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[b]Tensione a Washington: stop al progetto del “re dei bingo” a Gerusalemme Est. No di Netanyahu

di Davide Frattini
Corriere Economia, 20 luglio 2009
Dal nostro inviato [/b]

GERUSALEMME — Ad Hawaiian Gardens, contea di Los Angeles, chi non è disoccupato lavora al bingo, chi è disoccupato ci va a giocare i pochi dollari racimolati. Gli immigrati messicani affollano la sala — 120 partite a notte per «il gioco più veloce in città» — e non sanno che i loro spiccioli, moltiplicati per milioni, hanno contribuito a finanziare la crisi diplomatica più seria tra Stati Uniti e Israele dall’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca.

Il bingo (ma anche il casinò, un ospedale e varie organizzazioni benefiche) appartengono a Irving Moskowitz, ebreo di origine polacca, nono di dodici figli, nato a New York e trapiantato — negli affari — tra la California e Miami, dove vive. I profitti vanno alla fondazione creata da questo medico internista in pensione per sponsorizzare gruppi ultranazionalisti come Ateret Cohanim. Che comprano palazzi nella parte est di Gerusalemme e vogliono promuovere la presenza ebraica nei quartieri arabi.

Quello che ancora oggi Moskowitz e i suoi affiliati considerano uno dei colpi migliori sta colpendo le relazioni con gli americani. All’inizio del mese, il comune di Gerusalemme ha dato il via libera per i lavori al vecchio Hotel Shepherd, comprato nel 1985. Moskowitz vuole ricavarci trenta appartamenti e un parcheggio sotterraneo di tre livelli. Il palazzo, nel quartiere di Sheikh Jarrah, è un simbolo per arabi ed ebrei: tra gli anni Venti e Quaranta è stata la residenza di Mohammed Amin al-Husseini, il muftì di Gerusalemme che guidò la rivolta in Palestina e nel 1941 si rifugiò in Germania, dove incontrò Adolf Hitler.

Il Dipartimento di Stato ha convocato Michael Oren, lo storico israeliano nominato da pochi mesi ambasciatore a Washington, per avere chiarimenti, far notare che il momento — nel mezzo dei negoziati sul congelamento delle colonie — non è appropriato, e per chiedere di bloccare il progetto. Come ulteriore pressione, George Mitchell, emissario di Obama per il Medio Oriente, avrebbe rinviato di una settimana la visita prevista in questi giorni.

Oren ha replicato che l’acquisto è legale, la risposta di Benyamin Netanyahu è arrivata all’apertura della riunione di governo. «Non ci saranno limiti alle costruzioni nella Gerusalemme unificata. Non possiamo accettare che agli ebrei sia negato il diritto di poter acquistare e vivere in qualunque parte della città. La nostra sovranità su tutte le aree è indisputabile», ha dichiarato il Primo Ministro. Israele ha annesso nel 1981 le zone conquistate nel 1967 e ha proclamato Gerusalemme sua «eterna ed indivisibile capitale », uno status non riconosciuto dalla comunità internazionale e di sicuro non dai palestinesi: «Se Gerusalemme Est non sarà la capitale del futuro Stato, non si arriverà mai alla pace», ha commentato il negoziatore Saeb Erekat.

Lo Shin Bet è convinto che il presidente Abu Mazen e Hamas abbiano organizzato delle contromisure per impedire agli ebrei di comprare nella parte araba. Yuval Diskin, capo dei servizi segreti interni, ha riferito ai ministri di una donazione dallo sceicco Youssef al-Qaradawi, 25 milioni di dollari trasferiti dal Qatar al movimento fondamentalista per aprire o rafforzare le istituzioni religiose nella città.

La strategia del mattone di Moskowitz ha già incrociato il destino politico (ed emotivo) di Netanyahu. I due si conoscono da quando il milionario americano ha sponsorizzato la nascita del centro studi intitolato a Yonatan, il fratello maggiore del premier caduto nell’operazione di Entebbe. Ed è stato lui nel 1996 a convincere il Bibi del primo mandato ad aprire una nuova uscita per il controverso tunnel sotto al Muro del pianto e la Spianata delle Moschee: settanta morti negli scontri successivi tra palestinesi e israeliani. Poco dopo, Moskowitz trasferisce tre famiglie in un palazzo nel quartiere di Ras al-Amud, e Netanyahu è costretto a chiedergli di fermarsi. Madeleine K. Albright, allora Segretario di Stato, ha appena lanciato un appello a evitare altre provocazioni contro gli arabi.

 

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