioco che aveva già tenuto nei giorni precedenti: Iran e Siria li stanno prevenendo ovunque, e Obama «dovrebbe far fagotto e andarsene». Poi, sono riprese le minacce a Israele: Assad ha avvertito che è un’entità aggressiva, un bullo che attaccherà di certo ma la Siria «si sta preparando a reagire sia su larga scala che su una dimensione minore».

Chiaro? Ahmadinejad, semplicemente, ha annunciato che Israele è rovinato, e sta per essere annichilito e distrutto. Nei giorni precedenti anche Nasrallah aveva insistito sulla prossima distruzione di Israele, e il ministro degli Esteri siriano Moallem aveva annunciato una guerra diretta che «sarà definitiva sia che Israele colpisca il Libano o la Siria». Secondo il quotidiano del Qatar Al Watan «è ormai stata presa una decisione strategica per non lasciare che Israele sconfigga il movimento di resistenza». Quanto agli Hezbollah, secondo l’editorialista Sami Moubayed apparso nelle Gulf News, in Iran molti pensano che potrebbero sopravvivere a un’altra guerra come quella del 2006 e infliggere il massimo danno alle città israeliane. Gli Hezbollah avrebbero la capacità, col sostegno siriano e iraniano, di fare un fronte di sbarramento che protegga l’Iran. Nasrallah se la prende particolarmente con gli Usa e dice che «mostrano un sostanziale declino nella loro capacità di intraprendere azioni e di imbarcarsi in avventure». Come dire: vinceremo noi. La guerra potrebbe cominciare con un’azione di vendetta per l’assassinio di Imad Mughniyeh del febbraio 2008. Quanto ad Hamas, a sua volta è stato armato bene dall’Iran e ha missili già testati capaci di raggiungere Tel Aviv.

L’eventuale caduta dell’ipotesi apertura USA alla Siria ha spinto Ehud Barak, in visita dalla Clinton nei giorni scorsi, a chiedere un ripensamento sulla nuova ambasciata. Per ora non c’è risposta, ma solo una desolata posizione dell’amministrazione (P.J. Crowley) che “non vede segnali positivi”. Intanto il regime iraniano ha fatto portare in superficie 2000 chilogrammi di uranio arricchito che erano stipati sotto terra, probabilmente per proseguirne l’arricchimento. Un ulteriore elemento di nervosismo, di quelli che rendono le scintille molto volatili.

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