Fonte:

[b]Analisi di Fiamma Nirenstein, l'opinione di Alan Dershowitz, la cronaca di Roberto Fabbri

Testata:Il Giornale – Il Foglio – La Stampa
Autore: Fiamma Nirenstein – Roberto Fabbri – La redazione del Foglio
Titolo: «Io, colono di Cisgiordania, cederei casa per una pace vera – Frattini a Lieberman: Italia pronta a mediare – Per Dershowitz Lieberman è progressista come Livni»[/b]

Avigdor Lieberman ieri a Roma. Tutti i quotidiani italiani di oggi trattano la notizia. Le cronache sono tutte sostanzialmente corrette (tranne quella del MANIFESTO, ma non ne siamo stupiti) anche se molte lasciano trasparire l'antipatia di chi le ha scritte nei confronti di Lieberman.
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 05/05/2009, a pag. 15, l'analisi di Fiamma Nirenstein dal titolo " Io, colono di Cisgiordania, cederei casa per una pace vera " e la cronaca di Roberto Fabbri dal titolo " Frattini a Lieberman: Italia pronta a mediare ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'analisi dal titolo " Per Dershowitz Lieberman è progressista come Livni " e dalla STAMPA, la critica a un titolo sciagurato. Ecco gli articoli:

[b]Il GIORNALE – Fiamma Nirenstein : " Io, colono di Cisgiordania, cederei casa per una pace vera "[/b]

È senz’altro molto assertivo, ma statelo a sentire, perché sa molto bene quel che si dice, e il messaggio che ha portato all’Italia è fiduciosamente innovativo, ma non alieno dalla pace. Solo che lui vuole farla con la certezza che il nemico non userà il processo di pace o lo sgombero di terra come un’arma. Lo dice chiaro, a costo di apparire un falco, come lo descrivono quasi tutti.
«Io, che sono un colono di un piccolo insediamento del West Bank…»: il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, detto “Yvette”, ama mostrare sovente questa sua inusitata carta d’identità, gli piace far balenare all’interlocutore italiano (che sovente fa una faccia di circostanza alla notizia) la sua casa di Nokdim, con la moglie e i tre figli che lo aspettano nel cuore della Giudea ogni notte. Bene, sembra dire il ministro mentre spiega che lui e i palestinesi sono vicini di casa e che anzi il suo villaggio è la migliore risorsa economica per loro: un colono ha due gambe e due braccia, vedete, può anche essere ministro, può dire cose ragionevoli e innovative. Per esempio Lieberman dice che benché stia a Nokdim dall’88 lo lascerebbe subito ai palestinesi se questo potesse aiutare la pace. Ma, ha spiegato varie volte, del mio insediamento, dei «territori» come del resto del West Bank, non se ne farebbero niente, come non se ne sono fatti niente di Gaza, se non per le rampe di lancio. E poi i Territori sono stati offerti tante volte, i palestinesi hanno rifiutato ogni accordo. E inoltre, insiste, sono in guerra con noi da ben prima che esistessero i «Territori».
Lieberman si è sempre vissuto come un fortunato innovatore, uno che ha avuto un successo strepitoso col suo partito Israel Beitenu, giunto a essere il terzo della Knesset; anche le sue vecchie idee, come quella dello scambio territoriale con i palestinesi («noi, alla pari, ci annettiamo alcune zone densamente popolate da ebrei, voi quelle a maggioranza araba»), hanno avuto un certo successo; così come il suo grido di allarme in campagna elettorale per l’adesione degli arabi israeliani alla causa palestinese o addirittura per le loro connivenze con Hamas e Hezbollah. Ma di fatto da lui non si è mai sentita una frase razzista; ha proposto che tutti gli israeliani (non solo gli arabi) giurino fedeltà al loro Paese, e gli hanno dato, appunto, del razzista: «Ma i bambini a scuola negli Usa giurano fedeltà continuamente». La sua carriera è stata fulminante, da immigrato ventenne senza una lira in tasca, persino buttafuori in discoteca (dove ha incontrato sua moglie), a soldato di fanteria, a una quantità di cariche sia di ministro che di grand commis nei governi Netanyahu, Sharon e Olmert: sia da Sharon che da Olmert se n’è andato litigando. Ma sbaglia e di molto chi immagina che Lieberman abbia in antipatia l’idea del compromesso, o della pace: solo è un tipo che spera di cambiare il lessico del processo di pace. Land for peace, terra in cambio di pace ha fallito, dice, quindi proviamo qualcosa di nuovo. Al suo posto, spera in «sicurezza» per Israele, «prosperità» per i palestinesi e infine si tornerà allo scambio territoriale con «equilibrio» per tutti. La dottrina Lieberman intende con questo che l’Iran di Ahmadinejad sia bloccato sulla strada della bomba atomica e dei rifornimenti di danaro e armi a Hamas e a Hezbollah, smascherato e sanzionato per le sue politiche terroriste di occupazione strategica del Medio Oriente tramite il Libano e la Siria e le manovre di sovvertimento dell’Egitto e degli altri Paesi arabi moderati. Lieberman non è diplomatico; non mentirà ai governi europei che si accinge a visitare: dirà loro che «terra in cambio di pace» non si può fare finché il lupo iraniano è là a mangiarsi tutto. Ma Israele non vuole bloccare nulla: «Il nuovo governo prenderà l’iniziativa», ripete. È sempre stato un personaggio con una missione: suo padre fu imprigionato in Siberia da Stalin, e lui, nato nel ’58, ha subito cominciato a litigare col regime finché è arrivato in Israele nel ’78. Chi lo descrive come un avventuriero ignora la sua micidiale foga politica, che non si fermerà a meno che le inchieste giudiziarie in corso non lo blocchino. Lieberman non sorride quasi mai, non ammicca. Ma promana determinazione. Magari vuol passare alla storia come il ministro degli Esteri che riaprì un processo di pace, come dice lui, vero e non fatto di chiacchiere.
www.fiammanirenstein.com

[b]Il GIORNALE – Roberto Fabbri : " Frattini a Lieberman: Italia pronta a mediare "[/b]

Avigdor Lieberman sceglie Roma come tappa inaugurale del suo primo tour europeo, «ed è chiaro che doveva essere così». Il nuovo ministro degli Esteri israeliano ha il difficile compito di migliorare le relazioni del suo Paese con l’Europa e per questo ha scelto di cominciare dall’Italia, del cui governo Gerusalemme «apprezza l’atteggiamento positivo e amichevole» e la disponibilità ribadita da Franco Frattini a mediare con la Siria al posto della Turchia se fosse necessario.
E se si fa eccezione per qualche classica intemperanza dell’esigua estrema sinistra filopalestinese (con tanto di ormai stravisto lancio di scarpe contro l’immagine dell’ospite israeliano affissa in largo Argentina) l’accoglienza che Roma ha riservato a Lieberman all’inizio dei suoi due giorni di visita è stata senz’altro positiva. La giornata è cominciata con la visita in Campidoglio, dove il capo della diplomazia israeliana è stato ricevuto dal sindaco Gianni Alemanno che ha accompagnato il suo ospite in una passeggiata ai Fori Imperiali: Lieberman aveva espresso il desiderio di visitarli e in particolare di poter vedere l’arco di Tito, che celebra la presa di Gerusalemme da parte dei Romani nel 70 dopo Cristo. Alemanno ha parlato con il ministro del suo prossimo viaggio nella capitale israeliana e del ruolo propositivo che le due città potranno svolgere insieme per il Mediterraneo.
Salutato il sindaco, Lieberman ha incontrato alla Farnesina il collega italiano Franco Frattini. Durante la conferenza stampa che ha fatto seguito ai colloqui privati, Lieberman non ha lasciato trascorrere troppo tempo prima di parlare di Iran. Il regime islamico di Teheran, ha detto, «è la più grande minaccia per il Medio Oriente» e con il suo inquietante programma nucleare «è un fattore destabilizzante per tutto il mondo». Frattini ha convenuto che «l’influenza che l’Iran esercita in Medio Oriente attraverso Hezbollah e Hamas è pericolosa e inaccettabile per gli stessi leader arabi moderati». Lieberman, a tale proposito, ha negato di aver mai affermato di volere la distruzione di Hamas.
Il ministro degli Esteri israeliano, non dimenticando che l’Unione Europea pretende da Netanyahu un impegno a rilanciare i negoziati con i palestinesi per arrivare all’obiettivo dei «due popoli, due Stati», ha usato parole chiare sull’argomento. «Bisogna armarsi di molta pazienza, è impossibile che il governo abbia pronti i piani in cinque settimane. Ma non intendiamo andare avanti a colpi di slogan come hanno fatto i nostri predecessori». Poche concessioni, dunque, in attesa che venga definita (e non sarà facile, vista la natura eterogenea della coalizione) una linea d’azione da parte del governo.
Una domanda sul futuro dei rapporti con la Siria ha dato a Lieberman l’opportunità di parlare del Golan, il territorio che Israele ha strappato al vicino arabo con la guerra del 1967 e che ha annesso unilateralmente nel 1981. «Non si può parlare solo del ritiro israeliano. Vogliamo sapere anche che cosa la Siria è disposta a darci. Per esempio, è pronta a tagliare i rapporti con l’Iran? E a negoziare senza precondizioni?».

[b]Il FOGLIO – " Per Dershowitz Lieberman è progressista come Livni "
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Roma. Il “surge” diplomatico del signor Lieberman è cominciato ieri con la visita a Roma, prima tappa del tour europeo. Il ministro degli Esteri israeliano ha la fama e il linguaggio da duro, un falco inviso alla diplomazia del Vecchio continente (e non solo), che preferisce nutrirsi di “slogan o dichiarazioni pompose” piuttosto che puntare a “risultati concreti”. Alan Dershowitz dice al Foglio che “Lieberman è molto ‘misunderstood’, male interpretato”. L’avvocato liberal più famoso d’America – in Italia per la presentazione del suo ultimo libro “Processo ai nemici d’Israele” – è convinto che il processo di pace non subirà certo una battuta d’arresto a causa del governo israeliano di Benjamin Netanyahu. Anzi. “Avigdor Lieberman è progressista tanto quanto lo era Tzipi Livni, ministro degli Esteri prima di lui – continua Dershowitz – Livni aveva la faccia più liberal, ma non credo che ci siano grandissime differenze tra i due”. La strada è segnata – due popoli, due stati – e su questa si va avanti. L’inizio non è stato semplice. Ogni parola di Lieberman critica nei confronti dei palestinesi e degli sforzi internazionali per la pace (vedi Annapolis) è stata interpretata nel peggior modo possibile. Il commissario europeo alle Relazioni esterne, Benita Ferrero-Waldner, la scorsa settimana ha detto che l’avanzamento nei rapporti con Gerusalemme è congelato fino a quando “il nuovo governo israeliano dimostrerà un chiaro impegno per perseguire i negoziati di pace con i palestinesi”. Mirek Topolanek, premier della Repubblica ceca che ha la presidenza di turno dell’Unione europea, ha definito “avventate” queste dichiarazioni, ma nei confronti del governo Netanyahu il pregiudizio è negativo, e lo diventa ancor di più quando si parla di Iran. Nella conferenza stampa dopo l’incontro con il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, Lieberman ha ribadito che il regime di Teheran rappresenta “il più grande problema al momento in medio oriente: sta diventando una potenza nucleare e sta diventando, o lo è già diventato, un fattore destabilizzante per il mondo intero”. In un clima di appeasement, creato dalla costante mano tesa dell’Amministrazione Obama, le parole del ministro burbero di Gerusalemme appaiono infuocate, e Bruxelles trova materiale per distanziarsi ulteriormente da Israele. Tanto che Lieberman in Europa – sarà in Francia, Germania e Repubblica ceca – non avrà incontri con la Commissione europea, e fa dire al vicedirettore del ministero degli Esteri Rafi Barak: “Israele chiede all’Europa di abbassare i toni e di condurre un dialogo discreto. Se le dichiarazioni della Commissione continuano, l’Europa non potrà essere parte del processo diplomatico”. L’Italia ribadisce l’amicizia e la collaborazione con Israele, come già aveva anticipato in un’intervista al Foglio il ministro Frattini, che infatti ha ottenuto da Lieberman un ruolo sempre più solido nel processo di pace. Oren ci racconta perché non è un falco Se i rapporti tra Europa e Gerusalemme sono sempre stati complicati, sono tanti gli esperti che segnalano un’altra spaccatura, ben più delicata, tra questo Israele – falco, di destra – e questa America – liberal e dialogante. La nomina (contestatissima) di Michael Oren ad ambasciatore israeliano a Washington non fa che alimentare le preoccupazioni. Oren, storico e commentatore, è considerato “uno di destra”: quando il suo nome ha cominciato a circolare, i giornali israeliani si sono scatenati contro di lui. Al Foglio Oren dice che la descrizione di falco non gli si addice proprio, “ero contro la guerra in Iraq, ho lavorato nel governo di Rabin e sono tornato come riservista durante il ritiro da Gaza”. Aggiunge anche che “nonostante i toni diversi” soprattutto sull’Iran, “Israele e America hanno un largo consenso su quelle che sono le minacce da affrontare per salvaguardare la sicurezza e l’integrità di Israele”. C’è “un interesse comune”, insomma, a “preservare l’alleanza”, perché soltanto così si può combattere l’estremismo islamico e contenere l’ambizione nucleare di Teheran. Anche Dershowitz festeggia la nomina. “Oren conosce bene i due paesi, sarà un mediatore fantastico tra Netanyahu e Obama. Soprattutto – aggiunge – piacerà a Hillary Clinton, il segretario di stato, che lavorerà bene con lui. Credo anche che Oren conosca bene Dennis Ross, l’inviato americano per i negoziati con l’Iran”. Di George Mitchell, inviato per il medio oriente, si ricordano in pochi, ma starà a questo team di esperte feluche organizzare la visita a Washington del premier Netanyahu, il 18 maggio.

[b]La STAMPA – dedica alla notizia la cronaca di Giacomo Galeazzi, sostanzialmente corretta. Ciò che non lo è è il titolo " Lieberman : no ai due Stati " dal momento che il ministro degli esteri israeliano non ha dichiarato niente del genere.[/b]

 

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