Secondo viaggio ADI in Israele – Shderot 2
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Sderot, la paura di non avere un futuro[/b]
[b]Di Stefano Magni[/b]
I rifugi anti-razzo sono la testimonianza onnipresente del pericolo. Li si nota subito, quando si entra a Sderot. Ce n’è uno ogni cento metri. Sulle loro spoglie pareti di cemento si è sviluppata una vera e propria arte metropolitana spontanea fatta di graffiti, disegni di bambini o colori psichedelici. Non fossero quel che sono, i bunker di Sderot potrebbero essere un originale arredo urbano. Quando si cammina per le strade della cittadina israeliana sono un punto di riferimento irrinunciabile: meglio tenersene uno sempre a quindici secondi di corsa dalla propria posizione, il tempo che normalmente intercorre da quando gli altoparlanti annunciano il “colore rosso†(l’allarme anti-razzo) al momento dello scoppio.
“Da quando è finita l’Operazione Scudo Difensivo – ci spiega Shalom Halevi, responsabile relazioni estere del comune di Sderot – i Qassam sono stati ‘solo’ trecento in nove mesi. L’ultimo è caduto la settimana scorsa. Sottolineo ‘solo’, perché negli anni precedenti all’attacco a Gaza avevamo anche quindici allarmi al giorno. I razzi ci piovevano addosso almeno tre volte alla settimana, nei periodi peggiori quotidianamente e senza sosta. Un giorno abbiamo subito 70 colpi in poche ore: una vera catastrofe!â€. La maggioranza assoluta degli abitanti, tuttavia, ha deciso di restare. Anche perché non ci sono luoghi realmente sicuri. Prima del 2008, centinaia di famiglie si erano trasferite ad Ashkelon e Beersheva. Ma durante la guerra a Gaza, sia l’una che l’altra sono state bersagliate: i cittadini di Sderot, paradossalmente, erano i più sicuri: vedevano i razzi palestinesi più potenti passar sopra le loro teste.
“Molti trascorrono i loro fine settimana a Beersheva, o più a Nord dai parenti. Non hanno intenzione di trasferirsi, si prendono letteralmente periodi di vacanza dai razzi†– ci spiega Halevi – “La gente conta sui miracoli. Una ragazza di diciassette anni aveva dichiarato, in una intervista per la televisione, di aver paura di dormire nella sua stanza. Quella notte è andata dai suoi parenti a Beersheva. Quando è tornata la mattina per prendere i suoi libri di studio, un Qassam ha disintegrato la sua camera da letto, davanti ai suoi occhi. Solo un minuto di anticipo e sarebbe mortaâ€. Nonostante i rifugi e i miracoli, quindici persone sono morte ma più di mille sono state ferite o mutilate. Ancor più grave è l’effetto psicologico, soprattutto sui bambini: due su tre sono traumatizzati. “Una ferita fisica si può medicare†– dice Halevi – “una ferita delle psiche è molto più difficile da rimarginare: si riapre ogni volta che c’è un nuovo allarmeâ€. Il bombardamento dura da otto anni: ci sono bambini che sono nati e cresciuti in quella condizione e non sanno cosa voglia dire vivere senza allarmi, non dormono nella loro cameretta, ma in una vasca da bagno (perché è il luogo più protetto) o in un corridoio centrale, meno esposto a eventuali esplosioni. La gente che si incontra per strada non sempre rispecchia il trauma che subisce quotidianamente, anche se è difficile trovare persone che camminano a testa alta. Sembra di vedere gli ebrei descritti dai racconti sui ghetti medioevali, o quelli ritratti nelle foto sui ghetti nazisti, prima della deportazione. Non si vedono i fieri “coloni†temuti dai pacifisti, ma persone provate che camminano con lo sguardo incollato a terra, bambini invecchiati precocemente con l’andatura dinoccolata e l’atteggiamento timido. Eppure i locali pubblici si riempiono, i negozi continuano ad avere clienti. Tra un allarme e l’altro gli abitanti di Sderot hanno trovato un loro modus vivendi. “Chi viene qui vede una città in piedi, non un ammasso di macerie†– dice orgoglioso Halevi – “Non siamo a Gaza: qui abbiamo un governo che, per prima cosa, rileva i danni che hanno subito i suoi cittadini e provvede alla loro riparazione, nel minor tempo possibile. La vita è più forte di qualsiasi pericolo. E non abbiamo scelta, dobbiamo trovare il modo di vivere in questa condizione. Quelli che sono rimasti a Sderot sono abbastanza forti per resistere ancora per anniâ€.
[b]L’Opinione 5 novembre 2009[/b]
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