Lo 007 scaricato e poi «ricomprato»
L'abbraccio di Abdel Basset al-Megrahi con Gheddafi (Ap)
[b]L’agente libico al centro della vicenda
Corriere della Sera > Esteri > Lo 007 scaricato e poi «ricomprato»
Antonio Ferrari
22 agosto 2009[/b]
Ma chi è in realtà Abdel Basset al-Megrahi, il libico condannato all’ergastolo per la strage di Lockerbie, scarcerato giovedì in Scozia «per ragioni umanitarie», e accolto a Tripoli come un eroe? Questo cinquantasettenne non ha certo l’aria di una sofisticata mente terroristica, ma si sa che le apparenze possono ingannare. O è forse un Carneade, capitato in una storia più grande di lui: comprato, venduto, ricomprato, scaricato, e ora ricompensato dal colonnello Gheddafi con una spettacolare e sospetta riabilitazione nazionale, al rientro in patria. Storia misteriosa e ambigua quella di al-Megrahi, direttore dell’ufficio della Libian Airlines presso l’aeroporto di La Valletta, nell’isola di Malta.
Crocevia importante per i commerci di Tripoli, ma non certo un luogo dove collocare un agente segreto operativo di altissimo rango. E non era di sicuro più importante di lui il suo principale collaboratore al-Amih Khalifa Fahima, che invece fu assolto dalla stessa imputazione, dopo aver partecipato a tutte le fasi (vere o presunte) dell’organizzazione dell’attentato. Che avvenne il 21 dicembre 1988, in uno dei momenti più delicati della storia del Medio Oriente. Attentato quasi prevedibile e sicuramente temuto, soprattutto dai palestinesi moderati, dopo quanto era accaduto una settimana prima a Ginevra. Nel palazzo dell’Onu, infatti, era stata convocata un’assemblea generale per ascoltare quanto aveva da dire l’ospite più atteso, il leader dell’Olp Yasser Arafat, che non aveva ottenuto il visto per andare a New York.
Un appello solenne al nemico Israele: «Venite, diamoci la mano, facciamo la pace», quindi un esplicito riconoscimento. E un annuncio al mondo, soprattutto agli americani: «Condanno il terrorismo, in tutte le sue forme». Annuncio che, reiterato in una conferenza- stampa notturna, convinse gli Usa ad avviare «colloqui sostanziali» con l’Olp a Tunisi. L’entusiasmo dei palestinesi moderati si scontrava con la rabbia degli estremisti, che parlavano apertamente di «tradimento». Mentre Arafat partiva per la Germania est per incontrare il presidente Honecker, nei corridoi di Ginevra si ascoltavano frasi allarmate. Come se qualcuno sentisse che la risposta alle aperture del leader dell’Olp sarebbe stata tempestiva e sanguinosa.
La notizia della strage di Lockerbie fu accolta quindi come una tragedia annunciata. Il discorso di Arafat aveva fatto infuriare gli ayatollah di Teheran, che volevano vendicare le vittime di un loro aereo civile colpito per errore, nell’estate precedente, da un missile della nave da guerra americana «Vincennes », nel golfo. E, via Siria, pare avessero preso contatti con i capi di due gruppi palestinesi, nemici giurati di Arafat: in particolare con Ahmed Jibril, ostile a qualsiasi apertura con Israele. Sarebbe stato proprio un terrorista palestinese, arrestato in Svezia, a venir riconosciuto come l’uomo che comprò, in una valigeria di La Valletta, la borsa che, poco dopo, riempita di esplosivo Semtex, sarebbe stata imbarcata, con tanto di targhetta rubata, sul volo per Francoforte; e poi, giunta a Londra, trasferita sul Pan Am 103 per New York. Con tanto di collegamento a un timer nascosto tra i circuiti stampati di una radiolina. Eppure la pista degli investigatori seguì presto altre strade, che si concentrarono su al-Megrahi e su al-Amin Khalifa. Sarebbero stati loro, o forse dovevano essere loro gli organizzatori ed esecutori della strage.
I sospetti di allora, cresciuti durante il processo a Camp Zeist, in Olanda, celebrato da giudici scozzesi, furono alimentati dalla vaghezza delle prove, dai dubbi degli stessi familiari delle vittime, e dalla sorprendente sentenza che separava il destino dei due libici: uno colpevole, l’altro assolto. Si disse che accusare l’Iran o la Siria avrebbe potuto indebolire la coalizione internazionale che fu formata nel ’90 contro il dittatore iracheno Saddam Hussein, che aveva aggredito e invaso il Kuwait. In fondo, era più facile concentrare i sospetti su Gheddafi, allora ritenuto un paria, e riabilitato quando accettò di risarcire le vittime di Lockerbie. L’accoglienza in Libia ad al-Megrahi potrebbe essere il prezzo che anche Gheddafi paga per seppellire altri imbarazzanti segreti.
Antonio Ferrari
22 agosto 2009
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