Fonte:
Il commento di Giulio Meotti

[b]«La prima sentenza per il caso Halimi non dissolve la nebbia antisemita dal cielo di Parigi»[/b]

Testata: Il Foglio
Data: 14 luglio 2009
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti

[b]Seviziano un ebreo Processo a porte chiuse per ossequio all’islam[/b]
Il commento di Giorgio Israel

Fonte:
ESTERI | Giorgio Israel
Pubblicato il giorno: 11/06/09
Imbarazzo a Parigi

[b] La prima sentenza per il caso Halimi non dissolve la nebbia antisemita dal cielo di Parigi

Giulip Meotti [/b]

Roma. Si è chiuso una sera di shabbat il più terribile episodio di antisemitismo francese dalla Seconda guerra mondiale. La corte di Parigi si è riunita venerdì notte, durante la sacra festività ebraica, per pronunciare il verdetto sul caso Ilan Halimi. E’ stato condannato all’ergastolo Youssef Fofana, il capo dei “barbari”, il gruppo di giovani che nel 2006 torturò e uccise un giovane ebreo dopo tre settimane di agonia. L’episodio mise in luce il feroce antisemitismo islamico, serpeggiante nei sobborghi multietnici francesi, sconvolgendo la Francia tanto che la polizia per giorni chiese alla famiglia Halimi di non fare parola a nessuno della vicenda. Ilan fu torturato per tre settimane da una trentina di persone, in un appartamento che un commentatore americano avrebbe soprannominato “un campo di concentramento fatto in casa”. Tutti i vicini potevano sentire le sue urla, ma nessuno denunciò gli aguzzini di Ilan. Il quale è stato poi ritrovato nudo, con ustioni sulla pelle e ferite mortali di arma da taglio su tutto il corpo. La famiglia della vittima non ci sta e chiede l’appello. Troppa indulgenza per alcuni dei ventisei complici. Samir Ait Abdelmalek e Jean-Christophe Soumbou, i due complici più vicini all’omicida Fofana, si sono visti infliggere le pene più dure, quindici e diciotto anni. Per gli altri, a scalare fino a sei mesi. Quello che – ha detto il team legale degli Halimi – è “difficile da comprendere e accettare per la famiglia Halimi, sono le pene che riguardano i carcerieri e l’esca. Quest’ultima, una ragazza che all’epoca dei fatti aveva 17 anni e si fece seguire da Ilan fino ad attirarlo nella cantina che divenne la sua prigione, è stata condannata a nove anni, una pena troppo lieve”. Nidra Poller sul Wall Street Journal ha scritto che “ciò che più disturba in questa storia è il coinvolgimento di parenti e vicini, al di là del circolo della gang, a cui fu detto dell’ostaggio ebreo e che si precipitarono a partecipare alla tortura”. Emma è la bella ragazza che entrò nel negozio di telefoni cellulari di Parigi dove Ilan lavorava come commesso. Gli aveva dato appuntamento in periferia. Una trappola. Tre settimane dopo, Ilan venne trovato agonizzante, il corpo bruciato all’ottanta per cento, vicino alla stazione di Saint-Geneviève-des- Bois. Ci sono poi i “postini” che recapitavano alla famiglia le lettere dei carcerieri. Nessuno rifiutò di farlo. Ieri, a Place Vendôme, nella stessa piazza dove a gennaio migliaia di musulmani si erano ritrovati per gridare “Morte a Israele, morte agli ebrei”, le organizzazioni ebraiche si sono ritrovate per protestare contro la sentenza. “Come ha fatto questo clima disumano a infiltrarsi nel paese che ha dato al mondo libertà, uguaglianza e fratellanza?”, ha chiesto Judea Pearl, il padre del giornalista decapitato perché ebreo. E’ la grande domanda a cui la Francia repubblicana dovrà rispondere.

[b]Seviziano un ebreo Processo a porte chiuse per ossequio all’islam

Giorgio Israel[/b]

Il 20 gennaio 2006 il giovane ebreo francese di origine marocchina Ilan Halimi fu attirato da una attraente ragazza in un appartamento della banlieue parigina. Qui fu sequestrato da una banda di giovani musulmani che pretendevano un riscatto da un ebreo che non poteva non essere ricco. Sorpresa: la famiglia era nullatenente.

Per 24 giorni il prigioniero legato e incartato come una mummia fu nutrito con una cannuccia inserita in un taglio praticato nello scotch che lo imbavagliava.

Era costretto a urinare in una bottiglia e defecare in una busta di plastica e i suoi guardiani lo picchiavano pure perché si schifavano. Alla famiglia inviavano foto in cui era simulata una sodomizzazione con un manico di scopa e il volto era sfregiato con un coltello.

le torture
I carnefici, raccontarono poi i testimoni, si divertivano anche a telefonare alla famiglia del ragazzo, per far ascoltare ai genitori le sue grida di dolore mentre lo seviziavano e leggevano a voce alta i versetti del Corano.

Al termine di 24 giorni di botte e torture il capo della banda, Youssouf Fofana, lo sgozzò tagliandogli la carotide e devastandolo di pugnalate. Infine, la banda cosparse il corpo di benzina dandogli fuoco. Il cadavere carbonizzato e privo di un orecchio e di un alluce fu gettato vicino a una ferrovia.

Per troppo tempo le indagini si orientarono verso ogni interpretazione salvo la tragica verità: un bestiale delitto antisemita avvenuto in un clima di scandalosa complicità.

Per 24 giorni in troppi fecero finta di non sentire le urla atroci del disgraziato. Fu anche per merito dell’allora ministro degli Interni Sarkozy se alfine si ammise, con riluttanza suggerita dal timore di irritare le comunità musulmane, la vera natura del delitto.

Il processo
Da poco è iniziato il processo e si è deciso di tenerlo a porte chiuse, con la motivazione che due dei 27 implicati erano all’epoca minorenni, come se non fosse stato possibile dividere il procedimento in due parti. E così, un processo che doveva rappresentata la drammatica realtà di un bestiale antisemitismo è finito nella clandestinità.

Quel che accade in aula è raccontato anonimamente da alcuni di coloro che vi sono ammessi. Si viene a sapere che Fofana, il capo, è entrato in aula gridando «Allah vincerà»; che quando gli hanno chiesto la data di nascita ha risposto «13 febbraio 2006 a Sainte-Geneviève-des-Bois», il luogo e data del ritrovamento del cadavere di Halimi; che ha dato come proprio nome «Rivolta africana barbara armata salafista»; che lui e i suoi complici non si trattengono dall’esibire il loro odio per gli ebrei.

Si è saputo che ha minacciato i giurati dicendo che le loro foto erano in mano a chi sarebbe venuto a prenderli a casa, e che il giudice si è rifiutato di censurarlo per tali minacce, provocando l’uscita sdegnata dei familiari. Filtrano altri raccapriccianti dettagli sotto forma di indiscrezioni, anziché essere esibiti pubblicamente per mostrare la volontà del paese che ha dato la libertà agli ebrei e ha avuto il caso Dreyfus di esecrare pubblicamente il delitto razzista.

Comunque in Francia se ne parla, anche se a bassa voce per non irritare le comunità islamiche, come se non fosse questa l’occasione di chiedere ai suoi esponenti una condanna senza riserve e ad alta voce.

In Europa e in Italia quasi nessuno ne parla.

Eppure la vicenda di Ilan Halimi è l’immagine inquietante di Eurabia. La solita intellettualità radical-chic e “progressista”, pronta a brandire ad ogni pié sospinto la Shoah e lo sterminio degli ebrei come paradigma dei più efferati delitti, non dice una parola di questo delitto antisemita.

Si deprecano il razzismo e la xenofobia dilaganti, le leggi predisposte dal governo italiano sull’immigrazione vengono paragonate alle leggi razziali fasciste, i barconi di clandestini evocano gli ebrei in fuga dalle camere a gas, Gheddafi viene contestato non perché è un crudele dittatore (e perché ha cacciato gli ebrei dalla Libia), ma perché ha fatto un accordo col ministro “fascista” Maroni.

Basta cerimonie
Ci si stracciano le vesti per l’antisemitismo che colpì gli ebrei morti ma quando l’antisemitismo colpisce gli ebrei vivi ci si gira dall’altra parte.

Faccio una promessa. Se verrò invitato a una delle ormai insopportabilmente ritualistiche commemorazioni della Shoah, vi andrò per parlare soltanto di Ilan Halimi e delle altre vittime dell’antisemitismo di oggi.

Di conseguenza resterò a casa.

 

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